Conoscere il buio, quello più profondo, le tenebre. E poi tornare alla luce. Dopo due anni torna “Blind Date – Concerto al buio”, un format ideato nel 2009 dal pianista di fama internazionale Cesare Picco: un’esperienza unica, in cui la musica accompagna gli spettatori in un viaggio che fa perdere i punti di riferimento abituali, suscita forti emozioni, stravolge l’uso comune dei sensi. Una metafora dello straordinario lavoro che Cbm Italia compie ogni giorno: riportare alla luce le persone che, nei paesi più poveri del mondo, vivono nel buio. Cesare Picco dal 2011 è ambasciatore di Cbm Italia: i due concerti italiani del 2 novembre al Teatro Alfieri di Torino e del 4 novembre al Conservatorio Verdi di Milano sono – come sempre – a supporto dei progetti di Cbm per garantire visite oculistiche, occhiali, interventi e cure in 13 paesi di Africa, Asia e America Latina, là dove un semplice intervento di cataratta spesso è inaccessibile (ingresso libero ma con obbligo di prenotazione).
Partiamo dal suo legame con Cbm Italia. Nel 2013 ha visitato anche alcuni loro progetti in India. Cosa ha significato per lei questo incontro?
È stata una di quelle opportunità che cambia la tua percezione, l’ottica con cui vedi il mondo. A parole siamo tutti pronti a ragionare attorno a questo cambiamento, al fatto di poter o dover guardare il mondo con gli occhi dei più deboli… ma poi arriva il momento che tocchi con mano cosa questo significa davvero. Allora il gioco si fa duro e splendido. Splendido perché entrare in una scuola che per statuto ha il 50% di alunni non vedenti o con altre problematiche ti fa capire quanto sia grande la fortuna di poter condividere il potere del suono del bene. Sì, perché anche l'amore ha un suono, una vibrazione, una frequenza che bisognerebbe ascoltare di più. Io in quel viaggio ho portato i miei suoni e suonare in un teatro colmo di questi ragazzi è uno dei ricordi più forti che ho.
Il pubblico quindi è parte attiva dell’esperienza artistica. Quanto fa il pubblico?
Tantissimo, se non tutto. Almeno per me che faccio della condivisione l’energia primaria che muove il mio mondo. Io sono un mezzo, uso il mio alfabeto di suoni, il mio sapere che ho accumulato negli anni, il mio stile… ma sarebbe tutto fine a se stesso se si fermasse ad essere una semplice esibizione di quel che so fare. È la condivisione – meglio ancora la condivisione di energie – che fa la differenza. Arrivo al punto: il suono è la cura, la terapia giusta per affrontare tutta la vita.
E quanto fa la condivisione dell’energia in un’esperienza come quella di Blind Date, rispetto ad un concerto “in piena luce”?
La condivisione dell’energia lì è esponenziale, moltiplicata all'infinito. Faccio questo format da 13 anni e ormai so che esiste un momento particolare, che io dal palco avverto in maniera precisa, in cui veramente siamo una cosa sola. Arriva più o meno a metà del percorso nel buio assoluto: c’è un’onda di energia che pervade tutto il teatro e ci sono mille persone che in quell'istante sono contemporaneamente sole e unite da queste vibrazioni. È una cosa che si avverte in maniera fortissima, ma è molto difficile spiegarla se non la si è provata.
L’idea di Blind Date è nata nel 2009, prima dell’incontro con Cbm: una genesi eminentemente artistica. Perché ha pensato di legare musica e luce/buio, cosa voleva sottolineare, quali emozioni generare? Come è cambiato – se è cambiato – negli anni?
La performance è puramente artistica e musicale. L'esperienza dei non vedenti non l’ho assolutamente valutata nella creazione di questo format, da pianista volevo capire e comprendere cosa avrei potuto fare togliendo il senso della vista. Da improvvisatore, mi interessa l’atto della creazione in tempo reale della musica: togliendo il senso della vista dovevo lavorare sull’amplificazione di tutti gli altri sensi, volevo capire da dove potessi riuscire a tirare fuori la musica in maniera differente. Questa performance mi dava la possibilità di sperimentare in una maniera impensabile per me prima i suoni nuovi che sarebbero arrivati. In questi anni il Blind Date è sempre stato un territorio di esplorazione: ho suonato da solo, con archi, con elettronica, con voci barocche… per me è agire in termini musicali mettendo il suono e il potere del suono davanti a tutto. In questo percorso, l’incontro con Cbm è stato folgorante perché ho compreso che questa esperienza è la metafora perfetta di ciò che Cbm fa nel mondo, ogni giorno, portando le persone dal buio alla luce.
