La guerra oggi non si combatte solo su fronti che si contendono la mossa vincente sullo scacchiere internazionale. Oggi, a ritrovarsi travolti da un meccanismo che sacrifica sull’altare dell’indifferenza e dell’abbandono, sono i giovanissimi, proprio coloro che il disagio lo vivono non avendo più modelli di riferimento in famiglia, non trovando stimoli attorno a loro, non sentendosi ascoltati rispetto a un grido di dolore che chiedono solo attenzione e cura. Un malessere che li porta ad abbandonare la famiglia e decidere di vivere per strada, all’interno di edifici diroccati dei centri storici, alla mercé di tutto e tutti, vittime prima di tutto del mercato della droga, in modo specifico il crack, gestito a Ballarò dalla “mafia nigeriana” e allo Sperone, realtà sulle quali l’attenzione è sempre più alta, ma gli interventi oggi sono ancora più repressivi che preventive – e, in casi neanche tanto numericamente bassi, della prostituzione femminile che “cattura e fa proprie” ragazze veramente molto giovani. Ragazzi che, replicando i modelli proposti dalla famiglia di appartenenza, si ritrovano a costruire una propria famiglia senza gli strumenti adeguati.
Sapendo di situazioni che si potrebbero evitare, di pericoli che si potrebbe scongiurare, quindi, stringe il cuore leggere di un’altra neonata – siamo a oltre 10 nel giro di pochi mesi a Palermo – giunta in overdose questa volta all’Ospedale di Licata, in provincia di Agrigento. "Sindrome di astinenza neonatale", questa la diagnosi, dietro alla quale c’è un’overdose da cocaina e cannabinoidi. Un’emergenza che riguarda tutta la città, partendo da quartieri periferici come lo Sperone dove nei mesi scorsi si è svolta una manifestazione per “accenderle luci sul quartiere” alla quale però è seguito un assoluto silenzio da parte delle istituzioni. Solo la società civile, il terzo settore, ha continuato a lavorare per non fare ridiscendere il buio sui caseggiati di edilizia popolare all'interno dei quali si consumano piccole e grandi tragedie umane.
Ne parliamo con Padre Gianni Notari, direttore dell'Istituto di Formazione Politica "Pedro Arrupe" di Palermo. Cosa sta succedendo? Con quale tipo di fenomeno ci stiamo confrontando?
«Purtroppo, quando manca il lavoro tutti cercano di trovare delle strade alternative per garantirsi l’essenziale. Il bambino che troviamo a spacciare allo Sperone, così come a Ballarò o allo Zen, è il risultato di una politica sbagliata che, però, riguarda e investe l'intera città. Se i genitori vivono situazioni di abbandono e degrado ci dobbiamo preoccupare tutti perché ha un ricaduta sociale su ognuno di noi. Quando parliamo di Sperone, dove i recenti casi di cronaca ci hanno fatto scoprire come i nostri bambini vivono in mezzo allo spaccio, dobbiamo chiederci se abbiamo creato e offerto loro spazi aggregativi, luoghi in cui si può dare una mano a queste persone».
Ovviamente la risposta è "no, non esistono spazi del genere". A meno che non si parli della scuola, ma questa è un'altra cosa.
«La mancanza di questi spazi, ma anche di lavoro, genera la morte sociale. Cosa fare? Anche i cittadini devono fare la loro parte e, insieme alle istituzioni, impegnarsi a costruire reti e relazioni solidali. Se gli abitanti dello Sperone o di Ballarò si ritrovano a vivere quotidianamente diritti negati, sarà un lento declino. Senza consapevolezza si arriva a credere di essere marginali in tutto e per tutto. E con la marginalizzazione non si approda a nulla. È, quindi, fondamentale rendere consapevoli le persone. E questo, lo ripeto, si fa attivando quelle reti solidali che rendono una comunità forte, solida e vicina».
Quando il fenomeno interessa che i piccolissimi, i neonati, stiamo perdendo di vista qualcosa?
«È una situazione veramente drammatica. In questo caso la responsabilità è prima di tutto dei genitori, che, però, dobbiamo aiutare. Molte volte ch vive situazioni di diritti negati diventa vittima di un carnefice. Non possiamo abbandonarli al degrado. Bisogna aiutarli a capire che non basta solo rivendicare ma pretendere il cambiamento».
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