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L’Austria chiede all’UE di tagliare gli aiuti ai paesi in via di sviluppo
Di fronte al flusso “record” di migranti nel 2015, l’Austria chiede all’UE di tagliare gli aiuti ai paesi in via di sviluppo che rifiutano di accogliere i loro cittadini sottoposti ad una procedura di espulsione negli Stati membri. Nel mirino di Vienna: Pakistan, Marocco e Tunisia. E la volontà di portare la proposta al prossimo Consiglio UE (18-19 febbraio).
“In quanto Europa, dobbiamo iniziare ad esercitare pressioni se vogliamo che le politiche di ritorno funzionino”. E’ quanto ha dichiarato ieri il ministro degli Affari esteri austriaco, Sebastian Kurz, alla radio pubblica Ö1. Di fronte al flusso record di migranti nel 2015 (90.000, un pò più dell’1% della popolazione nazionale che ammonta a 8,7 milioni), Vienna vuole che l’Unione Europea adotti misure più severe per contrastare i flussi migratori. Tra le misure richieste dall’Austria, c’è il taglio agli aiuti allo sviluppo nel caso un paese si rifiuta di accogliere i suoi cittadini sottoposti a procedure di espulsione.
Nel mirino di Vienna ci sono il Pakistan, il Marocco e la Tunisia. “Oggi l’UE versa ogni anno al Marocco 480 milioni di euro in aiuti e 414 milioni alla Tunisia”, sostiene Kurz. “Nonostante il nostro sostegno, questi paesi si rifiutano di accogliere i loro cittadini le cui richieste di asilo sono state rifiutate”.
Sulla scia del vice-cancelliere tedesco, Sigmar Gabriel, anche Kurz vuole che la possibilità di tagliare gli aiuti venga esaminata durante il prossimo Summit dei capi di Stato e di governo europei in programma a Bruxelles i 18 e 19 febbraio. Per facilitare le procedure di espulsione, al pari della Germania, l’Austria vuole includere la Tunisia e il Marocco nella lista dei paesi cosidetti “sicuri” dove rimpatriare i migranti.
Insomma, cresce il fronte dei paesi UE che hanno annunciato la volontà di espellere migranti a cui la domanda di asilo è stata respinta. Tra loro, ci sono la Danimarca, la Svezia (che ne vuole espellere 80.000), Finlandia (20.000) e Austria (12.500).
Germania vs. Afghanistan
Ma la partita non si annuncia facile. Un caso emblematico è quello che oppone la Germania all’Afghanistan. Nel 2015, più di 150.000 afghani hanno fatto richiesta di asilo, costituendo il secondo gruppo più importante di asylum seekers dopo i siriani. Nel corso di una visita di Stato effetuata questa settimana a Kabul, il ministro degli Interni tedesco, Thomas de Maiziere, ha fatto sapere alle autorità afghane che molti loro cittadini verrano espulsi dalla Germania, provocando non poche perplessità nel governo del Premier Abdullah Abdullah. In un’intervista rilasciata alla Deutsche Welle, il ministro afghano dei rifugiati e dei rimpatriati, Sayed Hussain Alemi Balkhi, ha dichiarato che Kabul “accetterà di accogliere soltanto i migranti afghani che avranno espresso il desiderio di tornare volontariamente in madrepatria. Secondo quanto ci ha riportato la nostra ambasciata a Berlino, circa 600 afghani hanno dichiarato di voler rimpatriare in Afghanistan”.
L’idea di condizionare gli aiuti allo sviluppo alle politiche di rimpatrio non è una novità. In un rapporto pubblicato nel 2013, il think tank ECDPM ricordava il caso dei Paesi Bassi con il Ghana. Nel settembre 2012, le autorità ghanesi si rifiutarono di concedre dei documenti di viaggio ad alcuni loro concittadini che dovevano tornare in madrepatria, denunciando le pressioni esercitate dal governo olandese. In tutta risposta, Amsterdam ridusse gli aiuti destinati al Ghana di 10 milioni di euro per mancata cooperazione.
Ricordando questo caso, la rete delle ONG europee CONCORD Europe ha chiesto agli “Stati membri e all’UE di concentrare gli aiuti allo sviluppo esclusivamente a favore la lotta contro le cause che stanno all’origine della povertà e di porre fine al principio di condizionalità, che lega gli aiuti ai negoziati bilaterali e multilaterali sulle migrazioni”.
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