Stefano Ciafani

L’«ambiente» torna in Parlamento

di Luca Cereda

Se da un lato esistono in Italia esperienze decennali di tutela dell’ambiente, come quella di Legambiente, ma anche del Wwf e di Greenpeace, queste istanze sono spesso rimaste fuori dal Parlamento. Con l’ultima tornata elettorale il partito dei Verdi torna alla Camera e al Senato. Ciafani, Legambiente: «Bisogna recuperare in fretta anni di immobilismo sul cambiamento climatico»

Superato lo scoglio del 3% (arrivando al 3,63%) il co-portavoce dei Verdi, Angelo Bonelli, e il leader di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, hanno riportato il cartello verdi-sinistra in Parlamento, con una quindicina fra deputati e senatori. Nel programma del partito, alleato nella campagna elettorale a Pd e +Europa, tutto il “pacchetto” di proposte per fronteggiare la crisi climatica, ruota intorno all’approvazione di una Legge sul clima, anche perché “negli ultimi quarant’anni – si legge nel programma – l’Italia ha registrato ventimila morti a causa di eventi climatici estremi, seconda solo alla Francia come numero di decessi”. Eppure rispetto a tanti altri Paesi dell’Europa, dove i verdi sono tra i primi partiti, o dove un intero slot del confronto elettorale del 2020 tra Trump e Biden ruotava intorno alle loro proposte per il clima, la transizione ecologia e la decarbonizzazione, «in Italia c’è una forte tradizione culturale di tipo ambientalista. Ci sono realtà quarantennali come la nostra, Wwf, Greenpeace, ma queste tradizioni sono stati quasi sempre insignificanti a livello politico», ammette Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente.

In campagna elettorale nonostante la siccità dello scorso inverno e dell’estate non si è parlato di soluzioni e di contrasto alla crisi climatica, ma sono di energia, come mai?

Oltre alla siccità e alle ondate di calore che hanno reso l’estate 2022 la più calda di sempre e la prima delle prossime estati da crisi climatica, per la prima volta sono state numeroso le conseguenze di questi fenomeni anche nel nostro Paese: oltre a quelli che abbiamo già ricordato c’è stata la tragedia della Marmolada causata dallo scioglimenti dei ghiacciai che stanno sparendo, fino all’ultima dramma dell’alluvione nelle Marche, a cui ha compartecipato la cementificazione, ma è uno di quegli eventi che da canonici – una pioggia intensa a settembre – diventano 6 mesi d’acqua in qualche ora. Eppure nella campagna elettorale italiana e nelle precedenti legislature, la lotta alla crisi climatica è un “nano politico”. Si è parlato di energia e di bollette, che sono anche effetto delle crisi climatica, ma hanno a che fare soprattutto con lo scenario pandemico e con la guerra russa in Ucraina.

A questo punto con un’esigua, ma esistente, rappresentanza politica, qual è la prima legge o norma necessaria per il nostro Paese in campo ambientale: una Legge sul clima?

Guardi, ci accontenteremmo che l’Italia facesse due passaggi, che tra l'altro avrebbe il dovere di compiere.

Di quali si tratta?

La prima è aggiornare il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) al piano europeo REPowerEU che ha come obiettivo la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra del 55 per cento entro il 2030. L’altra mossa necessaria, visto il ritardo accumulato, è l’approvazione del Piano nazionale sull'adattamento climatico, in standby dal 2018. Senza questo continueremo a gestire ogni fenomeno generato dalla crisi climatica, come un’emergenza. L’alluvione nelle Marche dovrebbe aver fatto capire definitivamente alla classe politica che abbiamo bisogno di sbloccare il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici.

Dalle sue analisi sembra che si parta da zero o quasi in termini di transizione ecologica e di adattamento ai cambiamenti climatici ne nostro Paese, eppure negli ultimi anni c’è stato anche un Ministero dedicato alla transizione ecologica

Questi ultimi anni sono stati caratterizzati incomprensibilmente da una narrazione in negativo della "rivoluzione green" paragonata a un bagno di sangue, per le politiche orientate alla diversificazione dei paesi da cui ci approvvigioniamo di gas fossile e non per quelle finalizzate alla riduzione delle bollette e della nostra dipendenza dall’estero, puntando su semplificazioni efficaci e iter autorizzativi veloci di impianti a fonti rinnovabili e dell’economia circolare, nuovi accumuli e reti. Da parte di tutti i partiti, a cominciare da quelli che sosterranno il prossimo governo, ci aspettiamo più coerenza rispetto allo storico voto unanime del febbraio scorso, che ha portato all’inserimento nella Costituzione della tutela dell’ambiente, della biodiversità e dell’interesse delle future generazioni.

Insomma, occorre correggere la rotta rispetto a quanto fatto fino a oggi, in che direzione dovrà lavorare la ritrovata rappresentanza verde al Parlamento e l’associazionismo ambientalista?

Noi non faremo mancare il nostro contributo, come dimostra l’Agenda di Legambiente che abbiamo presentato ai partiti e che mette al centro la difesa dell’ambiente e gli interessi delle imprese e delle famiglie. In tutto questo penso sia fondamentale invertire la rotta di questi ultimi mesi, eliminare i sussidi alle fonti fossili, fissando un tetto ai profitti delle aziende che estraggono e trasportano gas fossile o petrolio, fino a ridurre le dispersioni dirette di gas metano fino alla loro eliminazione.

L’ultimo tema che vorrei toccare insieme a lei, ma non in fondo alla graduatoria per importanza, è quello della transizione energetica. L’Italia in questi ultimi anni è rimasta al palo rispetto a tanti altri Paese dell’Europa per la produzione di energia da fonti rinnovabili, anche per via di una burocrazia asfissiante e a tratti scriteriata.

È vero, c’è l’urgenza di definire il quadro normativo per realizzare le comunità energetiche e di mettere a bando velocemente le risorse destinate all'agrivoltaico che produce energia in agricoltura senza consumo di suolo. Questo va fatto insieme ad un ripensamento delle politiche territoriali, a partire dalle aree urbane, mettendo in campo le azioni per ridurre il rischio idrogeologico e quello sanitario da ondate di calore. Detto ciò, va colonizzato l’iter di autorizzazione degli impianti a fonti rinnovabili, potenziando – quindi assumendo e formando nuovi professionisti del settore – la Commissione VIA/VAS del MITE e gli uffici competenti delle Regioni. Questo si può fare se in tempi rapidi si approvano sia il decreto attuativo sulle semplificazioni sugli impianti a fonti rinnovabili previsto già dalla legge delega sulla concorrenza, sia i decreti attuativi della legge di recepimento della direttiva europea RED II, a partire da quello sulle Comunità energetiche rinnovabili. E se si aggiornano le linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, rimaste ferme al DM del MISE del 10 settembre 2010.

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