Renato Natale

«I veri casalesi siamo noi»

di Anna Spena

«I Camorristi hanno provato a rubarci l'identità affidandosi il nome di Casalesi», racconta Renato Natale sindaco di Casal di Principe. «Ma il percorso verso la legalità è stato irrinunciabile. La camorra ha provato ad uccidermi più di una volta senza successo. Il nostro è un cambiamento che parte dal basso, dalle persone, perciò è potente. Oggi utilizziamo i beni confiscati per metterli a servizio dei giovani e dei cittadini. Quando comune, servizi sociali, scuola e realtà del terzo settore lavorano in sinergia si crea senso di comunità. Questa non è una terra di camorra ma di anticamorra»

Renato Natale è il sindaco di Casal di Principe. Un comune di 22mila abitanti, in provincia di Caserta, noto alla narrazione nazionale come la roccaforte della camorra casertana. Casal di Principe è il paese d'origine di molti esponenti del clan mafioso dei casalesi, le cui attività illegali si sono diramate in ampi settori dell'economia locale e regionale, con ramificazioni anche internazionali. Eppure quello di Casale e dei suoi abitanti è un racconto a metà che tiene spesso conto di quello che è stato e non di quello che è. E per raccontare quello che è partiamo dal suo primo cittadino: «ho 70 anni», dice Natale, «il 26 agosto del 2020 ho lasciato l’ambulatorio e sono andato ufficialmente in pensione. Ho fatto in tempo a dare una mano alla collega che mi avrebbe sostituito e tra test sierologici ed assistenza ai malati ho preso il Covid. Due mesi di quarantena, 18 giorni di ospedale, ho messo il casco per l’ossigeno, ci mancava solo l’intubazione. Me la sono cavata», sorride. Ad “eliminarlo” prima del Covid ci aveva già provato senza successo la camorra. Eletto nel 2014 e poi ancora 2019 sarà sindaco fino al 2024 e per Casale sogna: «solo una città normale».

Lei è un medico, quando ha deciso di impegnarsi in prima persona per il comune?
Avevo 18 anni nel 1968, sono stato “vittima” di un clima in cui si parlava di politica come impegno fondamentale da mettere a disposizione della città. Sono cresciuto nell’azione cattolica, ho fatto il segretario del partito comunista. Essere un volontario fa parte della mia natura, non ne posso fare a meno. Sono originario di Casal di Principe da tante generazioni, un casalese purosangue. Negli anni mi ha fatto molto arrabbiare questo accostamento continuo alla criminalità organizzata. Capisco le logiche mediatiche, ma abbiamo davvero fatto tanto come cittadini per riscattare questa terra e quindi si dovrebbe anche iniziare ad utilizzare un linguaggio nuovo per esprimersi. Con l’espressione “i casalesi” si indicano i camorristi. Ma i casalesi invece siamo noi, i cittadini del comune. Per indicare i camorristi potremmo utilizzare invece “i falsi casalesi”, “il clan dei falsi casalesi”. Questa non è terra di camorra, è terra di anticamorra. I criminali hanno provato a rubarci l'identità affidandosi questo nome. Nel 1989 ho fondato l’associazione Jerry Essan Masslo, Jerry era un rifugiato sudafricano in Italia, assassinato da una banda di criminali, l’associazione è attiva a Castel Volturno. Sono tra i fondatori del Comitato Don Peppe Diana, l’associazione di promozione sociale nata ufficialmente il 25 aprile 2006, come frutto di un percorso di diversi anni, che ha coinvolto persone e organizzazioni unite dal desiderio di non dimenticare il martirio di un sacerdote morto per amore del suo popolo, e che oggi raccoglie 45 associazioni. Sono stato portavoce regionale di Libera contro le Mafie e ne ho fondato la sede di Caserta. Ci sono stati anni molto difficili, ma la Camorra l'abbiamo combattutta con l'impegno civico.

