Richard Frechette

La vita ad Haiti è impossibile, ma non senza speranza

di Anna Spena

Padre Richard Frechette, medico, da 37 anni vive ad Haiti, uno dei Paesi più poveri del mondo. È il punto di riferimento della Fondazione Francesca Rava e lavora come medico all’ospedale Saint Damien, unico pediatrico e gratuito sull'isola, sostenuto dalla fondazione. «Le persone vivono nel terrore», dice. «Comandano le bande armate. L'altro giorno, mentre cercavo di liberare un collega sacerdote rapito, mi hanno puntato le pistole contro due volte. Ma come suor Luisa Dell’Orto noi non andiamo via, non abbiamo paura. La morte non ci scoraggia se l’obiettivo è cercare la vita»

Lo scorso 25 giugno è stata uccisa ad Haiti, nella capitale Port au Prince, suor Luisa Dell’Orto. Viveva nel Paese da 20 anni. Sorella del Vangelo di Charles de Focauld, era la colonna portante di Kay Chal, nata in un sobborgo poverissimo della capitale. Haiti, quasi undici milioni e mezzo di abitanti, è il Paese meno sviluppato dell’emisfero settentrionale e uno dei più poveri al mondo. Circa l’80% della popolazione vive in una condizione di povertà degradante, il 54% vive con meno di un dollaro al giorno. Ad Haiti, la situazione è sempre più drammatica, il Paese è in mano alle bande armate che raccattano per strada bambini soldato. Eppure Haiti sembra essere totalmente caduta nell’oblio. «Qui la vita è impossibile», dice Padre Richard Frechette, medico e punto di riferimento dell’azione umanitaria di N.P.H e della Fondazione Francesca Rava all’ospedale Saint Damien, sostenuto dalla fondazione, unico pediatrico e gratuito sull’isola, che assiste e cura 80mila bambini ogni anno. Padre Rick Frechette vive da 37 anni ad Haiti. Padre Rick è anche il fondatore di St Luc Foundation che dà lavoro a più di 1600 ragazzi haitiani.

Dopo l’uccisione di Suor Luisa Dell’Orto, i media italiani hanno ricominciato a parlare di Haiti. Ma perché è così difficile mantenere l’attenzione su uno dei Paesi più poveri del mondo?
Ci sono così tante urgenze del mondo e mi rendo conto di quanto sia difficile concentrarsi solo su un luogo. L’emergenza sanitaria con il Covid, la guerra in Ucraina, le sparatorie di massa negli stati Uniti… questi sono solo alcuni esempi di quello che accade intorno a noi. Ci sono troppe cose da vedere e sapere e forse c’è troppa poca attenzione per capire ed aiutare.

Com'è vivere ad Haiti?
Haiti è un Paese con un governo disfunzionale, un Paese gestito da bande armate. Bande armate potenti che terrorizzano i cittadini e controllano la capitale Port au Prince. La vita è impossibile. Le persone vanno avanti nel terrore. I rapimenti e la criminalità sono all’ordine del giorno. Il costo della vita è elevatissimo la disoccupazione dilagante. Il Nord e il Sud sono lontani dalla capitale, non ci sono servizi. Sono tantissimi gli sfollati interni ì, chi può abbandona il Paese.

Come si è arrivati a questo?
La storia di Haiti da sempre è stata caratterizzata da ingiustizie e discriminazioni. É una popolazione di gente povera. Povera ma buona che è finita nella mani delle bande armate.

Le giovani generazioni sono disorientate. Non esiste possibilità di lavoro o possibilità di avanzamento nella vita. E questa mancanza di opportunità si trasforma in cinismo, in attrazione verso il guadagno con mezzi illeciti e in un intorpidimento esistenziale. Ma i giovani sono tutto: l’età media qui è di 16 anni.

Come si è trasformata l’isola dopo il terremoto del 2010 che ha fatto oltre 220mila morti e la successiva epidemia di colera che uccise altre 10mila persone?
La fase di ricostruzione è stata piena di abusi e corruzione. Ma di fatto niente è stato poi ricostruito. Dopo il terremoto, il colera, dopo il colera due uragani, dopo gli uragani il covid, poi l’assassinio del presidente e dopo ancora un altro terremoto. Le bande armate la fanno da padrone. Haiti non si è mai ripresa, questa è la verità. Per ripartire, per ricominciare davvero si dovrebbe ripristinare un ordine pubblico che adesso non c’è.

Non ha paura?
Come ha detto l’arcivescovo di Milano, il monsignor Mario Delpini ricordando suor Luisa Dell’Orto, lei non è andata ad Haiti per cercare la morte: “Non vanno a cercare i pericoli, ma i segni del Regno di Dio che viene, in mezzo ai poveri, tra coloro che sono importanti solo per Dio e ignorati da tutti. Amano la vita, non vanno a cercare la morte là dove quattro spiccioli contano più di una santa donna; vanno a seminare parole di Vangelo, perché anche ai Paesi disperati si aprano via di speranza”. Suor Luisa era qui per cercare la vita per coloro la cui vita è in pericolo. Nessuno di noi cerca la morte ad Haiti, noi cerchiamo la vita. La cerchiamo per i malati, i poveri, gli orfani. Per le tante persone dignitose che sperano in un futuro diverso, migliore per i proprio figli. E no, non mi scoraggio, la morte non mi scoraggia perché l’obiettivo è cercare la vita. Siamo qui per la vita e come suor Luisa, anche davanti alla possibilità della morte, non scappiamo. Andare sarebbe come tradire Dio e il lavoro, il compito che ha dato a ciascuno di noi.

