Ernesto Albanese

«Anche la filantropia deve essere strategica»

di Anna Spena

Ernesto Albanese è un imprenditore napoletano e presidente dell’Altra Napoli Onlus. «Sono legato a questa città da sentimenti contrastanti: ammirazione per le sue straordinarie risorse e frustrazione per il modo in cui esse vengono quotidianamente sprecate. Credo davvero che un’altra Napoli sia possibile. Ma il Terzo Settore ha bisogno di facilitatori e intermediari dei progetti che conoscano le regole delle logiche aziendali»

La cadenza napoletana non è preponente. Ernesto Albanese, imprenditore, è preciso nelle parole. Una precisione concreta aderente al lavoro fatto in questi ultimi sedici anni a Napoli nei quartieri di Forcella e Rione Sanità. Ha vissuto fino ai 10 anni a Torino, lì era emigrata la sua famiglia.

Ha 57 anni e «a Napoli ho trascorso gli anni più importanti, quelli della scuola e dell'università, quelli che danno l'impronta alla formazione umana e professionale di ciascuno di noi. È per questo motivo che mi considero un napoletano "dentro" e sono legato a questa città da sentimenti contrastanti: ammirazione per le sue straordinarie risorse e frustrazione per il modo in cui esse vengono quotidianamente sprecate», racconta di lui sulla pagina web dell’associazione di cui è presidente “L’Altra Napoli Onlus”. Albanese è un manager che viaggia spesso e vive tra Roma e Milano. L’associazione l’ha fondata nel 2005 con un gruppo di amici napoletani, in buona parte residenti altrove. Oggi L'Altra Napoli conta oltre 1000 soci, tutti accomunati dallo stesso sogno: contribuire a restituire alla città la propria dignità, per riscattarla dal degrado e dall’illegalità che offuscano il suo naturale splendore e deprimono le condizioni per lo sviluppo.

I progetti che sostiene l’associazione si concentrano su interventi di riqualificazione urbanistica abbinati allo sviluppo economico ed alla valorizzazione del talento dei giovani. Nel 2006 il lavoro dell’associazione è stato segnalato della Clinton Global Initiative, la Fondazione di Bill e Hillary Clinton che promuoveva attività filantropiche e di sviluppo nel mondo.

Com’è stato spostarsi da Torino a Napoli?
Sono entrato in un mondo diverso. Napoli era già allora una città estremamente caotica. Mio padre era un dirigente della Fiat, fu sua la scelta di tornare verso casa. Io ho studiato a Napoli, qui ho fatto le medie, il liceo e poi mi sono laureato in scienze politiche ed economia internazionale. Volevo fare il diplomatico, ma dopo pochi mesi ho capito che quella strada non mi interessava fino in fondo e ho fatto un master. Il mio primo lavoro è stato in Alitalia, ho cambiato tante aziende. Ho sempre pendolato tra Roma e Milano, tornavo a Napoli per le feste. Dopo la morte di mio padre ho deciso di fondare l’associazione L’Altra Napoli Onlus.

Perché è nata L’altra Napoli Onlus?
Ho pensato di voler fare la mia parte per non abbandonare la città al suo destino. Io sono una persona abbastanza razionale e quando mio padre nel 2005 è stato assassinato mentre cercavano di rapinarlo, al di là del lutto e del dolore, mi sono chiesto come fosse possibile morire in quel modo al centro di Napoli. Ma una città può essere ridotta così per incapacità di gestione? I problemi di oggi non sono nati oggi, o nel 2005. Ma sono la conseguenza di 40 anni di trascuratezza. Così sempre nel 2005 chiamai a raccolta un po’ di amici napoletani, che come me non abitavano già in città: “Facciamo qualcosa di concreto, non le fanfaronate. Facciamo una cosa pratica per dimostrare che si può cambiare”. Cercammo di capire dove potevamo realizzare il primo progetto sul territorio e la scelta ricadde su Rione Sanità dove conobbi Padre Antonio Loffredo. Insieme abbiamo fatto una riflessione e messo giù un elenco dei possibili progetti e una valutazione economica per capire quanto dovevamo raccogliere per realizzarli. I giovani dovevano essere i protagonisti delle iniziative. La Sanità di 15 anni fa era un quartiere poco aperto agli altri, un grande intestino della città. Ci fu subito chiaro che se nei progetti non avessimo messo al centro le persone che abitavano il quartiere, qualunque iniziativa sarebbe naufragata. Decidemmo con Padre Antonio di portare le nostre idee alla Clinton Foundation (che oggi non esiste più ndr). Una volta all'anno la fondazione invitava a New York le più grandi anziade del mondo ad impegnarsi in progetti di filantropia. Era un modo per favorire lo sviluppo di una cultura della sostenibilità. Tornati in Italia ci eravamo impegnati a roccogliere un milione e 800mila euro. A distanza di diversi anni ne abbiamo raccolti sette.