Quali sono stati gli anni più difficili?
Gli anni Ottanta: 700 morti ammazzati nelle nostre strade. La criminalità guidava e governava tutto, pezzi di stato erano affiliati e asserviti. Nel 1978 la camorra entra nella casa comunale, nel 1982 la occupa del tutto. Io ero consigliere comunale dell’opposizione e ho continuato la lotta contro ogni forma di oppressione. L’impegno civico è un impegno che cresce su se stesso, è nella mia natura ed è il contesto che comunque ti obbliga ad andare avanti. Nel 1991 il consiglio viene sciolto per infiltrazione mafiosa. Dopo due anni di commisariamento mi candito a sindaco per le nuove elezioni. Fino al 1992 il sindaco era l’espressione del consiglio comunale, poi si è passati all’elezione diretta. Erano gli anni in cui in Italia nascevano le liste civiche, i canditati avevano una loro storia. Vengo eletto e il 19 marzo del 1994, quando aveva 36 anni, don Peppe Diana, il prete che aveva osato sfidare apertamente la camorra dei casalesi, viene ucciso con 4 colpi di pistola nella parrocchia di San Nicola di Bari. Quando ti ammazzano un amico, un compagno che ha fatto con te un percorso di legalità, nonostante il dolore, quel percorso diventa irrinunciabile. Altrimenti la sua sarebbe stata una morte inutile, e le morti non possono essere inutili. Abbiamo fatto una lotta incredibile nel comune per difenderlo dalla calunnie ma alla fine del 1994 tre consiglieri comunali passano all’opposizione e dopo undici mesi di mandato sono costretto a dimettermi. I segnali che con il mio gruppo davamo alla città infastidivano la camorra a cui non ero simpatico. Avevano previsto di uccidermi. Ma non mi sono fermato e mi sono ricandidato altre volte anche se sono sempre stato sconfitto. Intanto la mia attività di volontariato continuava.

Poi?
Nel 2012 il consiglio comunale viene sciolto per la terza volta. Nel 2014 un migliaio di cittadini mi chiedono di ricandidarmi. Sono stato eletto. E poi quell’elezione è stata riconfermata nel 2019.

Com’è Casale oggi?
Completamente diversa da prima. Magistratura e forze dell’ordine hanno fatto un lavoro straordinario di bonifica. Gli esponenti dei clan stanno tutti in galera, chi non sta in galera è stato ucciso. In molti si sono pentiti. Oggi Casale è una città liberata ma che affronta tanti altri problemi: le infrastrutture, i pochi soldi…Casal di Principe ha il reddito medio pro capite più basso della Campania, ciò significa che è uno dei comuni più poveri d’Italia. Peggio di Casale solo 10 comuni.

E come vi state muovendo?
Abbiamo utilizzato e stiamo utilizzando i beni confiscati per metterli a servizio dei giovani e dei cittadini. Gestiamo 54 beni confiscati e molti altri ancora stanno per arrivare. Sono nate cooperative sociali, associazioni, centri di volontariato. La cooperativa Eureka, ad esempio, utilizza i terreni confiscati per la produzione di uva e realizza un vino aspiro – tipico della zona – che è stato venduto anche alla corte d’Inghilterra, la cioccolateria sociale dulcis in fundo si occupa dell’inserimento lavorativo delle persone in condizione di fragilità, la casa di don Peppe Diana è diventata la casa di tutti…

Quanto è importante la relazione tra l’amministrazione comunale e gli enti del Terzo Settore?
Fondamentale. Qui a Casale negli ultimi anni sono nate decine e decine di esperienze, che come amministrazione abbiamo appoggiato in qualunque modo, perché si prendono cura dei bisogni dei cittadini. Quando il comune, i servizi sociali, la scuola, gli enti del terzo settore lavorano in sinergia si crea senso di comunità.

Come immagina il comune tra dieci anni?
Vorrei ancora più parchi, piste ciclabili, una piscina, lo stadio messo a nuovo. Voglio una città normale dove la gente può lavorare. Una città normale che per troppi anni ci è stata negata. Dirsi casalesi deve diventare motivo di orgoglio.

Credit Foto Mauro Pagnano

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