Marco Mascia

La “stretta” via della diplomazia e della giustizia internazionale

di Luca Cereda

Dialogo col docente di relazioni internazionali e cattedra Unesco in diritti umani a Padova: «Serve una strategia comune per un negoziato condotto dall’Onu. Gli strumenti per risolvere pacificamente un conflitto ci sono: il diritto internazionale e le organizzazioni internazionali». E i Corpi Civili di Pace italiani possono essere strumenti per negoziare e mantenere la pace, basta non lasciarli in panchina

“Nell’attuale guerra in Ucraina, assistiamo all’impotenza della Organizzazione delle Nazioni Unite”ha detto Papa Francesco. C’è da confidare nelle vie di pace delle organizzazioni e del diritto internazionale. Secondo Marco Mascia, docente di Relazioni internazionali e sistema politico dell’Unione europea all’Università di Padova come scopre anche la cattedra Unesco in diritti umani all'Università di Padova e guida il Centro di Ateneo per i Diritti Umani intitolato ad Antonio Papisca, esiste una strada per evitare che il conflitto scatenato dalla Russia trasformi l’Ucraina “nell’Iraq d’Europa”. Purtroppo, sostiene il docente, questa strada non è (ancora) stata intrapresa dall’Unione europea.

Professor Mascia, partiamo dall’origine: quali sono le norme dei diritto internazionale che con l’attacco all’Ucraina la Russia avrebbe violato?
La Russia non sta rispettano la Carta delle Nazioni Unite, il diritto internazionale e i diritti umani: viola innanzitutto il principio di sovranità di un Paese indipendente dal 1991, calpesta il diritto di autodeterminazione dei popoli, l’obbligo di risolvere pacificamente le controversie e il divieto all’uso della forza.

“Nell’attuale guerra in Ucraina, assistiamo all’impotenza della Organizzazione delle Nazioni Unite” ha detto Papa Francesco. È d’accordo?

Il Papa ha ragione, le condanne non sono mancate: il 28 marzo da parte del Parlamento Europeo, il 2 marzo con la risoluzione dell’Assemblea delle Nazioni Unite votata da 141 su 193 Paesi membri (5 contrari e 35 astenuti) in cui si deplora con forza l’aggressione russa, si chiede l’attivazione di corridoi umanitari, proprio come la risoluzione che il giorno precedente era stata presentata nel Consiglio di sicurezza dell’Onu che tuttavia è bloccato dal veto della stessa Russia. Le organizzazioni internazionali sono impalpabili, ma c’è più di una ragione e di una causa per quello che vediamo oggi…

Ragioniamo allora professor Mascia come – a fronte di questa situazione – su come mai è così palpabile la fragilità dell’Onu?

In primis, come detto, il Consiglio di sicurezza dell’Onu è bloccato dal veto della Russia, ma l’Assemblea generale ha sbloccato la situazione ed è intervenuta con la risoluzione del 2 marzo: si è trattato di un passo molto importante che legittima il Segretario generale Antònio Guterres ad entrare in campo come principale attore negoziale. Anche se sono chiare le posizioni: la volontà della Russia è quella di proseguire con l’invasione e quella dell’Ucraina di resistere.

Guterres e l’Onu sono rimasti ad oggi sullo sfondo con il “pallino” delle trattative – in queste settimana più un rituale dovuto, che una reale tavolo, visto che nessuna delle due posizioni intende cedere su qualcosa – lasciato a Erdogan e alla Turchia che sti sta riabilitando a livello internazionale.

…con il premier italiano Mario Draghi che solo qualche mese fa lo ha definito “un dittatore”. Ha davvero più autorità di mediazione un dittatore che l’Onu?

Le Nazioni Unite sono così fragili perché sono ad immagine di come gli stati membri vogliono che siano. A partire dai 5 stati membri permanenti. Tutti, compresi gli Usa e gli Europei. infatti, se il 2 marzo condannano l’invasione russa, il giorno prima il Consiglio di sicurezza (CdS) ha votato una risoluzione contro l’invasione voluta da Putin, che non è passata per il veto della Federazione russa. Questa situazione impedisce a questo organismo di svolgere il suo ruolo sopra le parti. Il vero negoziatore è l’Onu con il suo segretario generale Guterres, il quale dovrebbe trasferirsi tra Kiev e Mosca finché le parti non trovano un accordo, ma di fatto l’Onu oggi non ha il sostegno nemmeno dell’Occidente.

È necessaria riforma delle Nazioni Unite? E sarà presa in considerazione a fronte anche della guerra russa in Ucraina?

