La Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne quest’anno ricorre in un periodo in cui il dramma della violenza di genere diventa sempre più preoccupante. Si tratta di un fenomeno tristemente diffuso in tutto il mondo che, tuttavia, ha segnato un incremento negli ultimi mesi. In seguito allo scoppio della pandemia di Covid-19 e alle conseguenti misure restrittive, i casi di violenza domestica nei confronti delle donne sono aumentati in modo consistente durante i mesi del lockdown, con il risultato che una donna su tre ha subito violenza fisica o sessuale, spesso perpetrata da un partner. In questa occasione, affrontiamo il dramma delle tante donne migranti vittime di violenze e abusi sessuali durante il viaggio o prima, mentre sono detenute e torturate dai trafficanti. Molte diventano spesso vittime della tratta di esseri umani per fini sessuali poiché, una volta arrivate in modo irregolare nei Paesi di destinazione, sono costrette a prostituirsi, essendo vincolate da giuramenti e rituali di magia nera che rendono difficile opporsi alla condizione in cui si trovano. Per approfondire questo drammatico argomento abbiamo intervistato Princess Inyang Okokon, mediatrice culturale dell’associazione PIAM (Progetto Integrazione Accoglienza Migranti) con sede in Piemonte, nella provincia di Asti, che ha l’obiettivo di combattere la prostituzione e la tratta di donne nel territorio astigiano.
Le donne migranti sono spesso vittime di estrema violenza. Puoi fornirci una panoramica dei traumi che vivono e delle difficoltà a cui vanno incontro e che affrontano sia durante il viaggio che all’arrivo nei Paesi di destinazione?
Le donne migranti vittime della tratta di esseri umani affrontano molte avversità durante il loro viaggio verso l’Europa, come stupri, violenze psicologiche e pestaggi; soffrono la fame, poiché sono spesso lasciate senza cibo o acqua. Alcune di loro sono costrette a prostituirsi nelle connection houses, altre vengono detenute in prigioni dove le guardie abusano di loro e rimangono incinte.
Raccontaci di più del tuo lavoro: che cosa è PIAM e che cosa fa? Quante donne sono state finora aiutate?
Piam Onlus (Progetto Integrazione Accoglienza Migranti) è un’associazione fondata nel 2000 per aiutare le donne abusate e vulnerabili a fuggire dai trafficanti ad Asti, in Piemonte. Piam offre accoglienza alle vittime di tratta di esseri umani, oltre a molti altri servizi, come per esempio corsi di lingua italiana per migliorare la comunicazione e l’integrazione; fornisce anche un servizio di accompagnamento in ospedale per visite mediche o per l’acquisto di medicine o prescrizioni. Piam si occupa anche della formazione relativa alla maternità e alla pianificazione familiare, così come dell’assistenza legale – fornendo avvocati per combattere le cause in tribunale contro i trafficanti. Educhiamo le vittime a non diventare mai madame (sfruttatrici, ndr) e anche a confidarsi e raccontare le loro storie durante i colloqui con i mediatori culturali che si occupano delle vittime di traffico di esseri umani: questo permette identificazioni e valutazioni più semplici per ottenere il permesso di soggiorno. I mediatori culturali di Piam lavorano con la Commissione Territoriale per l’identificazione di vittime della tratta di esseri umani tra i rifugiati. Piam offre anche un servizio di formazione professionale per permettere alle vittime di avere opportunità lavorative e copre le spese dei salari per i primi 3-6 mesi dei loro stage di formazione. L’associazione assiste, inoltre, le donne nella ricerca di un lavoro al termine della formazione e supporta nelle spese per l’affitto quelle che completano i progetti, in modo che siano in condizione di iniziare una vita normale. Piam ha aiutato oltre 400 donne a fuggire dai loro trafficanti, anche se molte altre sono passate ad altre associazioni simili alla nostra.”
Cosa ti ha spinto a cominciare a lavorare per questa causa?
Poiché io stessa sono stata vittima della tratta di esseri umani, ho vissuto terribili esperienze e ho affrontato le stesse difficoltà di queste donne, mi sento vicina alle vittime e credo fortemente che Dio possa usare me come tramite per assisterle. Ciò che mi ha spinto è l’ispirazione arrivata da Dio nel 1998: ho compreso che mi aveva mandato in Europa per aiutare le persone e liberarle dalla loro prigionia. Ero davvero sconvolta e arrabbiata contro i trafficanti, poiche’ ci usavano per fare soldi e vendevano le donne come merce. La mia rabbia mi spinge a combattere per il diritto di queste persone a riprendersi la loro dignità e l’orgoglio di essere donne. Credo anche che salvare una vittima apra la strada per la libertà delle altre.
