«Vorrei che in Italia ci fossero 60 milioni di persone all'interno del sistema di protezione civile. Significherebbe che ogni cittadino italiano fa la sua parte. Invece, di solito riesco a parlare di prevenzione soltanto quando ci troviamo in piena emergenza». Quella che può apparire come una provocazione è invece un auspicio di Fabrizio Curcio, capo Dipartimento della Protezione civile nazionale. Proprio oggi si celebra la Giornata mondiale della riduzione dei rischi da disastro, nel bel mezzo di una settimana che terminerà con la campagna di comunicazione nazionale della Protezione civile sui rischi naturali, denominata “Io non rischio”.
Ingegnere Curcio, qual è lo stato di salute del settore in Italia?
«La settimana nazionale della protezione civile nasce per definire tutte le attività di previsione, prevenzione, gestione dell’emergenza e ripristino delle condizioni ordinarie. Solitamente c’è attenzione verso la prevenzione quando accade qualcosa. Nell’immaginario collettivo la protezione civile esiste quando accade un evento straordinario. Bisogna lavorare molto sulla prevenzione: questo è il vero salto di qualità che dovremmo far compiere al Paese. Per riuscirci, c’è bisogno da una parte di aumentare la consapevolezza dei rischi da parte di ognuno di noi rispetto al territorio in cui viviamo o lavoriamo; dall’altra bisogna incrementare il rapporto tra istituzioni e cittadini per produrre l’effetto migliore. Sia la normativa che il buonsenso dividono questo ambito in due grandi categorie: prevenzione strutturale (per esempio le infrastrutture) e prevenzione non strutturale (collegata al buon comportamento piuttosto che alla pianificazione o alle attività di formazione). Sono complementari, anche se il sistema della protezione civile – secondo l’attuale normativa – è focalizzato sulla parte non strutturale, dunque dobbiamo e vogliamo stressare il tema della pianificazione, della conoscenza del rischio, del rapporto con la comunità scientifica, della comunicazione e delle buone pratiche».
Ci sono rischi che un po’ sfuggono a questa logica, per esempio i terremoti.
«In questi casi si avverte la necessità di un miglioramento del termine strutturale. Certo, il rischio sismico, ma attiene anche alle procedure e alle attività che talvolta esulano dal sistema della protezione civile».
Un tempo si diceva, un po’ cinicamente, che si arriva a una svolta soltanto quando si giunge alle estreme conseguenze. Invece, anche là dove ci sono stati disastri immani e morti, spesso si ripetono gli errori del passato: corsi d’acqua non manutenzionati, disboscamenti radicali, caditoie stradali intasate, eccetera.
«Quello che lei pone è un tema assolutamente corretto e riguarda la cura e la manutenzione di un territorio, che può fare davvero la differenza soprattutto negli eventi alluvionali o in situazioni estreme come sta accadendo in questo periodo, a cavallo tra estate e autunno. Potrei fare tantissimi esempi a riguardo, è un fenomeno riscontrabile in tante zone del nostro Paese. C’è però un tema che riguarda la facilità di effettuare le manutenzioni dei corsi d’acqua, non sempre è facile da un punto di vista legislativo (vedi l’utilizzo delle terre, della ghiaia e di altro materiale prelevato in ambito fluviale). Ci sono norme stringenti che non possono essere aggirate. In altri casi ci sono limiti di risorse, ma è vero che talvolta c’è poca attenzione da chi è preposto a queste attività. Si tende a dare risposte semplici a fenomeni complessi».
In moltissimi Comuni italiani è stato possibile, in passato, costruire in aree dove un tempo passavano i corsi d’acqua. E quest’ultima ha grande “memoria”. Che cosa può fare il legislatore?
