Elena Hoo

La Don Chisciotte che crede nel bene comune

di Gilda Sciortino

Per Elena Hoo, la scoperta della formazione offerta da FQTS ai quadri del Terzo Settore, ha rafforzato la sua convinzione che le cose belle si costruiscono insieme. Farlo comprendere ai soci della sua associazione, l'Auser, non è stato facile. A maggior ragione operando in Calabria, regione in cui l'associazionismo non ha ancora fatto suo il concetto di rete

Non è facile lavorare in Calabria, soprattutto se operi nel sociale e devi cominciare dalla tua stessa organizzazione a far comprendere che il cambiamento sociale avviene quando si comincia a pensare in maniera globale, quando cominci a credere che le cose buone si possono fare solo insieme agli altri.

Per Elena Hoo, presidente dell’ Università Popolare della Libera Età Auser di Rende (Cosenza), è grazie al percorso in FQTS, la Formazione per i Quadri del Terzo Settore, che ha potuto fare comprendere alla sua associazione il tipo di approccio che si doveva avere se si voleva incidere in un territorio che di emergenze ne ha veramente tante.

«Ero un’assistente sociale e sono stata per diversi anni anche dirigente sindacale. Ho anche fatto una piccola esperienza politica come consigliere comunale di Cosenza. La linea trasversale di tutte le mie attività è stato il sociale e la partecipazione alla vita associativa, il mondo a me più congeniale. All’Auser sono arrivata con questo stesso spirito, dopo che sono andata in pensione, con l’idea di realizzare cose concrete, fondando insieme ad altre persone il circolo di Rende che si occupa appunto dell’Università popolare.Abbiamo pensato a questa attività perché Rende fa parte dell’area urbana di Cosenza ed è la parte costruita più recentemente, con una popolazione di livello medio. Ci sono sempre molte sacche di disagio, ma meno visibili di quelle che puoi trovare nel centro storico della città. Abbiamo così pensato che, per arrivare alle persone la cosa migliore fosse di passare dalle attività sociali e culturali. Abbiamo cominciato nel 2015 con 3 persone e oggi i soci sono altre 200 soci».

Una risposta quasi immediata perché ha subito colmato il vuoto di spazi nei quali costruire legami sociali, un luogo per la socialità che potesse incidere con una visione che guarda anche al tema della condivisione dei beni comuni?

«L’idea era di creare uno spazio nel quale costruire relazioni, prima di tutto con le persone, ma non solo. In Calabria abbiamo una forte disoccupazione e non esistono luoghi o attività se non quelle organizzate dalle associazioni. Un po’ in tutta la regione sembriamo molto socievoli, ma poi i gruppi lavorano nel chiuso. Ognuno si occupa e preoccupa del proprio ambito di intervento e sono veramente poche le relazioni. Il tema della condivisione dei beni comuni è una cosa molto nuova per il nostro territorio che fa molta fatica a decollare proprio per questa chiusura che c’è e che è soprattutto culturale. Per questo la nostra proposta ha avuto successo perchè, oltre alle attività culturali che vanno dalla letteratura alla storia, dal benessere fisico agli allenamenti per la mente, senza dimenticare i momenti di festa che rallegrano tutti, abbiamo cercato di fare altro».

Andare oltre proponendo anche la partecipazione ai momenti formativi proposti da Fqts?

«A Fqts ci siamo iscritti nel 2021. A me è piaciuta l’idea di poterlo fare come direttivo attraverso un corso che riguardava gli enti del terzo settore. Mi stimolava l’idea di partecipare insieme perchè sino ad allora avevo cercato in grande solitudine di portare avanti un’altra idea, in aggiunta a quello che già facevamo, che era quella di coniugare le attività del nostro fare comune nella visione più ampia del cambiamento sociale. Ci avrebbe aiutato a essere più utili comprendere che le cose si possono fare cose ma solo se siamo insieme. Nel tempo siamo rimasti in pochi perché qualcuno si è ritirato in quanto non ha condiviso o magari anche perché non ha ritenuto opportuno mettersi in gioco, non saprei. È comunque stato un grande stimolo per tutti noi. Per me personalmente, poi, è stato modo per condividere di più il mio sentire rispetto al cambiamento sociale, dare maggiore attenzione al territorio e alla comunità, utilizzando la formazione per un’apertura più collettiva a questa progettualità. Oggi stiamo lavorando sull’essere innovativi, guardare alla co-programmazione e alla co-progettazione. Non è successo alcun miracolo, ma siamo sulla strada del cambiamento, faticosa ma pina di soddisfazioni anche personali per ognuno di noi».