Quali sono le principali sfide che affronti nel tuo lavoro?
Uno dei problemi principali sono le minacce dei trafficanti, che non riescono però a farmi cambiare idea.
Spesso c’e’ carenza di rifugi in grado di accogliere le vittime quando scappano dai loro trafficanti, e mancanza di fondi per molti dei progetti rivolti a loro. Alcuni problemi sono causati dai ritardi nell’ottenimento del permesso di soggiorno di queste donne. Una volta finiti i progetti con Piam, il loro futuro potrebbe essere incerto a causa della mancanza di lavoro e alloggio. Molte di loro hanno difficoltà a trovare un lavoro e pagare un affitto, e questo ci fa temere che possano tornare sulla strada, o nei loro Paesi.”
Puoi fornirci una panoramica della situazione delle donne migranti che arrivano in Italia: quali problemi affrontano?
Quando arrivano nei Paesi di destinazione, quindi anche in Italia, alcune di queste donne rimangono nei centri di accoglienza, anche se non amano stare lì. A causa delle barriere linguistiche è molto difficile per loro comunicare con le autorità per condividere le loro emozioni e storie. Hanno molta paura nel denunciare i trafficanti. Questo perché prima della partenza vengono obbligate a fare un giuramento di obbedienza (il rituale juju, una sorta di rito vodoo ndr). Alcune di loro rimangono incinte prima di arrivare nei Paesi di destinazione e invece di dover pensare solamente alla loro salvezza sono costrette a pensare per due. Molte di queste donne, per via del rituale juju, sono costrette a lavorare per strada come prostitute e versano quote altissime per ripagare i debiti elevati imposti loro dalle madame, nei quali sono incluse anche le spese di affitto o le bollette e che sono di lunga durata.
La condizione delle donne vittime di trafficanti è la stessa in tutti i Paesi di destinazione?
La condizione delle vittime della prostituzione sembra essere simile in tutti i Paesi di destinazione. Anche se i luoghi di lavoro possono variare, le modalita’ per ripagare i debiti sono sempre le stesse. Alcune lavorano per strada come in Italia, altre nelle vetrine, come in Belgio, mentre in Francia lavorano sia in strada sia indoor. Agli occhi dei trafficanti queste donne non sono considerate esseri umani, vengono sfruttate per arricchire i loro protettori che le trattano come distributori di denaro. Poi, quando il denaro finisce, vengono scartate per cercare nuove vittime. A causa del giuramento di obbedienza, queste donne vivono costantemente nella paura di subire i rituali juju e sono costrette a ripagare i loro debiti per anni. Le vittime sono sempre gestite dai loro trafficanti e dalle madame, e molto spesso il rituale juju coinvolge anche le famiglie nel Paese di origine per aumentare la pressione e il terrore. Molte vittime, inoltre, spesso subiscono stupri o pestaggi da parte di clienti che poi le derubano.
Quali sono le necessità delle donne migranti che vivono queste esperienze traumatiche e come possono essere meglio aiutate e sostenute? Quali sono gli sforzi necessari da parte dei governi e della società civile per fermare questo drammatico fenomeno e supportare queste donne?
Alle vittime dovrebbe essere fornita protezione e una chiara definizione degli standard di vita che dovrebbero essere loro garantiti, come alloggi protetti, assistenza medica e legale, supporto psicologico, e servizi di traduzione e mediazione. L’Unione Europea dovrebbe stabilire standard minimi per concedere permessi di soggiorno alle vittime della tratta di esseri umani che accettano di collaborare con le autorità competenti per permettere l’individuazione dei trafficanti. Le procedure di identificazione e di integrazione per queste donne dovrebbero essere implementate, per permettere loro di accedere in modo rapido e semplice alle strutture per l’accoglienza e la protezione delle vittime. Alcune buone pratiche da parte degli Stati Membri dovrebbero includere la possibilità di accedere a servizi quali cure mediche o istruzione senza lunghe procedure di identificazione. Sarebbe anche utile se enti come le organizzazioni per l’antitraffico, le forze di polizia o le commissioni locali potessero identificare ufficialmente le vittime della tratta attraverso un database dedicato. È altrettanto importante monitorare il sistema di accoglienza in Italia, basato su strutture che accolgono le vittime di tratta e su diversi tipi di strutture per richiedenti asilo, per esempio i centri pubblici di accoglienza, centri temporanee o le reti di SPRAR / SIPROMI (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per i minori stranieri non accompagnati), che hanno modelli diversi in termini di organizzazione, distribuzione dei costi e durata dell’ospitalità.
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