Mercoledì 8 giugno parlerà al Festival del Fundraising di Riccione, di cui Vita è main media partner, Bill Toliver. Segnatevi il nome se non lo conoscete ancora, perché sarà un’opportunità unica per raccogliere la sfida che lancia alle organizzazioni non profit: liberarsi dei limiti della buona amministrazione e del budget per diventate veri agenti di cambiamento. Lo abbiamo intervistato mentre si preparava all’incontro nello scenario incantato delle Cinque Terre e vi proponiamo questa intervista in anteprima, nella speranza che le riflessioni di Bill, fondatore di The Matale Line, siano da stimolo per tutto il Terzo Settore.
Pandemia e guerra in Ucraina sono crisi ma anche opportunità. Che dovrebbe fare il terzo settore per coglierle?
Proprio di questo parlerò al Festival del fundraising di Riccione. Siamo a un punto di svolta nella storia dell'umanità. Succede molto raramente e la grande domanda del nostro tempo è: in che direzione "girerà la storia"?
Che risposta si dà?
Le faccio l'analogia del processo della crisalide, quando un bruco si trasforma in farfalla, attraversando un periodo in cui però è solo una confusione amorfa e tutto sembra spaventoso e impossibile da capire. Il problema è che noi vediamo ancora con gli occhi del bruco. Abbiamo l'opportunità, come esseri umani, di fare appello al nostro sé più elevato e di elevarci al potenziale di farfalla che è davanti a noi. Oppure di affidarci ai nostri impulsi di base, spaventarci e ritirarci, riportando l'umanità indietro di due, tre o quattro generazioni. Ci troviamo a una svolta molto critica e coloro che hanno la migliore comprensione della direzione che la storia deve prendere sono a volte nella posizione meno forte per guidare questo cambiamento. Per questo lancio un appello alla comunità non profit: dobbiamo fare un passo avanti e mostrare il nostro modo per far "girare la storia".
Quale il ruolo delle nuove tecnologie per questo cambiamento?
Dobbiamo fare una scelta nella nostra mente: o il cambiamento avverrà partendo da noi o avverrà passando attraverso di noi. O saremo catalizzatori del cambiamento o ne saremo vittime. La più grande possibilità di connessione umana nella storia dell’umanità, lo smartphone, è una tecnologia difettosa perché non è stata creata per costruire comunità ma per creare abitudini e impulsi. Ciò che mi fa arrabbiare è che la cosa più grande che la comunità non profit ha fatto con questo strumento straordinario è l'Ice Bucket challenge. Un'idea intelligente, ma non brillante. Invece la tecnologia non permette solo di fare questo, ma anche di pensare in modo nuovo e di fare ciò che dobbiamo nel nostro settore. Oggi abbiamo uno strumento che Gandhi, anche se era un pacifista, avrebbe ucciso per averlo, eppure non riusciamo a mobilitare il movimento sociale che abbiamo visto con lui o col pacifismo degli anni 70.
Abbiamo forse perso il senso di ciò che serve per smuovere il cuore delle persone?
Mi guardo intorno e vedo Putin, Duterte nelle Filippine dove ora sono tornati i Marcos, Bolsonaro, Trump e capisco cos'è il mondo quando cominciamo a tornare indietro. Poi vedo Zelensky e dico che c'è speranza. Il popolo ucraino ci ricorda che ci sono cose sacre e preziose per cui vale la pena lottare. E loro hanno utilizzato la tecnologia in modo brillante per raccontare la loro storia, diffondere messaggi, connettersi gli uni con gli altri, ricordando a tutti noi quanto siano sacre la democrazia e la libertà. Il nostro settore è rimasto molto indietro nell’usare questa tecnologia al servizio della gente. A volte è più facile gestire il nostro vittimismo invece di guidare, come ci viene chiesto. La mia più grande frustrazione è che nel terzo settore prendiamo in prestito la cosa più sacra che le persone hanno, la loro rappresentanza, quella dei poveri e degli affamati e poi iniziamo a scendere a compromessi in loro nome. È incredibile ma lo permettiamo continuamente. Stiamo cercando di vincere un reality o la guerra contro la fame, la violenza e il fascismo? Per questo dobbiamo cambiare il nostro atteggiamento, prendere in mano la tecnologia e raggiungere il mondo. Se non lo facciamo siamo destinati a fare le vittime.
Che rivoluzione deve fare il Terzo settore?
