Si chiama Nuove Comunità Organizzate, un progetto che ha messo insieme imprenditori sociali che nei loro territori lavorano per favorire l’inclusione sociale e la diffusione della legalità. Capofila del progetto è il Consorzio Nco in partenariato con il Comitato don Peppe Diana e la cooperativa sociale Terra Felix. I destinatari sono 146 soggetti tra Onlus, Enti del Terzo Settore e Imprese Sociali in Campania, Puglia, Basilicata e Calabria. «Il percorso di sostegno delineato dal progetto nuove comunità organizzate», racconta Simmaco Perillo, presidente del consorzio Nco, «prevede l’analisi, individualizzata e di sistema, dei fabbisogni di sviluppo aziendale; la formazione/acquisizione di competenze gestionali e imprenditoriali; la consulenza su progetti di sviluppo singoli e di rete e il tutoraggio nei progetti di sviluppo aziendali innestati in un’azione generale di rafforzamento della rete». Le aree di intervento e formazione sono il marketing, la comunicazione e le vendite; il management, la pianificazione e lo sviluppo; l'innovazione tecnologica; la sostenibilità ambientale; le produzioni e trasformazioni agricole; la ristorazione; il turismo responsabile e le didattica; l’agricoltura sociale e la commercializzazione. L’obiettivo è incrementare la riconoscibilità sul mercato rivitalizzando i beni confiscati con un brand di rete riconoscibile. Ciascuna area vedrà la disponibilità di accedere, da parte dei singoli destinatari, a più percorsi consulenziali: i Piani di Sostegno Imprenditoriale. E ciascun pacchetto avrà una durata modulabile a seconda delle esigenze del singolo destinatario, o eventualmente della microrete di destinatari pertinenti, ovvero di un sottoinsieme di destinatari accomunati da un’esigenza di supporto comune e condivisa.
Com’è nato il progetto?
Nuove Comunità Organizzate è diventato ufficiale negli ultimi mesi. Ma questa idea l’abbiamo maturata nel corso di diversi anni. É iniziato con un incrocio tra persone che abitavano il territorio e insieme hanno provato a resistere a quello che stava accadendo attorno a loro: affari camorristici, omicidi. In modo particolare dopo l’assassinio di don Peppe Diana, il prete che aveva osato sfidare apertamente la camorra dei casalesi, che è stato ucciso con 4 colpi di pistola nella parrocchia di San Nicola di Bari, a Casal di Principe, decidemmo di raccogliere il suo testimone e portarlo un po’ più avanti. Prendere la sua memoria e trasformala in resistenza sociale. Un movimento anche politico per ricostruire un modello culturale ed economico che contrastasse il modello importo dalla camorra in quegli anni. La nostra avventura è nata dai primi beni confiscati che non solo dovevano e potevano essere monito per la memoria. Il loro riutilizzo è un simbolo, una risorsa delle comunità libere. Sono luoghi che hanno ridato e continuano a dare senso alla nostra dei nostri comuni, la provincia di Napoli e Caserta, l’intera regione. Quello che fino a pochi anni prima ha significato criminalità può e deve assumere anche un altro valore. I beni confiscati sono una possibilità concreta di trasformazione. E noi questo volevamo fare: trasformare e trasformarci. Il 2002 ha rappresentato un anno importante: un gruppo di medici psichiatri arrivò sui nostri territori e guardando al sistema di relazioni e al nostro modo di fare comunità ci dissero: “siete salvi, provate ancora il senso della vergogna”.
In che senso vergogna?
Siamo portati per natura all’accoglienza, e anche un po’ all’accudimento. I nostri anziani, o le persone in condizione di fragilità non le volevamo lasciare sole. Ma come dargli un sostegno adeguato? Partimmo con una sperimentazione basata sul budget di cura, poi diventato budget di salute, e iniziammo a sviluppare dei progetti su alcuni beni confiscati, inizialmente li riutilizzammo per accogliere la fragilità. I primi progetti andarono bene ma poi campimmo che non bastava: se ti vuoi prendere cura delle persone devi partire dal territorio che ti circonda. Se il luogo in cui vivi ti squalifica, è deprimente, è brutto, chiunque avrà difficoltà a pensare che possa esistere un percorso bello nella vita. I budget di salute sono il filo rosso che lega il riutilizzo dei beni confiscati in provincia di Caserta. Sono nate fattorie sociali, imprese sociali, attività che promuovo il turismo. Sono fiorite le cooperative sociali che offrono opportunità di lavoro ai giovani, ai disabili, a chi ha sbagliato e sceglie di ricominciare. Dal 2002 al 2018 abbiamo investito sulle comunità, ci abbiamo creduto. Ora gestiamo due agriturismi, pizzerie, uno stabilimento di prodotti agricoli, una cantina, un frantoio. Un modello economico e sociale chiaro.
Quando avete capito che volevate allargare l’esperienza? Esportare il modello campano?
Volevamo rendere il nostro modello replicabile anche in contesti diversi dal nostro. Il progetto Pon, Nco Nuove Comunità Organizzate – percorsi di sostegno nella rigenerazione dei territori attraverso i beni confiscati alla criminalità, voluto dal Ministero dell’Interno è realizzato con il cofinanziamento dell’Unione Europea, Programma Operativo Nazionale “Legalità” 2014-2020, Fondo Sociale europeo e Fondo europeo di sviluppo regionale è stata la nostra occasione per esportare il modello e per costruire una rete formale di livello nazionale, non solo di relazione come quella creata tra le province di Napoli e Caserta. Da qui l’idea di proporre corsi di formazione e consulenza per le realtà che hanno in gestione un bene confiscato.
Che visione abbiamo del Sud Italia e come la ribaltiamo?
Bisogna finirla con drenare le risorse del Sud per mandarle al Nord. Lo Stato deve lavorare con questi territori. Non può più abbandonarli. Abbiamo dimostrato di saper superare spari, minacce. Abbiamo rigenerato i luoghi. Adesso in questi spazi si produce cultura, lavoro, si recuperano le persone. Noi siamo costruttori di un percorso unico per come abbiamo inteso la parola antimafia. E il compito che ci siamo presi come cittadini è costruire percorsi di libertà.
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