Cultura
Quel regalo degli imam a Francesco
Alla fine della visita alla moschea di Bangui al Papa è stata consegnata una tavoletta con un versetto del Corano. E una frase molto sorprendente…
Era stato chiaro: piuttosto mi butto con il paracadute, aveva risposto ai giornalisti che gli avevano chiesto se non temesse il pericolo della tappa nella repubblica Centrofricana. Ma per papa Francesco quella era la tappa cardine di questo viaggio: in un paese poverissimo, assediato dalla violenza e dalla guerra tra etnie.
Ed è stato ovviamente di parola, con un programma che non ha evitato nessuna delle aree critiche di quel paese. Basta scorrere il programma delle 36 ore trascorse a Bangui, la capitale. Esordio con autorità, visita e discorso nel campo profughi attiguo all’aeroporto, incontro con i giovani, apertura della Porta santa: tutto questo ieri. Oggi messa allo stadio davanti a 20mila persone e visita alla moschea e incontro con le autorità musulmane.
Forse questo è stato il momento più intenso e più atteso. Il paese vive una contrapposizione violenta tra milizie musulmane e forze cristiane. Una contrapposizione nata non tanto da motivi religiosi ma dalla difesa di diversi interessi. Il giorno dell’arrivo del papa si era sparsa la notizia dell’uccisione di due cristiani alla parrocchia della Madonna di Fatima di Bangui, retta dai padri comboniani, che si trova nel quartiere “Km 5” dove vivono i musulmani e dove oggi Francesco si è recato per entrare nella moschea. Il Papa è stato avvertito dell’episodio. «Posso andare là?», ha immediatamente chiesto Francesco, rivolgendosi al nunzio apostolico, monsignor Franco Coppola. «No, mi dispiace», è stata la risposta dell’ambasciatore vaticano.
Al Km 5 e alla moschea di Koudoukou il Papa è arrivato oggi, come da programma. Ad accoglierlo c’era l’Imam Tidiani Moussa Naibi: anche lui vestito di bianco. L’iman ha fatto accomodare il papa su un divano e si è seduto al suo fianco. «La mia visita pastorale nella Repubblica Centrafricana non sarebbe completa se non comprendesse anche questo incontro con la comunità musulmana», ha detto Francesco. «Insieme, diciamo no all’odio, no alla vendetta, no alla violenza, in particolare a quella che è perpetrata in nome di una religione o di Dio. Dio è pace, Dio salam».
Fedele al suo metodo Francesco non ha fatto la distinta delle tante ferite che affliggono il paese e non ha emesso sentenze di condanna verso i responsabili delle violenze. Ha preferito sottolineare la risposta positiva già in atto, nell’esperienza di incontro e dialogo tra cristiani e musulmani. «In questi tempi drammatici», ha detto, «i responsabili religiosi cristiani e musulmani hanno voluto issarsi all’altezza delle sfide del momento. Essi hanno giocato un ruolo importante per ristabilire l’armonia e la fraternità tra tutti. Vorrei assicurare loro la mia gratitudine e la mia stima. E possiamo anche ricordare i tanti gesti di solidarietà che cristiani e musulmani hanno avuto nei riguardi di loro compatrioti di un’altra confessione religiosa, accogliendoli e difendendoli nel corso di questa ultima crisi, nel vostro Paese, ma anche in altre parti del mondo».
Nel corso della visita alla moschea di Koudoukou ha chiesto di essere condotto davanti al mihrab, il punto di maggior devozione all'interno della moschea. Papa Francesco è rimasto in silenzio e grande raccoglimento per alcuni minuti.
Significativo il regalo che gli iman hanno fatto a Francesco: una tavoletta con su inciso un versetto del Corano e questa frase: «Se tu trovi certe persone più disponibili ad amare, sono quelli che si dicono cristiani».
Fuori dalla moschea Francesco ha voluto fermarsi tra le tende di un gruppo di rifugiati ed è entrato nella scuola di Koudoukou, dove ragazzini cristiani e musulmani studiano fianco a fianco.
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