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Casa Suraya, la best practice dell’accoglienza che studiano in Europa

I rappresentanti del Comitato economico e sociale europeo, in cerca di buone pratiche sull’accoglienza dei profughi sono venuti in Italia per vedere il progetto della Coop. Farsi Prossimo. Vita ha intervistato Massimo Minelli, presidente di Federsolidarietà Lombardia

di Lorenzo Maria Alvaro

Alla ricerca di buone pratiche sull’accoglienza dei profughi una missione europea del Cese (Comitato economico e sociale europeo) è arrivata da Bruxelles in Italia a Milano. Il motivo era una visita a “Casa Suraya” un progetto della Cooperativa Farsi Prossimo, considerata un vero fiore all’occhiello dell’accoglienza italiana. A fare da ciceroni Annamaria Lodi, presidente della coop e Massimo Minelli di Federsolidarietà.

Minelli come nasce questa visita?
È nata attraverso il rapporto che abbiamo con il Cese. Un organismo che ragiona a livello europeo sull’economia sociale. Rapporto possibile attraverso Beppe Guerini, presidente nazionale di Federsolidarietà, che collabora con loro. Tra i temi che tratta il Comitato c’è anche quello dell’immigrazione. Sono alla ricerca di best practice in Europa. Per l’Italia hanno deciso di venire a visitare Casa Suraya.

Perché è un progetto d’eccellenza?
In primo luogo perché ospita famiglie. Una grande differenza rispetto ad altre realtà, noi non dividiamo i nuclei famigliari. In più siamo dentro alla città di Milano, all’interno quindi di un contesto servito e in una situazione abitativa molto dignitosa. Tutti elementi di qualità strutturale e sostanziale, anche in termine di servizi, che ne fanno un punto di assoluta eccellenza. Del resto la Cooperativa Farsi Prossimo, insieme a Caritas si occupa di stranieri dal 1994. Non c’è nulla di improvvisato.

Come si è svolta la visita?
Abbiamo presentato questa esperienza e abbiamo girato la struttura. Poi abbiamo chiesto a due famiglie di esporre la loro storia. C’è stato il racconto di chi, proveniente dalla Siria o dall’Iraq, ha dovuto girovagare per l’Europa, affrontare le difficoltà delle rotte e delle frontiere e di avere un progetto di vita che non corrispondeva alla realtà che si trovava a vivere.

Quali esiti vi aspettate da questo incontro?
Abbiamo presentato alla missione la nostra “Carta della buona accoglienza” nata dall’esigenza di andare a qualificare in termini qualitativi l’accoglienza. Perché stiamo osservando qualcosa che in questo sistema di accoglienza, soprattutto nei Cas collegati alle prefetture, non funziona. Coop che vengono da lontano, cooperative che nascono ad hoc, grossi numeri in mano a coop improvvisate. Questo quadro ci preoccupa. Soprattutto alla luce dei recenti avvenimenti. Per questo come Lombardia abbiamo messo nero su bianco una serie di elementi qualitativi per chiarire quale sia la buona accoglienza.

Può fare un rapido quadro dei numeri del vostro sistema?
La Lombardia ha avuto tra i 13 e 14 mila migranti affidati nel 2015. Di questi oltre il 50% li abbiamo accolti noi. La Carta che abbiamo redatto è anche un invito: siamo disponibili nel sottoporci a tutti i controlli. Però poi, chi di dovere, questi controlli deve farli a tutti.

Può specificare quali sono i punti salienti della carta, ciò che discrimina tra buona e cattiva accoglienza?
Ad esempio la normalità dovrebbe essere che chi ha una cooperativa che lavora nell’accoglienza spenda tutto il denaro che le viene dato per la gestione delle proprie mansioni. Se le cooperative hanno i servizi all’integrazione necessari ad una buona accoglienza non c’è nessun rischio che avanzino dei denari.

Quali sono questi servizi all’integrazione?
Si tratta di avere operatori qualificati, insegnanti di italiano, il servizio legale, coloro che seguono la parte sanitaria e psicologica e tutto il capitolo della professionalizzazione e della formazione che possono sfociare in tirocini e borse lavoro. Ognuno di questi servizi è indispensabile e ha un costo. Chi non ha uno o più di questi capitoli non può continuare a fare accoglienza.

Quindi voi vi augurate che questa Carta da buona pratica diventi normativa?
Si, come per il sistema Spraar, che ha regole vincolanti e certe, anche gli altri canali devono dotarsi di normative più stringenti. È quello che abbiamo detto ai rappresentanti del Cese.

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