Reportage

Niger, la cooperazione italiana nel Paese crocevia di migrazioni

di Daniele Biella

Dieci enti, decine di espatriati e migliaia di operatori locali operano in contesti delicati tra la povertà estrema della popolazione e le necessità dei rifugiati in fuga dai violenti paesi limitrofi

Una sfida quotidiana in un Paese affascinante e cruciale. Questo è il Niger per le ong italiane presenti oggi in una nazione grande quattro volte l’Italia ma con il più basso indice di sviluppo umano al mondo, con un nigerino su due sotto la soglia di povertà. Affascinante, perché per gran parte del territorio domina il deserto del Sahara, che si interrompe alle porte della perla Agadez, città a forte influenza Tuareg e patrimonio mondiale dell’Unesco per le sue costruzioni in terra cruda. Cruciale dato che almeno nell’ultimo decennio il Niger è diventato il passaggio obbligato di centinaia di migliaia di persone in fuga da Paesi limitrofi alla ricerca di un posto sicuro dove vivere. Persone che poi arrivano a rischiare la vita in mano ai trafficanti nel deserto, nelle prigioni illegali libiche o sui gommoni del Mar Mediterraneo, tanto che nella nazione centrale del Sahel hanno aumentato la propria presenza sia le Nazioni Unite – avviando dal 2015 programmi di evacuazioni, reinsediamenti e corridoi umanitari coordinati dall’Unhcr, Alto commissariato Onu per i rifugiati, in collaborazione con diversi governi occidentali ed enti della società civile come Caritas italiana e Gandhy Charity – sia l’Italia stessa, attraverso l’apertura di un’ambasciata (sul mensile in edicola ad aprile Vita intervista Marco Prencipe, ambasciatore in Niger, conosciuto da Vita durante un recente viaggio in loco).

In questo contesto la cooperazione italiana, in buona parte già presente in Niger dal secolo scorso con progetti di sviluppo legati al contrasto della povertà locale, ha aggiunto negli ultimi anni azioni di supporto ai rifugiati proprio a causa della pressione migratoria dai Paesi confinanti. “A causa dell’insicurezza è complesso lavorare nel Paese, ma con il personale locale riusciamo a essere presenti anche nelle zone più delicate”, aggiunge Filippo Acasto, Responsabile Paese del Cisv, che opera in tre regioni nigerine e tra le attività sostiene l’operosità di cooperative agricole e la creazione di microimprese giovanili, con un occhio di riguardo a chi si occupa di imprenditoria sociale e impatto ambientale virtuoso, per esempio nella gestione dei rifiuti e nella produzione del compost da rimettere poi sul mercato. In particolare, la situazione è tesa per gli attacchi fondamentalisti al confine con la Nigeria (dove imperversa Boko Haram), il Mali, il Burkina Faso e nella zona del lago Ciad e il personale espatriato si affida ai colleghi nigerini proprio per l’alto rischio di sicurezza, confermatoci dalle Nazioni Unite durante la nostra presenza a Niamey e Agadez.

Un Paese dove la media di figli per una donna è otto e dove l’analfabetismo è all’80 per cento

Per Acasto e tutti i cooperanti internazionali presenti in Niger è da fine febbraio che si è alzata l’asticella della sicurezza, perché la situazione è calda anche sul fronte interno: le presidenziali hanno sancito un passaggio di potere piuttosto regolare in rapporto alle esperienze negative dei Paesi vicini, ma comunque non privo di tensioni e vittime in scontri estemporanei, con il governo che ha oscurato Internet per ben 11 giorni adducendo motivi di sicurezza e ha bloccato un maldestro tentativo di golpe pochi giorni prima dell’insediamento del nuovo presidente Mohamed Bazoun, avvenuto il 2 aprile 2021. “Da mesi c’è il coprifuoco dalle 20 alle 6 e questo aumenta i disagi psicosociali già molto diffusi a causa di malnutrizione, lavoro infantile, matrimoni precoci per tentare di superare la povertà, in un Paese dove la media di figli per una donna è otto e dove l’analfabetismo è all’80 per cento”, sottolinea Morena Zucchelli, cooperante con 40 anni di esperienza nei quattro angoli del mondo e oggi Responsabile in Niger per l’ong Coopi, che conta 300 lavoratori locali, 20 espatriati e altrettanti progetti – tra gli ambiti: educazione nell’emergenza, salute mentale e di base, nutrizione, inserimento ai mestieri – in sei regioni del Paese. Coopi oggi mette in campo cliniche mobili con infermieri e psicologi che arrivano nelle zone di confine dove sono migliaia i rifugiati e gli sfollati interni nigerini dando anche medicinali gratuiti, ed è presente anche ad Agadez, la città simbolo delle migrazioni forzate da cui passa chiunque sia diretto a Nord tra le fauci, suo malgrado, dei trafficanti di esseri umani e dell’inospitalità del Sahara. Proprio ad Agadez Vita.it passa una mattinata nel centro che accoglie rifugiati (vedi la galleria fotografica) che sono di fatto bloccati in Niger dopo essere stati respinti indiscriminatamente – anche donne e bambini – dalle autorità nigerine o dopo essere scappati dall’inferno libico. Qui le storie che raccontano le persone sono tremende, così come lo è il pensiero di un futuro pressoché inesistente nonostante la giovane età di molti di essi: Coopi, in partenariato con Unhcr, cerca di dare loro speranza attraverso un forte sostegno psicologico e corsi di alfabetizzazione.

