Economia

Crowdfunding, i segreti di una campagna di successo

Ivana Pais, tra i massimi esperti di crowdfunding in Italia, racconta la strategia di una campagna vincente e spiega gli errori che non si dovrebbero mai commettere per finanziare il proprio progetto nell’era della sharing economy

di Ottavia Spaggiari

Con un aumento del 68% negli ultimi 2 anni, il crowdfunding è uno dei figli della sharing economy che sta registrando maggior successo nel nostro Paese. A confermarne la crescita, anche una ricerca realizzata con il contributo di TIM dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Ivana Pais coordinatrice della ricerca, tra i principali esperti in materia, ci spiega le ragioni dietro questo boom e quali sono i segreti per una campagna di crowdfunding vincente.

A maggio 2014 si contavano 41 piattaforme attive, oggi ne contiamo quasi 82, 69 già attive e 13 in fase di lancio, mentre i progetti pubblicti sulle piattaforme e candidati quindi ad un finanziamento sono cresciuti del 67% negli ultimi 2 anni. Vi aspettavate questi risultati?

Il rapporto ha confermato le nostre aspettative, rispetto ad un trend decisamente in crescita. E’ interessante però analizzare anche i volumi di questo sviluppo. Nel nostro Paese il crowdfunding è usato principalmente per sostenere progetti culturali e sociali ed è proprio in questi campi che si è assistito ad una crescita maggiore. A differenza di altri Paesi, da noi però faticano ancora a decollare in modo deciso le campagne imprenditoriali, e questo forse è uno dei dati più significativi: nonostante l’equity crowdfunding sia stato regolamentato, la rigidità della normativa ne ha impedito lo sviluppo. Un alleggerimento della regolamentazione potrebbe però cambiare le cose.

Nonostante questa crescita record, il tasso di successo si una campagna di crowdfunding è pari mediamente al 30%, mentre fra le startup rilevate a maggio 2014, 4 risultano già inattive. Perché una mortalità così alta?

Per quanto riguarda le campagne, il fallimento fa parte del gioco. Il crowdfunding è un ottimo banco di prova per chi vuole testare un progetto o un prodotto, aiuta a capire se vi è un interesse e se può funzionare, spesso ci si rende conto che non ci sono le premesse per andare avanti. Spesso però il fallimento è legato ad altri fattori, il principale è la mancanza di un piano strategico adeguato. Moltissimi pensano che pubblicare online il proprio progetto sia abbastanza per attirare contributi economici. Lo stesso errore in realtà viene commesso spesso dai creatori delle piattaforme. Si tratta di un mercato ancora immaturo sotto molti aspetti, in cui le barriere all’ingresso sono basse. Lo sviluppo di una piattaforma può avere costi limitati e questo può illudere che non siano necessari investimenti per determinarne il successo, in realtà, l’investimento principale è proprio quello richiesto per la costruzione di una community, per la comunicazione e il posizionamento sul mercato. E’ un approccio al mercato molto italiano, che si rileva anche in altri settori relativi alla sharing economy e alle startup.


Moltissimi pensano che pubblicare online il proprio progetto sia abbastanza per attirare contributi economici.

Quali sono i modelli vincenti?

Quelli che hanno più tenuta, sono quelli che cercano una strada italiana alla sharing economy. La piattaforma generalista ha sempre meno senso, esistono già alternative internazionali, in grado di comunicare a un pubblico molto più ampio, come Kickstarter, ad esempio, che fino a poco tempo fa si poteva utilizzare solo avendo un conto negli Stati Uniti. Funzionano bene le piattaforme che sfruttano il nostro tessuto socioeconomico, come Musicraiser, che dimostra di conoscere a fondo il mercato musicale italiano, e Ginger, che si occupa di crowdfunding territoriale, a livello locale, riuscendo così lavorare tra campagne online e offline, superando così il limite italiano della la scarsa digitalizzazione.

Le campagne ad impatto sociale sono il 34% e continuano a crescere. Si può pensare che il crowdfunding rappresenti il futuro del fundraising per il non profit?

Il trend è positivo, ma il crowdfunding va sempre pensato come uno strumento completentare rispetto agli altri. Laddove funzionano bene gli altri canali di fundraising, funziona anche il crowdfunding. Non credo si arriverà ad una sostituzione, quanto piuttosto ad un’integrazione, il crowdfunding dopotutto permette di fare anche altro, comunicare in modo diverso e attivare la propria community, ad esempio.

Qual è il segreto di una campagna di successo?

Lavorarci. Bisogna programmare in anticipo, identificare la propria community di riferimento e costruire una campagna coerente coi propri obiettivi. Uno degli errori più comuni, quando si lancia una campagna è mandare comunicazione a tutti i propri contatti, col risultato che la maggior parte arriva su un progetto su cui nessuno ha ancora investito nulla. Vedere uno zero sotto la voce “finanziamenti raccolti”, spaventa gli utenti e la maggior parte scappa. Per questo bisogna partire prima dal target più caldo, poi, dopo aver raccolto un certo volume si allarga il proprio bacino, comunicando ai target secondari. Molti pubblicano la propria campagna e aspettano che accada qualcosa, senza fare nulla. La verità è che non esiste il popolo della rete che si sveglia la mattina e cerca una campagna di crowdfunding da finanziare.

Foto di Alejandro Escamilla

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