Ermete Realacci

«L’ambientalismo non è un obiettivo per il futuro: ecco come già oggi tutto sta diventando green»

di Luca Cereda

Ermete Realacci, presidente di Symbola e tra i fondatori di Legambiente, del Kyoto club e tra i primi firmatari del Manifesto di Assisi del 2020, al Festival della Green Economy di Parma: «Energia? È l’ora delle rinnovabili, e possiamo andare più veloci di così»

C’è un’Italia che fa l’Italia, quella dello stereotipo che "si stereotipa" perché 9 casi su 10 conferma l’assioma: è quel Belpaese che sfugge alle regole europee in termini di transizione ecologica – è l’unico tra i grandi Paesi dell’Unione a non avere una legge sul contrasto alla crisi climatica, ma procede di documento in documento – e alle analisi internazionali dei rating e delle misure esclusivamente quantitative. Un Paese che secondo Ermete Realacci, presidente di Symbola – che si occupa di green economy, cultura e coesione sociale -, va guardato negli occhi per essere “smascherato” e reso consapevole della sua potenza e delle sue eccellenze, perché possa correre sui binari di un futuro più verde e più inclusivo. Per questo Realacci ha lanciato un appello all'azione con il manifesto “L'Italia in dieci selfie”, «scritto per affrontare con coraggio la crisi climatica. Farlo non è solo necessario, ma rappresenta una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d'uomo e per questo più capaci di futuro. Penso – aggiunge dal Festival della Green Economy di Parma – che sia cruciale anche il mondo in cui questa transizione si fa, come si mette in pratica la transizione, un percorso che conviene anche economicamente, perché comporta uno sviluppo verde che non lascia indietro nessuno.

“L’Italia in 10 selfie”, ha chiamato questo manifesto: quali sono questi “fermo-immagine” che raccontano la situazione energetica ad oggi?

Pochi sanno che l'Italia è il Paese europeo con il più alto tasso di riciclo sul totale dei rifiuti (79,4%); che siamo il leader nella produttività nell'uso delle materie prime; che è italiano il più grande operatore al mondo nelle rinnovabili, l’Enel; che 441mila imprese hanno investito negli ultimi 5 anni in prodotti e tecnologie green; che l’Italia è leader nel design e al primo posto nel mondo di siti nella lista dei patrimoni dell'umanità. E potrei andare avanti nella lista dei “selfie”…

Questa è la lista delle eccellenze, bastano o sono un punto partenza?

Questo è il trampolino della consapevolezza per guidare la transizione e accelerarla. Da qui possiamo partire per affrontare non solo i nostri antichi malanni, ma le sfide del futuro. E possiamo farlo dentro la missione che si è data l'Europa con Next Generation Eu o Pnrr.

Penso al legame con il territorio, con i centri storici, con le comunità, all’attenzione alle specificità della filiera produttiva: è questa la nostra identità autentica. Mai abbandonarla. Il nostro Paese dà il meglio di sé quando incrocia i suoi cromosomi antichi con un modo tutto italiano di fare economia, che tiene assieme coesione sociale, nuove tecnologie e bellezza, capacità di parlare al mondo senza perdere legami con territori e comunità. Non c’è nulla di sbagliato in Italia che non possa essere corretto con quanto c'è di giusto in Italia».

Impennata dei costi delle materie prime, la guerra russa in Ucraina, hanno rallentato la svolta green?

No, l'ha rafforzata. Certo, le emergenze vanno affrontate, ma faccio un esempio: se non ci fossimo arenati sulle rinnovabili, ora saremmo molto più forti, nonostante la guerra. L'ha detto anche Draghi. Se vuoi rispondere a questa crisi energetica, hai una sola strada: più rinnovabili. Un Paese come la Germania aveva nel 2000 il 5 per cento da fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica, adesso è sopra il 50 per cento e punta ad avere l'80 per cento nel 2030 e il 100 per centro nel 2035. Parliamo di Germania, non del Lussemburgo. Se vuoi abbassare le bollette alle famiglie, non devi dare mance, ma mettere a disposizione un altro tipo di energia. E questo produce anche occupazione».

Il capitolo 2 del Pnrr, dedicato alla transizione ecologica, è il più ricco. Ma secondo lei siamo pronti a gestirlo?

La maggior parte dei fondi deve essere destinata alla transizione ecologica. Mi è rimasto molto impresso quando Papa Francesco, anni fa, andò a Strasburgo e fece un discorso durissimo sull’Europa, "stanca e invecchiata, non fertile e vitale, non più paladina dei diritti dell'uomo". La nuova commissione di von der Leyen, fin dall'inizio, ha lavorato sul Green Deal e questa spinta si è rafforzata nella pandemia, aumentando la solidarietà tra gli Stati e puntando su tre parole fondamentali: coesione, transizione verde e digitale. Non si tratta di fare scelte buoniste, ma di una strada a senso unico.

Spesso si associa al termine “energia” il tema della mobilità, ma a consumere energia non ci sono solo le nostre auto, ma anche le nostre case. In che modo il Pnrr può incidere?

Quello dell’edilizia è un settore drogato dai bonus nei mesi scorsi. E travolto, in tempi di guerra, da un aumento dei prezzi delle materie prime che rischia di bloccare l'avanzamento di diversi progetti, tra cui quelli delle opere pubbliche finanziate con i fondi del Pnrr.

Per l'edilizia i tempi non sono certo facili, pianificare oggi è difficilissimo perché ci sono troppe variabili che condizioneranno i prossimi mesi e anni. Alcune di queste sono interne al settore, come il superbonus, che sappiamo già essere in scadenza, e questo toglierà una fetta di mercato importante a un sistema che non si sta attrezzando per rendere questa spinta strutturale. Le tensioni internazionali, poi stanno creando delle speculazioni sulle materie prime e una forte carenza delle stesse.

La nota positiva è però che gli choc di questo periodo storico non faranno passare in secondo piano l'attenzione all’ambiente perché ormai la sostenibilità è entrata nella cultura dei progettisti ma soprattutto del cliente. Prima le scelte green erano viste con diffidenza perché creavano costi e limitazioni, ma oggi c'è una nuova sensibilità.Quello che mi preoccupa però è la mancanza di una visione strategica di settore.

In chiusura ci faccia un esempio di un’azione davvero necessaria oggi

L'Europa con i suoi 500 milioni di consumatori è il più grande mercato del mondo. E deve attrezzarsi alle sfide globali. Se noi portiamo avanti quel progetto giustissimo che è Carbon adjustment fee, cioè una tassa sui prodotti di ingresso sulla base delle emissioni di CO2, secondo me sarebbe un rafforzamento formidabile della nostra economia. Una grande tutela per i nostri prodotti di qualità.

Questa non rischia di restare solo carta, o al massimo retorica? O può diventare realtà?

Assolutamente realtà. Affrontare con coraggio la crisi climatica non è solo necessario, ma rappresenta una grande occasione per rendere la nostra società più a misura d'uomo e più capace di futuro.

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