Tutto questo avviene in Calabria, una regione per nulla facile da tanti punti di vista….

«Cominciamo a dire che la Calabria è una realtà in cui c’è un enorme gap culturale. Rispetto al Nord, per esempio, abbiamo meno persone propense a fare associazionismo, anche se le realtà sono numerose. Poi, il tema dei beni comuni, abbiamo provato a portarlo in associazione, ma ancora oggi non riscuote grande interesse perché ognuno è abituato a guardare il proprio orticello, il proprio privato. Da questo punto di vista si è in ritardo perché la Regione Calabria è sempre vissuta di assistenzialismo,quindi anche le politiche pubbliche ne risentono. Siamo ancora con gli assegni, con i contributi dati a pioggia, e non certo per risolvere i problemi. Anche le associazioni hanno questa idea della pubblica amministrazione, infatti vivono grazie ai contributi del Comune e della Regione. E l’ente pubblico non ha alcun interesse a cambiare le cose perché legato alle logiche elettorali».

Un circuito negativo che si autoalimenta e che è veramente difficile da cambiare….

«Le associazioni non riescono ancora a capire l’importanza di fare rete, di presentarsi alla pubblica amministrazione con veri progetti, non aspettando che esca il bando. A volte mi sento come se fossi Don Chisciotte, ma non c’è altra strada di quella da noi intrapresa . Prima il nostro fare era concentrato sul quotidiano, mentre oggi abbiamo aperto di più alle collaborazioni, cercando di riflettere ogni volta che ci vediamo sul senso del nostro agire, facendo attenzione all’impatto che hanno sul territorio le nostre azioni. Operiamo per la cittadinanza attiva, per creare consapevolezza. È tutto in itinere, ma è come se ci fosse un faro che si è improvvisamente accesso davanti a noi e cerchiamo di seguire questa illuminazione».

Un percorso di cambiamento anche personale Fqts?

«Certamente. Era da tempo che cercavo di partecipare a uno dei loro corsi. In origine, quando facevo sindacato , ho seguito dei corsi di formazione per diventare formatrice, ma il taglio è sempre vstato sindacale. Quello di Fqts è sociale ed era quello che cercavo, infatti mi ha dato tantissimo. Ho fatto corsi sull’emersione delle competenze o sulla co- programmazione anche attraverso l’Auser, che a livello nazionale ha stipulato degli accordi con Fqts, e oggi mi trovo con un bagaglio personale importante. Il nostro direttivo, ha imparato a guardare l’impatto sociale delle azioni, ad analizzare gli indicatori e rilevare i risultati,; ci ha guidato a tenere d’occhio le statistiche, a capire meglio la realtà in cui interveniamo. Non è poco».

In questo percorso, quanto sono presenti i giovani?

«Non è facile relazionarsi con loro anche perché nei due anni di pandemia non abbiamo potuto coltivare i rapporti intergenerazionali. Stiamo cercando di allargarci al loro mondo, tentando di aprire la sede anche nelle ore serali. Abbiamo avviato un ragionamento su come potere diversificare la nostra offerta di socialità. Io personalmente insisterò con tutti per fare sempre di più. La formazione di Fqts mi ha dato la forza per non sentirmi sola anche perché, confrontandomi con chi lavora nel resto dell’Italia, ho capito che è tutto possibile, se lo vuoi. Piano piano ci arriveremo anche noi».

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