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Azzardo. Quando la soluzione è il problema

Mentre l’azzardo imperversa, e con esso l’illegalità, l’usura, i buoni propositi, le mistificanti legislazioni e gli ingannevoli dispositivi terapeutici, il sistema continua nella sua opera di anestetizzazione delle coscienze e di sterilizzazione della psiche. Ci avviamo verso lo "Stato Terapeutico Totale" preconizzato dallo psichiatra Thomas Szasz. Con nani e ballerine al seguito.

di Adriano Segatori

Un vecchio testo di chirurgia sconsigliava vivamente l’assunzione di un antispastico per i dolori di pancia: avrebbe sì, in breve tempo, fatto scomparire il sintomo, ma non avrebbe permesso un esame clinico corretto per arrivare alla causa del disturbo denunciato.

Nell’esaminare l’ingravescente e pervasiva problematica del gioco d’azzardo, è indispensabile ricorrere ad un avvertimento di Jünger per non incorrere nello stesso errore del palliativo sopra indicato: "Il tentativo di venire a capo di un’epoca con i soli mezzi offerti da questa, si consuma nel girare a vuoto intorno ai suoi luoghi comuni; non può riuscire".

Mentre l’azzardo imperversa, e con esso l’illegalità, l’usura, i buoni propositi, le mistificanti legislazioni e gli ingannevoli dispositivi terapeutici, il sistema continua nella sua opera di anestetizzazione delle coscienze e di sterilizzazione della psiche.

A fronte di un comportamento e ad una mentalità di generalizzato adattamento all’irrealtà, che comporta una perdita del senso critico e delle competenze di discriminazione tra bello e brutto, tra buono e cattivo, tra giusto e sbagliato, tra normale e abnorme – in un relativismo che tutto omologa e niente distingue –, la neutralizzazione del politico ha depotenziato ogni forma di intervento e di competenza nell’affrontare la questione in esame, delegando il suo approccio al sociale e al terapeutico.

Il problema dell’azzardo, come quello inerente tutte le altre problematiche di dipendenza – dalle sostanze ad internet, dallo shopping allo sport, dall’estetica al lavoro – è una faccenda che riguarda innanzitutto la funzione stessa di Stato, prima di diventare ed essere un problema individuale.

In questo senso, il primo che ha individuato l’importanza di questa deviazione è stato lo psicanalista Jacques Lacan, introducendo quello che lui stesso ha definito come "Il discorso del capitalista".

In sostanza, il capitalismo ha determinato un vero e proprio cambiamento antropologico attraverso la proletarizzazione delle voglie, la trasformazione del tempo, la negazione del Sacro, il disconoscimento del rito, una vera e propria scomunica del simbolico.

In questo senso ha dimostrato che il problema del denaro e della speculazione ad esso associata – elemento ontologico del capitale – poteva e doveva essere affrontato in maniera radicale solo attraverso una vera e propria transvalutazione di tutti i valori. In altri termini, era indispensabile attaccare la psiche della società, la stessa valenza dell’essere comunitario.

Il capitalismo ha perfettamente compreso che il potere moderno e post-moderno non doveva più passare attraverso la sudditanza dei suoi cittadini, ma in maniera molto più subliminale e morbida con la loro riduzione a dipendenti.

Ha specificato in maniera chiara e mirata Massimo Fini: "Il sistema liberal-capitalistico ha bisogno del bisogno, quindi lo crea". Ecco il metodo!

Con la neutralizzazione del politico, il capitalismo ha introdotto e incentivato la politicizzazione dell’economico e, con essa, presente in tutte le forme di dipendenza, il morbo del profitto.

Il capitalismo ha capito, in altre parole, che se fossero state incentivate le chimere dei diritti, e quindi indotti artificialmente dei falsi bisogni, questi avrebbero intaccato la percezione stessa del mondo e dei suoi abitanti, agendo sulle parti più deboli e influenzabili dell’inconscio. In questo senso si è diffusamente strutturata quella profezia annunciata da György Lukács in Ontologia dell’Essere Sociale (1885-1971): una alterazione mentale fatta di una "onnipotenza astratta e di concreta impotenza>".

Gli individui sociopaticamente atomizzati, una volta perso ogni contatto con la realtà, hanno espulso da sé il concetto di “Diventare ciò che si è” per abbracciare il miraggio megalomanico di “Diventare ciò che si vuole”, con l’ausilio di strumenti incentivanti una progressiva dipendenza.

Venuto meno quello stato etico di Hegel, che è ente educativo per la sicurezza e la serenità condivise attraverso la famiglia, il lavoro e la propria specifica funzione comunitaria, e perciò preposto all’allevamento della psiche e delle anime, tutto si è diluito in una generica moralità all’interno di una diffusa e patologica anarchia, intesa proprio nel suo senso etimologico di assenza di governo, soprattutto di sé.

Il passaggio finale di questa caduta è evidente. Trasformato l’uomo da suddito a consumatore a dipendente, quando quest’ultima condizione comincia a manifestare danni per le persone e la collettività, l’unico dispositivo possibile diventa la terapia.

Ed ecco, allora, il sorgere e lo strutturarsi di quello che Thomas Szasz ha preconizzato come Stato Terapeutico Totalitario, che va ben oltre alla sua discutibile critica alle istituzioni.

Un sistema che crea le condizioni reali per una trasformazione antropologica su base capitalista, poi determina la dipendenza dei suoi consumatori fino all’auto- e all’eterolesionismo, continua con la modificazione stessa della semantica lessicale, e infine istituisce centri di cura per le patologie da lui stesse prodotte.

Per questo motivo noi educatori, giornalisti, psichiatri, funzionari della legge e operatori delle professioni di aiuto dobbiamo essere consapevoli di questa trappola, agire nel modo migliore per aiutare il singolo, ma organizzarci e muoverci con coordinata destrezza almeno per non essere ignari complici di un meccanismo più complesso e cinico.

L'autore

Adriano Segatori è p psichiatra dell’AASS2 “Bassa Friulana-Isontina, membro della sezione scientifica “Psicologia Giuridica e Psichiatria Forense” dell’Accademia Italiana di Scienze Forensi.

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