Le giovani generazioni sono disorientate. Non esiste possibilità di lavoro o possibilità di avanzamento nella vita. E questa mancanza di opportunità si trasforma in cinismo, in attrazione verso il guadagno con mezzi illeciti e in un intorpidimento esistenziale

Padre Richard Frechette

Dove trova la speranza?
Ovunque ci sia una persona coraggiosa. Ora, capirete cosa intendo: Lavoro in un Paese pericoloso e in via di sviluppo. L’altro giorno ho visto alcuni studenti camminare in gruppo per strada. Lo fanno per evitare i rapimenti. Ma ne hanno lasciato uno molto indietro. Camminava senza amici. Zoppicava. Si è raccolto la camicia sulla testa per evitare il calore. Sono passato di lì un’ora dopo e lui non era molto lontano. Mi sono fermato a parlare con lui e gli ho offerto un passaggio. Ho saputo che è uno studente della nostra scuola per disabili. Ha 12 anni. Ogni giorno cammina per 3 miglia fino alla nostra scuola. Ci mette quattro ore. Deve partire alle 5 del mattino per arrivare a scuola alle 8, e uscire alle 13 per essere a casa alle 16. In un Paese con tutti gli indicatori di vita peggiori e in un luogo così poco accogliente per i disabili, dove viene apertamente evitato da una cricca di normodotati, lui mostra una determinazione fenomenale a lottare, imparare e diventare qualcuno, contro ogni previsione. Ora ho pagato il trasporto per lui. Ora può partire alle 7.30 del mattino. E tornare a casa in 30 minuti. È lontano dalla strada, dalle sue gambe malandate, dal sole. E così felice, e così grato. È una speranza enorme per me vedere la sua testimonianza e la sua forza di carattere. È motivante per me. È anche una speranza poter fare qualche piccola cosa per la sofferenza di qualcuno. Non siamo isole.

L’altro giorno, mentre cercavo di liberare un collega sacerdote rapito, mi hanno puntato le pistole contro due volte. Adolescenti arrabbiati con armi e furia

Padre Richard Frechette

Quando uno soffre soffriamo tutti, quando uno è sollevato siamo tutti sollevati. L’altro giorno, mentre cercavo di liberare un collega sacerdote rapito, mi hanno puntato le pistole contro due volte. Adolescenti arrabbiati con armi e furia. Ma non con me. Quando le pistole sono puntate su di te, ti rendi conto che potresti finalmente essere alla fine della tua vita. Si lotta per capire cosa sta succedendo, cosa potrebbe accadere, cosa si potrebbe dire. Alcuni di questi giovani gangster li ho aiutati a riabilitarsi nel corso degli anni. Uno di questi, per coincidenza, è venuto a trovarmi proprio il giorno successivo alla mia aggressione. Aveva appena subito una rapina da parte di 50 uomini armati, la sua piccola attività di autolavaggio saccheggiata, suo cugino, che lo assisteva, era stato colpito due volte al braccio. Entrambi sono venuti da me in preda al panico. Il mio primo pensiero è stato: che privilegio essere un rifugio per qualcuno in difficoltà.

I cambiamenti che aiutiamo a realizzare nelle persone sono spesso profondi e resistono alla prova. È una speranza.

Padre Richard Frechette

Sono visto come un vero padre, rappresento la casa. Un luogo di sicurezza, di comprensione, di aiuto. È una sensazione di grande speranza. Essere una casa e un focolare. Ci siamo occupati prima del cugino al pronto soccorso e poi ho cercato di calmare Ronald che era enormemente fuori di sé. Ronald mi ha detto che la banda è andata a trovarlo per dirgli che conoscevano il suo passato da gang sapevano che si era ravveduto, ma ora avevano bisogno di lui nella loro banda. Ha detto loro che ora ha 35 anni, non più 18. Ha dei figli. Ha figli e una madre anziana. Ha imparato una buona strada non tornerà a quella vecchia, che è un vicolo cieco. E poi ha sofferto per la sua decisione. Lo hanno attaccato. Ma è una decisione di luce. Una decisione nobile. Di fronte al male. È una speranza. I cambiamenti che aiutiamo a realizzare nelle persone sono spesso profondi e resistono alla prova. È una speranza. Sono orgoglioso di lui e gliel’ho detto. L’ho portato in cortile e gli ho mostrato la mia fionda. Come Davide davanti a Golia, ho raccolto 5 pietre lisce e le ho sparate, mostrandogli la mia buona mira su un albero lontano. Gli dissi che rifiutavo le armi, ma che avrei usato questa fionda contro chiunque lo avesse attaccato di nuovo, sparandogli nel sedere. Mi ha guardato come se fossi pazzo, che è quello che volevo accadesse. Mi ha detto che apprezzava questo sostegno – in effetti aveva le lacrime agli occhi – ma mi ha anche detto quanto fosse sciocco pensare di poter affrontare il mostro di una banda con una fionda. Gli ho detto che il suo commento non mi era chiaro e che era meglio riferirsi a Davide, vittorioso ai piedi di Golia morto. Vedevo che iniziava a bilanciare la paura con l’amore dell’amicizia. Le sue gambe si sono rassicurate. L’amicizia guarisce. Questa è speranza.

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