I primi progetti?
Il Giardino degli Aranci alla Salita dei Cinesi, uno dei pochi spazi verdi del Rione Sanità, è stato il primo intervento dell’Altra Napoli Onlus nel quartiere. Abbiamo recuperato un’area da tempo preclusa agli abitanti; creato uno spazio dedicato ai bambini per attività extrascolastiche; e infine supportato lo sviluppo di una micro impresa, considerato che le opere in ferro che abbelliscono il muro perimetrale del giardino, disegnate dal Maestro Riccardo Dalisi, sono state interamente realizzate dagli IronAngels, una cooperativa di giovani del quartiere. Abbiamo contribuito alla nascita della cooperativa sociale la Paranza che ha preso in gestione le Catacombe di San Gennaro. Visto e aiutato a nascere Sanità Music Studio, uno studio di registrazione parte del progetto “Musica e nuove tecnologie”. Protagonisti dell'iniziativa sono stati sei ragazzi che dopo un percorso didattico durato sedici mesi, come tecnici del suono e dell’elaborazione audio-digitale hanno costituito l’etichetta discografica Apogeo Records. O ancora il progetto Sanitansamble che coinvlge circa 200 adolescenti e bambini, oltre ad un team di 15 maestri.

E poi vi siete spostati su Forcella
Il quartiere di Forcella ha le stesse opportunità e gli stessi problemi dei Rione Sanità. È un quartiere centrale ma segnato dal degrado e dalla criminalità. Eppure ricco di spazi che possono essere trasformati in volano per abitanti del quartiere. Qui abbiamo realizzaro la Casa di Vetro, uno spazio polifunzionale per i bambini e i ragazzi, un punto di aggregazione per contrastare la devianza giovanile e l’abbandono scolastico. La Casa nasce in una ex vetreria di 600 metri quadri su due livelli. Noi non gestiamo i progetti, siamo dei facilitatori. Qui a Forcella abbiamo intercettato l’associazione Amici di Carlo Fulvio Velardi a cui abbiamo affidato la gestione della struttura. L’obiettivo è valorizzare il talento del bambini con lo studio, la musica, il teatro. È importante che sviluppino una passione che li tenga lontani dalla strada. Napoli è un brand straordinario che piace a tutti, è la pancia, è la storia del mondo. Non è un posto banale.

Come sviluppate le vostre raccolte fondi per sostenere i progetti?
Il nostro è un fundraising relazionale, sottoponiamo i progetti alle imprese o partecipiamo a bandi aziendali, quindi tendenzialmente utilizziamo solo fondi privati. Il nostro approccio al fundraising è manageriale: quando alle imprese a cui chiediamo soldi dimostriamo di aver fatto cose concrete è più facile che scelgano di finanziarti. Lasciamo alle altre associazioni nostre partner sul territorio la gestione operativa dei progetti. Fanno un lavoro straordianrio perchè si occupano in prima persona di chi si trova in una condizione di fragilità, e ci auguriamo che rafforzino anche le loro competenze manageriali perchè oggi è fondamentale essere formati, attrezzati, saper progettare un business plan e fare una rendicontazione. Le aziende che donano vogliono essere sicure che i soldi che ti stanno affidando contribuiranno al cambiamento. Quindi non solo “erogatori di filantropia” ma anche “organizzatori di filantropia”.

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