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La stessa Unhcr collabora con l’ong Intersos, in azioni che vedono coinvolta anche Unicef) nella protezione dell’infanzia sia per rifugiati che per popolazione locale tra Agadez e il centro di transito di Hamdallaye, assistendo le persone più vulnerabili, promuovendo l’istruzione e contrastando la violenza di genere. Ad Agadez è presente anche Medu-Medici per i diritti umani, con pun team di psicologi, psichiatri e operatori culturali inseriti in un progetto sulla salute mentale dei rifugiati, in particolare sudanesi scappati dalla Libia in condizioni drammatiche dopo essere fuggiti anni prima dal Darfur in fiamme. Nell regione di Diffa, al confine con la Nigeria laddove Boko Haram sparge terrore, Medu promuove un’azione di empowerment femminile in collaborazione con altre due ong italiane, Cospe e Movimento Africa ’70. Quest’ultima è presente in Niger dal lontano 1986 e tra le varie attività si occupa, nelle regioni di Tillaberi, Tahoua e Diffa, di sviluppo rurale, rafforzamento di competenze tecniche di cooperative di allevatori ed agricoltori e sicurezza alimentare. Con l’ong Acra promuove dal 2018 un progetto ad hoc sulla produzione di latte e miele come generatrice di reddito locale. Acra stessa, inoltre, promuove orti urbani nelle città nigerine promuovendo anch’essa la riutilizzazione di rifiuti da trasformare in compost. Cospe, attivo dal 1985, all’attività di ascolto, protezione e diritto alla salute femminile già citata aggiunge sempre nella zona di Diffa un progetto di sicurezza alimentare basato su tre centri donna e, nella regione di Tahoua, un’ulteriore azione di gestione sotenibile delle risorse naturali.

I progetti delle ong italiane sono finanziati da varie agenzie istituzionali o enti terzi: tra esse l’Unione Europea (promotrice di un Piano d’urgenza dedicato al Sahel), Unhcr, Aics (Agenzia italiana cooperazione allo sviluppo), ente del ministero Affari esteri italiano, ma anche Oms (Organizzazione mondiale della sanità), Cei e Unicef.

Per concludere l’appello delle presenze della cooperazione italiana nel paese africano, rimane da citare l’altrettanto impegno in prima linea del Cisp (il cui compianto fondatore e già presidente, Paolo Dieci, nel 2019 è morto con altre persone in un disastro aereo in Etiopia), che dal 2006 opera nel miglioramento all’accesso ai servizi di base – acqua, igiene, educazione – tra le regioni di Diffa e Tillabery, e nelle costruzioni bioclimatiche, in terra cruda, con progetti di housing sociale, anche ad Agadez.

A proposito di Covid-19, che comunque in Niger è meno letale rispetto all’Italia anche a causa delle alte temperature (oltre alla bassa età media e agli scarsi spostamenti della popolazione), puntuali azioni di sensibilizzazione sul Covid sono stati portati avanti sia dal Cisp stesso, con un video di consigli basilari in francese, haussa, zarma e kanouri, mentre anche Acra ha lanciato un’azione territoriale di prevenzione.

Ulteriori azioni, infine, sono portate avanti da Terre solidali, attiva con azioni di agroecologia e contrasto alla desertificazione, e Mlal-Progetto Mondo, anch’essa impegnata nella sicurezza alimentare. Nel complesso, una rete di interventi capillari di cui beneficiano sia nigerini che rifugiati, soprattutto ben calata nella realtà locale, in uno spirito di cooperazione dal basso poco assistenzialista e molto proattivo.

Credits foto: Daniele Biella

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