Bisogna sottolineare che secondo l’art. 42, il Consiglio di sicurezza dell’Onu non può agire anche militarmente di difesa di uno stato membro messo sotto attacco o invaso – come il caso dell’Ucraina -, se gli stati membri non sottoscrivono l’articolo seguente, il numero 43. Che dice: “Gli stati hanno l’obbligo di mettere al servizio del CdS le forze armate e i dispositivi militari nazionali così che l’Onu possa agire per far rispettare l’art. 42. Dal ’45 ad oggi, nessuno ha sottoscritto quell’articolo: non la Russia, non gli Stati Uniti e neppure l’Ucraina. Il principio di una Nato dismessa a favore di un meccanismo di difesa reciproca mondiale, proposto nientemeno che dal presidente americano Roosevelt all’indomani del conflitto mondiale, non è mai stato preso davvero in considerazione.

Quello che vediamo oggi in risposta all’aggressione dell’Ucraina quindi ha radici più profonde che rendono radicata la delegittimazione dell’Onu…

È dal 1945 che gli stati preferiscono altre vie a quella delle Nazioni Unite, anche per risolvere questioni come guerre e tensioni sovranazionali. L’ultima forma in ordine di tempo, e quella più radicata oggi, è quella delle conferenze diplomatiche del G7 e del G20. Che non hanno alcuna validità e riconoscimento giuridico, ma hanno sostituito l’Onu nel dare una visione d’insieme e di orientamento delle questioni di ordine mondiale. A questo misconoscimento politico della principale organizzazione internazione, fa seguito a quello del diritto internazionale che da dopo il crollo del muro di Berlino: nessuno ascoltò Gorbačëv, nessuno costruì la “casa comune europea”, con un nuovo sistema di sicurezza e di diritti in Europa che andasse oltre i “blocchi” e rendesse l’Europa un tutt’uno politico e geografico, senza le vecchie frammentazioni.

In tal senso, cosa dovrebbe fare, a suo avviso, l’Unione europea dal punto di vista dei negoziati in Ucraina, con un ruolo politico appeso tra la pace, per cui l’Unione è nata, il sostegno bellico all’Ucraina e l’energia russa di cui il vecchio continente ha ancora molto bisogno?

Vede, l’Onu è stata istituita dopo la seconda guerra mondiale per mantenere la pace e la sicurezza mondiale. Questo spirito ha dato vita anche all’Unione Europea. L’Ue oggi non può svolgere questa funzione. Per rispondere alla domanda, bisogna capire chi sono stati finora gli attori negoziali in campo. Nel 2014, per porre fine alla crisi in Donbass, si sono attivati due gruppi. Il primo chiamato “Quartetto di Normandia” composto da Russia, Ucraina, Francia e Germania. Il secondo gruppo era composto da Russia, Ucraina e Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. I colloqui diplomatici hanno portato agli accordi di Minsk nel 2014, ma che sono rimasti solo sulla carta. Quindi entrambi i gruppi hanno fallito. L’unico attore, a mio avviso, che potrebbe entrare in campo – essendone rimasto finora fuori – sono le Nazioni Unite. Un altro segnale della debolezza della politica estera e della sicurezza comune europea, arriva dal fatto che prima di Von der Leyen, sono andati a Kiev molti leader nazionali.

Qual è secondo lei la sfida di questo momento?

Non certo quella di immaginare un nuovo ordine mondiale, semmai quella di trasformare in realtà i principi della Carta dell’Onu, oggi violati dalla Russia, in Afghanistan anche dall’Occidente. Non è possibile pensare di allargare i confini dell’Unione europea nel mezzo di un conflitto. Come scrive il papa nella sua enciclica Fratelli tutti bisogna assicurare il dominio assoluto del diritto e l’infaticabile ricorso al negoziato.

Passiamo al tema del diritto internazionale, a fronte di quanto sta emergendo a Bucha, Makariv e forse anche Maripuol, la diplomazia che aveva davanti a sé una via stretta, ora che margini può avere, e che ruolo può e deve svolgere il diritto internazionale?

Zelensky ha detto che non è pensabile scendere a patti con chi tortura il tuo popolo, dopo averlo attaccato. Il diritto internazionale penale è una rivoluzione nel diritto sovranazionale perché introduce due principi: il principio dell’universalità delle giustizia penale e quello secondo cui chi perpetra crimini contro l’umanità, di guerra e di genocidio, deve rispondere personalmente anche sul banco della giustizia internazionale.

A livello internazionale, chi riconosce il diritto internazionale?

Ha toccato un punto non indifferente per la situazione odierna: né la Russia né gli Stati Uniti e neanche l’Ucraina – anche se dal 2014 ne ha accettato la giurisdizione per verificare i crimini di guerra russi in Donbass – hanno ratificato lo statuto della Corte penale internazionale varato a Roma nel 1998. Questo di fatto priverebbe qualsiasi sentenza di una reale efficacia. Anche per i fatti che stanno emergendo essere accaduti a Bucha e non solo.

A partire dall’aprile 2014 il procuratore generale della Corte penale internazionale ha aperto un procedimento preliminare che si è conclusa nel dicembre 2020. Il procuratore riteneva che ci fossero una serie di condotte russe riconducibili ai crimini di guerra e ai crimini contro l’umanità, tali da disporre dei presupposti per avviare un’indagine. Qualche settimana fai il nuovo procuratore della Corte penale internazionale (Cpi) dell'Aja, Karim Khan ha esteso l’indagine già in corso nel Donbass al conflitto in corso.

