Non profit

Argentina: la finanza etica prende l’iniziativa

Per i legami storici tra Italia e Argentina, il nostro paese deve fare la sua parte. Non servono gli aiuti o la solita elemosina, rivediamo il debito

di Redazione

“Il tasso di povertà in Argentina, misurato dalla linea di povertà nazionale, è cresciuto a partire dal 1995 oltre il 22%? La distribuzione del reddito si è anch’essa deteriorata, riflettendo il fatto che i guadagni della crescita economica non sono andati ai poveri. Inoltre la disoccupazione è in aumento?”. Non è il commento di un economista anti-global nel dicembre 2001, ma un testo della Banca Mondiale – “Poverty Trends and Voices of the Poor” – del maggio 2001. Quale sia in questi giorni il tasso di povertà in Argentina – comunque misurato – è fin troppo facile immaginarlo. Quello che non è accettabile, però, non è solo che riflessioni presenti nello stesso establishment delle istituzioni finanziarie internazionali non siano state ascoltate nei mesi e negli anni scorsi, ma che oggi la tesi ufficiale – condita dai soliti “l?allievo modello è stato bocciato”, “hanno applicato male la ricetta del Fondo Monetario”, “è un paese corrotto con una classe dirigente pessima” – sia riassunta dall’opinione del professor Rudy Dornbusch: “L?Argentina, a mio avviso, è perduta”. E invece no. Perché milioni di argentini in questi anni non hanno ricevuto neanche lo sgocciolamento dei (dubbi) benefici del modello economico dei Menem e dei Cavallo. E altri milioni di argentini delle classi medie, illusi di entrare nel Grande mercato, oggi si ritrovano senza lavoro, senza pensione, senza casa e con tanti debiti sulle spalle. A parte i nuovi ricchi – “los buitres” – pronti ad accumulare in pochi anni enormi fortune, subito depositate al sicuro in conti bancari a Miami, gran parte del paese non ha ancora avuto una vera chance di crescita. L’economia della “parità peso-dollaro” – che, ha scritto recentemente Paul Krugman, da strumento è diventato un fine in sé – ha rappresentato il trionfo della rendita finanziaria. Ha annullato l’inflazione, certo, al prezzo però di un generale rallentamento della crescita che negli ultimi tre anni è diventato vera e propria recessione. A causa, spiegano gli analisti, della “compressione della domanda interna, soprattutto per la caduta nella formazione di capitale fisso lordo”. Detto in altri termini, i tassi di interesse a due cifre, destinati ad attirare investitori finanziari, in presenza di una deflazione dei prezzi hanno portato ad una “forte compressione del credito ai limiti del credit crunch” e ad una pesante caduta degli investimenti. I capitali non sono mancati, almeno per qualcuno: sono arrivati quelli a breve termine, che lucrano sugli eccellenti rendimenti dei bond – 10% e più in dollari o in euro – oppure il credito di manica larga per i grandi gruppi occidentali che hanno partecipato alle privatizzazioni. Il debito estero totale si avvicina ai 150 miliardi di dollari. Poco meno della metà di esso fa capo alle banche: 66 miliardi di dollari. I principali creditori sono (dati di marzo 2001): Spagna 18,5 miliardi di dollari Stati Uniti 10,6 miliardi di dollari Germania 7,7 miliardi di dollari Gran Bretagna 6,3 miliardi di dollari Italia 6,0 miliardi di dollari I crediti italiani sono scesi a giugno a 4,5 miliardi di euro, di cui quasi 2,5 miliardi sono operazioni a breve termine, ma probabilmente sono di più calcolando l’esposizione complessiva delle banche argentine controllate da gruppi italiani. * IntesaBci era esposta al dicembre 2000 per 480 milioni di euro, ma la sua controllata Banco Sudameris Argentina ha impieghi complessivi a ottobre per 1,6 miliardi di dollari. Di essi il portafoglio commerciale al di sotto dei 200 mila dollari (piccole imprese) è appena il 7,4%. * Banca Nazionale del Lavoro era esposta al dicembre 2000 per 99 milioni di euro, ma la sua controllata argentina Bnl ha finanziamenti aperti a ottobre per 2,8 miliardi di dollari. Clienti principali: Fiat Auto Argentina e società del gruppo, Parmalat Argentina. Portafoglio commerciale al di sotto dei 200 mila dollari (piccole imprese) pari al 6,7% del totale. * Tra le altre banche italiane esposte ci sono il San Paolo-Imi per 81 milioni di euro e Unicredito Italiano per 12 milioni di euro, ma ci sono anche migliaia di risparmiatori che hanno comprato obbligazioni argentine per almeno 10 miliardi di euro. I creditori reclamano i pagamenti del pesante servizio del debito, né si sono sentite opinioni diverse tra i banchieri italiani. Ma come dice in queste ore il grande scrittore argentino Abelardo Castillo “il debito non si può pagare e il popolo argentino deve mangiare”. Per questo, e per i legami storici tra Italia e Argentina, crediamo che il nostro paese debba fare la sua parte. Non servono gli aiuti o la solita elemosina. * Il governo e le banche private diano respiro al popolo argentino riscadenzando e ristrutturando almeno i debiti a breve termine, 2,5 miliardi di euro, sospendendo le riscossioni del servizio del debito e cancellando l’equivalente dei debiti illegittimi contratti vent’anni fa dal regime militare e poi pagati dall’Argentina democratica, nel caso dei crediti italiani non meno di 1 miliardo di dollari. * È essenziale però anche mostrare che “un altro credito è possibile”. Alle organizzazioni della finanza etica, alle cooperative del commercio equo, alle organizzazioni non governative di cooperazione allo sviluppo, ai soggetti che credono nelle potenzialità e nella voglia di riscatto di un popolo proponiamo di costituire un Fondo di credito di emergenza con l?apertura di un’agenzia di credito a Buenos Aires e poi nelle principali città argentine. Risorse da mettere in gioco: 10 milioni di euro. Un Fondo di credito è urgente per lo stesso credito al consumo, per il microcredito per far riprendere almeno le piccole attività produttive e, soprattutto, come segnale concreto di fiducia in controtendenza: mentre i capitali speculativi vanno via, la finanza etica prende l’iniziativa. Mameli Biasin, Giampietro Pizzo, Francesco Terreri di Microfinanza srl


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