C'è del marcio, nel regno degli economisti. Ne è stato sempre convinto uno dei più eretici fra loro, Geminello Alvi, fin dalla pubblicazione delle Seduzioni economiche di Faust nel 1989.
Professor Alvi, ci troviamo oggi dinanzi a una nuova Grande Depressione? O è la coda lunga, per usare questo termine, di qualcosa che origina molto in là e non avevamo pienamento compreso?
La Grande Depressione giunse perché il capitalismo non riuscì a ottenere un reddito medio pro-capite abbastanza alto per reggere consumi che sono diventati opulenti, ossia il lusso di massa. Era il sogno che si declinava nella figura del Grande Gatsby, un sogno tra l'altro sviluppato attraverso l'industria del tempo – cinema, Walt Disney e via discorrendo. Un'industria che vendeva sempre più un'immagine del mondo, non un prodotto. O, per meglio dire, vendeva un prodotto legato a un'idea di uomo. La Grande Depressione giunse quindi perché il vecchio capitale, la vecchia organizzazione, il vecchio mondo – la prima fase del capitalismo, se così la vogliamo chiamare – non riusci a reggere questa strutturazione del superfluo. Poi arriverà una grande guerra e questa strutturazione del superfluo diventerà possibile. Ora impatta di nuovo. Quando analizzai tutto questo nel mio lavoro Il secolo americano (Adelphi, 1993) lascia tuttavia aperti non pochi problemi.
Quali problemi?
Su tutti: come definire il capitalismo? Come definire il capitale? E questa produzione del superfluo cos'è? E l'io umano, cos'è? Un altro mio libro, Il capitalismo. Verso l'ideale cinese (Marsilio 2011) nasce come tentativo di mettere a fuoco queste domande, dopo anni di lavoro e studio, e anche di esercizio di scrittura sui quotidiani. Con due questioni ulteriori. Prima questione: non devo avere paura. Devo avere il coraggio di andare oltre, rispetto a quello che ho scritto, detto, pensato. Devo abbandonare tutto e magari buttarmi anche nei vicoli ciechi. Seconda questione: non avendo, per vari motivi, i mezzi di prima, forse le energie, il libro ha preso una forma sua. Una forma che, se dovessi riscriverla oggi, si chiuderebbe con una parte sull'euro, mostrando come sia un affaire insolubile.
Perché la qualifica come insolubile, mentre molti vedono – magari è solo retorica –l’attuale crisi come un mero intoppo in un percorso irreversibile, quello della moneta unica europea…
Insolubile perché i burocrati europei lasciano aperti i movimenti di capitali, non hanno di fatto una moneta e pretendono attraverso una banca centrale di far fronte a una crisi di tale portata… Questo significa che sono andati oltre la moneta cartacea. Se gli USA hanno armi e bombe, e hanno uno Stato, la burocrazia europea ha una idea di sé, per cui pretende che dinanzi alle proprie scemenze i mercati reagiscano o il buon senso reagisca adeguandosi. Un po' come l'Unione Sovietica che diceva "non hai mangiato, però è come se avessi mangiato". L'esperienza europea, non avendo esercito, non avendo vera potenza è ancora più emblematica di questa perdita nel sogno del capitalismo.
E la Cina che posizione ha rispetto a questo processo?
Lì c'è un mercantilismo duro e puro, dove c'è uno Stato che controlla completamente i movimenti di capitale e c'è una fase – tipicamente mercantilista – di conquista delle posizioni. Posso fare il liberismo quando sono arrivato all'egemonia, ma per arrivarci devo fare esattamente quello che stanno facendo i cinesi, con l'assenso degli Stati Uniti, finché i due non confliggeranno. Ma ancora per molto non confliggeranno. La Cina è un misto di prepotenza mercantilista e di assurdità, basti pensare alle banche cinesi. Banche che se fossero nella stessa condizione di quelle europee avrebbero problemi tripli, poiché è tutto falso. Abbiamo biasimato a lungo l'Iri e il sistema delle partecipazioni statali, in Italia. Ma la Cina è esattamente questo, applicato su scala mondiale. Osservando la Cina il nesso tra capitalismo e Stato diventa chiaro e si chiude.
C'è un'alternativa a questa deriva omologante del capitalismo che, nella Cina, parafrasando John Stuart Mill, trova il proprio ideale realizzato?
Piccole comunità, piccole federazioni che rispetto al numero, facciano valere l' "io". Dovremmo creare delle isole di comprensione, di comunità, di bontà. E di efficienza. Gli elementi di dono andrebbero accordati con elementi di efficienza economica, come avviene in certe nazioni del nord europa che sono state più abili di noi nel farlo. E se lo hanno fatto – penso alla Norvegia – attraverso un meccanismo statale, l'hanno fatto con nessi comunitari ancora molto forti. Nessi che però lo Stato giuridico contraddice. Nel caso italiano, dovremmo tener conto che noi abbiamo delle tradizioni municipali – come diceva Gianfranco Miglio – non minori di quelle della confederazione svizzera. Dovrebbero crearsi delle forme di confederazioni comunitarie, olivettiane che diventino l'unica risposta che il numero non può dare, ai numeri del capitalismo di Stato cinese.
Un regno della qualità, contrapposto a un regno della quantità…
Con tutte le cautele del caso, perché è chiaro che questo porterebbe a un ulteriore indebolirsi degli Stati. Ma va subito detto che questo indebolirsi degli Stati è già in atto. Quando ci sono interi Stati messi sotto tutela da una banca centrale, non servono certo movimenti antistato per far vacillare tutto…
Gli Stati tutt'al più servono per un apparato di controllo sociale che, bene o male, ancora mantengono…
È quello che sta succedendo in Italia. Una manovra così sconnessa, così folle che nessun governo né di destra, né di sinistra poteva permettersi, il tutto in un disegno dove è chiaro che l'euro è spacciato… Perché? Per quale ragione se non per assecondare il delirio di burocrati e di banche?