«La situazione in Ucraina è terribile e presenta segni di genocidio», secondo il procuratore della Corte penale internazionale Karim Khan che è stato in missione in prima persona nel paese dell’est Europa sta raccogliendo le prove e ascoltando i testimoni su tutto il territorio. E ora?

La Corte si occupa di rilevare i crimini commessi da chiunque, civili o militari, non solo di una parte, a ricordarlo è stato lo stesso Khan, che si è detto molto colpito dalle immagini dei corpi in strada a Bucha e in particolare da quella di «un civile a terra con accanto la bici, e delle fosse comuni. E ha aggiunto di essere sconcertato di fronte alla quantità di ricostruzioni univoche e unitarie nei tempi e nei fatti, della popolazione ucraina.

Sebbene ancora non si possa parlare con certezza di crimini contro l’umanità e di genocidio in Ucraina da parte dei russi, che passi farà l’inchiesta della Cpi?

Il procedimento procederà con i tempi di un processo penale, che in quanto tale è personale e riguarderà il capo di stato russo, ovvero Putin in primis e poi chiunque abbia preso parte alle azioni prese in considerazione, quindi anche i generali e i soldati russi sarebbero messi sotto giudizio ed eventualmente condannati.
Ammettiamo un verdetto di condanna a Putin per quanto successo dal 2014 alla fine – augurandoci sia imminente – del conflitto iniziato a fine febbraio 2022: i paesi che hanno ratificato il trattato di Roma del ’98, se Putin dovesse calcare il loro territorio nazionale, dovrebbero arrestarlo e consegnarlo al tribunale penale internazionale dell’Aja.
Vede il “modello di delegittimazione” ritorna, così come per l’Onu, per la Cpi, il boicottaggio è stato portato avanti dai paesi membri, a partire da quelli europei e quello a stelle e strisce.

In chiusura una riflessione sulla pace e il processo di pace: i Corpi Civili di Pace italiani quanto potrebbero servire alla pace nell’est Europa oggi e per il risanamento del conflitto nel medio lungo termine, secondo lei potrebbero essere uno strumento?

Esiste una legge, la 145 del 21 luglio 2016, che è la normativa quadro che dispone le regole con cui l’Italia partecipa alle missioni internazionali. L’art 1 fa riferimento ai Corpi Civili di Pace, che sono chiamati insieme – e sullo stesso piano – alle forze armate e alle forze di polizia, a collaborare nell’ambito delle missioni di peacekeeping, ovvero di mantenimento della pace in zone di conflitto.
Perché oggi non pensare di coinvolgere i Corpi civili di Pace, in un grande progetto che veda la presenza, già nelle prossime settimane, dei nostri giovani e delle nostre organizzazioni sia in Ucraina – quando le armi saranno posate -, sia nei Paesi confinanti? Per i giovani oggi scegliere di fare il Servizio civile, a cui i CCP fanno capo, non può non significare un’opzione chiara per il rifiuto delle armi, per una difesa civile e non armata, e per la nonviolenza.

Per questo secondo lei, i CCP italiani sarebbero alfieri della pace da ricostruire in Ucraini e dell’est Europa rientrando in azioni di pace non governative promosse da realtà italiane?

Assolutamente si, in più i CCP fanno parte di una sperimentazione nata nel 2015 e che ha portato a due bandi di concorso – nel 2017 e 2019 – e si attende il terzo bando per i progetti dei Corpi Civili di Pace del Servizio civile universale. È un’esperienza matura abbastanza e con una eredità di 50 anni alle spalle, che non può restare in panchina.

Ad oggi i giovani nei Corpi Civili di Pace sono 160 anche se annualmente per il contingente dei CCP dovrebbe formare e attivare 500 giovani. Questa carenza non è un problema di budget perché il dipartimento del Servizio civile, che fa capo al Ministro per le politiche giovanili guidato oggi da Fabiana Dadone, ha ereditato per questo servizio la parte dei 9 milioni di euro nel 2017, non ancora impegnati…

Significa che in alcuni mesi il Dipartimento potrebbe mettere online un bando per progetti per i Corpi di Pace, usare l’estate per l’approvazione delle iniziative presentate, dopodiché si fanno le selezioni ed entro dicembre partono le esperienze per almeno altri duecento giovani. Questa scadenza sarebbe significativa dal punto di vista simbolico, perché sono esattamente 50 anni dalla sottoscrizione della legge sull’obiezione di coscienza, la legge 772 del 15 dicembre 1972. Ma mi sembra che manchi la visione politica nei Ministeri degli Esteri e delle politiche giovanili per attivare in tempi rapidi questi percorsi sbloccando le risorse.

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