Molte organizzazioni non profit sono state create da pazzi che credevano di poter porre fine al problema dei senzatetto, della fame e delle guerre. Ong fondate da convinzioni folli e ispirate. Il problema è che siamo diventati troppo professionali. Molti di noi si vedono come amministratori del denaro altrui invece di innovatori, creatori di errori, intrepidi del progresso sociale. Non misuriamo i nostri fallimenti, il che è una buona cosa perché dimostra che ci stai provando. Non misuriamo l'innovazione radicale e le nuove idee. Misuriamo quanto denaro spendiamo, quanto siamo efficienti col budget. Non è così che si cambia il mondo. Spesso siamo amministratori dello status quo, quasi fossimo gli esattori delle tasse del bene sociale. Dobbiamo rompere questo paradigma e dire che siamo noi i pazzi, siamo noi le persone che dovrebbero stare in prima linea.
Qual è il problema più grande che ha affrontato?
L'inerzia. Le persone sono bloccate in schemi. Hanno così tante abitudini diventate sacre che spesso sono sentite come troppo difficili. E così iniziano ad accontentarsi sempre di più invece di provare il cambiamento. Quando gli Stati Uniti hanno portato un uomo sulla Luna, l'età media al Controllo Missione era di 28 anni e avevano 18 anni quando Kennedy disse "mandiamo un uomo sulla luna". Quei giovani erano troppo stupidi per rendersi conto che non era possibile mettere un uomo sulla luna e così lo fecero, mi spiego? Oggi ci comportiamo sempre più come un'azienda. Creiamo un'illusione di statistiche e big data, ma non significa nulla perché un’azienda di successo è come uno squalo che si muove nell’acqua: deve essere costantemente in movimento, ascoltare, agire, imparare ed evolvere in tempo reale per essere rilevante. Invece di agire come persone che stanno cercando di mettere il primo uomo sulla luna stiamo cercando solo di diventare più professionali, ma non si può porre fine alla fame senza l'illusione della grandezza. Bisogna credere che la grandezza sia possibile. Abbiamo perso di vista il fatto che il nostro lavoro dovrebbe essere il più difficile di tutti, perché stiamo cercando di risolvere i problemi più difficili di tutti che non si possono affrontare nel solito vecchio modo. Dobbiamo concentrarci molto di più sul perché abbiamo l'obbligo morale di esistere e, se non lo facciamo, dovremmo fare altro.
Qual è il segreto per aumentare la raccolta fondi delle ong?
Dobbiamo guardare ai nostri valori, a quelli delle persone che serviamo, delle persone con cui lavoriamo e che ci sostengono. Il punto in cui tutti questi valori si intersecano è dove possiamo parlare di noi collettivamente, dei valori che condividiamo e che creeranno cambiamento. Riuniamo le persone non per i dettagli particolari di una storia, quanto per la sua morale. Crediamo in queste cose che sono le verità senza tempo che ci guideranno. Se anche voi credete in queste cose, unitevi a noi. È una cosa difficile da dire e dobbiamo stare attenti a come la traduciamo, ma stiamo cercando di lanciare una guerra santa caratterizzata dalla passione e dall'impegno per creare progresso, per porre fine a guerra, fame e povertà. Ci sono risorse più che sufficienti e questo non significa che tutti debbano sacrificarsi ma abbiamo costruito un sistema economico che trasferisce dall'Occidente ricchezza a sufficienza per tenere sotto controllo la maggior parte dei problemi del mondo, non per risolverli. Noi invece dovremmo risolvere i problemi, quindi dobbiamo rompere questo paradigma di potere. Dobbiamo smettere di fare i venditori e passare ad essere i driver del movimento sociale, il narratore in capo. Creare questo movimento sociale invece che raccogliere più denaro è l'obiettivo principale ed è una delle misure del successo, perché se siete grandi il denaro vi seguirà.
È ottimista sugli scenari per il Terzo settore?
Sono determinato a lavorare sodo per poter essere ottimista. Non si tratta di una reazione chimica è un esperimento di sociologia. L'unica variabile in tutto questo sono i pensieri e le convinzioni dell'umanità. Ogni volta che abbiamo fatto progressi in questo mondo, è stato perché abbiamo mostrato alle persone che c'era un modo migliore. L'unica cosa che può sconfiggere la paura è se vedo che c'è qualcosa di meglio, se no vado a cercare ciò che mi è familiare, il vecchio modo che fa appello ai nostri impulsi più primitivi.
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