Ovviamente lei per suonare non ha bisogno di vedere le mani. Nello spazio di quel concerto, allora, il buio, il difficile, dov’è? In un’intervista ha detto che «nell'improvvisazione il difficile è tornare a casa».
Il buio in realtà non è una difficoltà ma un regalo che mi faccio e che condivido con il pubblico. È l'opportunità di raccontare storie con i suoni e di farlo in un modo diverso, perché farlo in una condizione normale non sarebbe la stessa cosa. È un regalo perché girando il mondo io avverto sempre di più la necessità di vincere la paura di guardarsi dentro, di trovare qualcuno o qualcosa che ti accompagni a guardarti dentro. L'intrattenimento fine a se stesso c’è e ci sarà sempre, ma ci sono volte in cui una persona ha voglia di mettersi in gioco in qualcosa di diverso, di partire, di andare in profondità…
Di certo questa esperienza non è “popolare”, ma i Blind Date sono sempre sold out. Cosa trovano le persone?
In 13 anni ho suonato davanti a migliaia di persone, ho raccolto e letto tantissimi commenti… c’è la paura, la gioia, il timore, i sogni… molto dipende da con che stato d'animo decidi di arrivare. La cosa meravigliosa è che il modo di vivere questa esperienza è totalmente personale. Un elemento comune, però, che mi piace molto, è che chi viene a un Blind Date ha una consapevolezza molto forte di quel che va a fare, se decide di venire è perché vuole provare emozioni diverso. A un Blidn Date uno non arriva per caso, devi aver voglia e devi averlo scelto. Sembra banale ma fa la differenza. Questo è uno scatto. Quando siamo lì, tutti – io e il pubblico – siamo già predisposti a vivere una situazione differente dalla realtà quotidiana.
Il momento in cui torna la luce cos’è? Dopo il Covid le metafore della rinascita, della luce in fondo al tunnel, del riveder le stelle… le abbiamo tutte usurate. Cos’è quell'istante invece?
Il momento in cui si torna alla luce è catartico. Intanto una cosa simpatica è che io mi rendo conto del ritorno alla luce non tanto dalla luce, perché suono sempre ad occhi chiusi, ma perché avverto nel pubblico un grande respiro che segna il mio desiderio di rinascita. È un’alba, è la metafora di voler riaccompagnare le persone a vivere una nuova luce dopo queste tenebre.
Prima le ho chiesto cosa provano e cosa trovano secondo lei gli spettatori. Lei invece cosa prova nei Blind Date?
Un senso di profonda gratitudine proprio per questa condivisione di energia. Mi rendo conto ogni volta della grande fortuna che ho nel poter mettere in circolo queste vibrazioni che non possono far altro che farci del bene. La condivisione, è questa l’essenza di tutto. È un’opportunità straordinaria.
Nel mondo ci sono un miliardo di persone con problemi alla vista, che però non rirescono ad accedere ai servizi oculistici. Risiedono soprattutto nei paesi in via di sviluppo e spesso vivono nell'ombra anche quando ci sarebbero tutti gli strumenti e le cure per risolvere e curare i loro problemi. Cbm Italia lavora proprio per prevenire la cecità, portando programmi di screening e di cura e lavorando per la riabilitazione e l'inclusione delle persone con disabilità visive. Nel 2021 ha realizzato trenta progetti in 13 Paesi di Africa, Asia e America Latina, raggiungendo 1,3 milioni di beneficiari. In Italia ha realizzato dieci progetti di sensibilizzazione. In ottobre, occasione della Giornata Mondiale della Vista, che quest'anno si celebra il 13 ottobre, lancia la campagna "Fuori dall'ombra, per il diritto di vedere ed essere visti" con l'obiettivo diraggiungere e curare oltre 1 milione di persone con problemi visivi.
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