«A volte abbiamo assistito a una edificazione selvaggia nelle foci dei fiumi. Le sezioni dei corsi d’acqua, in molti casi, vanno a restringersi là dove c’è l’abitato urbano, e creano situazioni in cui è molto complicato intervenire da un punto di vista strutturale. In molti casi bisognerebbe individuare soluzioni a monte, faccio l’esempio delle cosiddette casse d’espansione che da molte parti vengono giustamente invocate e realizzate. Sono aree d’accumulo che servono a creare volumi tali da non far arrivare tutta quell’acqua insieme a valle, in caso di importanti precipitazioni. Le abitazioni vanno protette con opere idrauliche altrettanto importanti. In altri casi, forse più circoscritti, bisognerebbe iniziare a parlare di delocalizzazione. E poi, naturalmente, ci sono il buon comportamento e il buonsenso. Quando acquistiamo una casa, ad esempio, o quando iscriviamo i nostri figli a scuola dobbiamo domandarci quali rischi potrebbero interessare quell’area e fare una scelta consapevole».
La macchina della protezione civile è articolata, e non riguarda soltanto il vostro Dipartimento.
«La nostra struttura nazionale ha 650 persone al lavoro tutti i giorni per coordinare le varie attività. È una funzione svolta attraverso altre amministrazioni, un pezzo del meccanismo che dipende dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. Poi ci sono i Vigili del fuoco, le forze armate e di polizia, i carabinieri forestali, la comunità scientifica, le strutture sanitarie e 300mila volontari. Il sistema è fatto per omogeneizzare le strutture, non esiste un comando generale con una struttura territoriale che esegue gli ordini. La responsabilità ordinaria, in materia, è demandata alle Regioni, mentre lo Stato centrale stabilisce indirizzi e coordinamento, e gestisce alcune attività tra cui le emergenze nazionali».
Ci parli della campagna “Io non rischio”.
«L’evento tornerà nelle città italiane sabato 15 e domenica 16 ottobre, e chiuderà la Settimana nazionale della Protezione civile. Oltre 8.000 volontari di questo settore saranno impegnati, in circa 600 Comuni italiani, per informare i cittadini sui rischi a cui è esposto il territorio in cui vivono e per illustrare i buoni comportamenti da mettere in pratica in caso di alluvione, terremoto o maremoto. Nei Comuni dell’area flegrea e sulle isole di Vulcano e Stromboli, inoltre, i volontari informeranno la popolazione sul rischio vulcanico. I cittadini e i volontari potranno confrontarsi sulla conoscenza del rischio e sulla prevenzione. Per il secondo anno consecutivo proporremo un evento digitale organizzato dal Dipartimento della Protezione Civile in collaborazione con l’Istituto Statale Cine-Tv “Roberto Rossellini” di Roma. Una diretta streaming trasmessa sui canali social della campagna e del Dipartimento che, la mattina del 15 ottobre, offrirà ai cittadini ulteriori spunti di riflessione e approfondimenti utili sui temi della Campagna e sulle buone pratiche di protezione civile. “Io non rischio” è promossa da Anpas, Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, Rete dei laboratori universitari di Ingegneria sismica, Fondazione Cima, Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Associazione nazionale Comuni italiani».
Ormai non è più un sospetto: il clima in Italia è mutato, come ciclicamente accade da secoli.
«Certi fenomeni avvengono con sempre maggiore frequenza, e talvolta assistiamo alla loro contemporaneità. In certi giorni abbiamo dovuto fronteggiare in alcune zone d’Italia l’emergenza alluvioni, in altre lo scioglimento dei ghiacciai e in altre ancora gli incendi boschivi che, con la siccità, sono stati intensi e impegnativi. Occorre un nuovo approccio, lo dicono elementi oggettivi. Da anni in tutto il pianeta si pongono certe domande. È un tema complesso, che definisce anche le politiche energetiche».
In Italia ci sono tanti volontari, in questo settore. Sono sufficientemente formati?
«Abbiamo fatto enormi passi avanti. Vantiamo un volontariato mediamente strutturato, formato e attrezzato, con cui periodicamente ci confrontiamo ai vari livelli. Il sistema deve continuare a progredire, lo richiedono le nuove sfide, ma posso assicurarvi che in tutto il mondo invidiano la qualità del nostro volontariato. Il livello è altissimo».
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.