Il berlusconismo, in questo, sembra essere stata davvero una parentesi. Un brutto sogno tra due incubi…
Il berlusconismo è stato l'appalto di un grande sogno, ma contrapposto a lui c'era la vecchia versione dello Stato centralizzato e serio al di là del sogno. I burocrati, invece, vendono non un sogno, ma un'idea che è completamente perdente e, in più, sono dei dilettanti. Scoprono in ritardo il mercato, mettono in piedi una moneta completamente finta e si immaginano un'esperienza sovietica con l'euro. Un'esperienza che si lega alla catastrofe dell'unica cosa che darebbe dignità alla sinistra, ovvero la protezione dei redditi. I redditi non vengono più protetti, ma vengono protetti degli interessi di giustizia generale legati a uno Stato sovietico che gestisce una moneta assurda al quale si delega il proprio futuro, sulla base di un ragionamento completamente senile. Senile perché è il ragionamento di chi ha fatto la guerra, ma che non ha senso per chi ha trent'anni.
Lei ha spesso parlato di un asse tedesco-russo come possibile via di uscita da questa impasse…
Un asse fuori dalla democrazia, lo capisco. La democrazia, con le masse, è effettivamente un problema. Il voto ha senso in una comunità, ma come punizione. Il voto è sempre una sconfitta, è un punto in cui la comunità non è riuscita ad amalgamare consenso. Se ci sono delle decisioni che provocano un dissenso consistente di una minoranza, quelle decisioni non devono essere prese, purtroppo o per fortuna. Invece qui, la maggioranza è il numero, ma un numero applicato fuori posto perché applicato a questioni dove la verità è messa a maggioranza. Ma se non c'è una verità, nel gruppo o nella comunità, tutto crolla. L'euro nasce dalla volontà di creare una finta verità. E nasce dalla paura dei tedeschi. La Teatcher aveva invece capito che questo sistema rimetteva la Germania al centro…
Anche la Svizzera, in fondo, potrebbe essere un'alterativa, non crede?
Sì, anche se ha perso molto. Ma il fatto che gli altri ce l'abbiamo molto con la Confederazione, ce la rende simpatica. La Svizzera che cos'è se non un insieme di municipi, come quelli che avevamo qui in Italia prima che una sciagurata riforma cercasse, maldestramente, di migliorare il tutto, scombinandolo? Dovremmo valorizzare le piccole comunità, legandole con nessi di dono e di libertà, invece che con nessi di ideologie puà essere un punto di partenza. Tanto il mondo si sta guastando da sé, non lo guastano certo le nostre idee.
Eppure molti nessi comunitari sono stati distrutti.
Questo non è in sé un male. Lo spirito ha bisogno di forme sempre nuove, purché si lasci libertà di nascere a queste forme. Si lascino libere le persone di pensare a nuove forme. La comunità va continuamente ripensata a partire da relazioni personali, locali, minime dove è impossibile che certe relazioni di mutuo soccorso, di dono o scambio virtuoso non accadano. La burocrazia europea ha spinto in tutt'altra direzione. In questo, il grande tema della sussidiarietà è stato un modo per dire il contrario, applicando un sistema piramidale. Noi dovremmo uscire dalla logica perversa di dipendenza, anche in absentia, dallo Stato valorizzando gli elementi di dono, di libertà individuale. I nessi vecchi sono finiti, serve il coraggio di sperimentare nessi nuovi. Oppure… Oppure finisce come in Cina, con uno Stato che amministra l'emergenza ecologica, l'emergenza economica e ti dice quello che devi fare.
Come si colloca, qui, il grande tema da lei studiato del free banking?
Nel free banking non c'è più monopolio della banca centrale, ma si regolano per non emetterne troppa per lo stesso motivo per cui, se vai in una banca, la banca non ti sconta volentieri gli assegni delle altre banche. Un meccanismo semplice che potrebbe funzionare e garantirebbe delle monete coperte da un'etica mercantile, da attività. Invece adesso da cosa è coperto il denaro? Dal debito pubblico. E da cosa è coperto il debito pubblico? Da altro denaro stampato dalle banche. Le banche all'attivo cos'hanno? Hanno titoli pubblici. E la BCE all'attivo cos'ha? Gli attivi della BCE sono attivi di banche che a loro volta hanno titoli pubblici all'attivo. È un meccanismo di menzogna pura. E il passivo dov'è? Almeno una volta si controllavano i movimenti di capitale e si rendeva funzionale questa menzogna agli equilibri di crescita, oggi nel non controllarli più si sono creati degli assurdi logici e ideologici che hanno prodotto la catastrofe che è sotto gli occhi di tutti. Le banche centrali – pensiamo alla Federal Reserve, alla fondazione della quale conseguono i due più grandi disastri del Novecento – bloccando il free banking di fatto trasferiscono potere allo Stato centrale che, a sua volta, lo trasferisce alle oligarchie venali. La riforma del capitalismo è un compito conoscitivo che richiede il ripensamento totale delle istituzioni bancarie, delle istituzioni politiche, di tutto ciò che crediamo scontato e ovvio. E non è un compito affrontabile in termini di schemi di equità o preconcetti. Schemi che poi vanno trovati, ma prima bisogna ripensare tutto, con un equilibrio che corrisponda a un equilibrio interiore dell'uomo, alla sua capacità di pensare, di agire, di sentire. Al suo gesto.
Questa intervista è stata realizzata nel 2011. La sua attualità
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