Cultura

“Monte Bianco”, il reality che umilia la montagna

Touring Club Italiano, Club Alpino Italiano, grandi scalatori e semplici appassionati. Tutti si sono schierati contro il programma di Rai 2 che dipinge la montagna come «un circo», «una goliardata senza motivazioni»

di Lorenzo Maria Alvaro

Per Goethe «i monti sono maestri muti e fanno discepoli silenziosi».

A leggerla oggi, dopo aver visto “Monte Bianco”, il reality show sulla montagna di Rai2, questa frase assume il sapore della beffa.


Per Alessandro Gogna, grande alpinista italiano degli anni Settanta-Ottanta e garante dell'associazione ambientalista Mountain Wilderness, uno di quelli che la montagna la vede come Goethe, «un innocuo gioco ma rischia di ridurre l’alpinismo a una goliardata senza motivazione, a un Amici miei senza la bravura di Ugo Tognazzi e soci e senza l’arte di Mario Monicelli. Come se la cultura fosse rappresentata dal nozionismo di Lascia o raddoppia o del Musichiere, come se la canzone davvero popolare fosse quella del Festival di Sanremo. Quando ci piaceva Carosello. Non è alpinismo, non è avventura. Non è avventura se è una gara. Chiamiamola “spietata esperienza adrenalinica”. È una falsa spinta a conoscere la natura della montagna quella di aggirarsi in elicottero per filmare la fuga di uno stambecco terrorizzato».

Perché Monte Bianco non è solo, come giustamente sottolinea, Cesare Cesa Bianchi, Presidente delle Guide alpine italiane, «uno show che si va ad aggiungere all’infinito numero di messaggi a causa dei quali cui passa lo stereotipo della montagna assassina o alternativamente accessibile a tutti sempre e comunque, anche a gente impreparata, che va sul ghiacciaio in infradito, o senza alcun tipo di conoscenza». Anche perché la montagna è più facilmente assassina se ci si va in infradito.

No, c’è qualcosa di più. Qualcosa di oltraggioso. Qualcosa che va a toccare corde più antiche e sacre. Come spiega Piero Carlesi del Touring Club Italiano, «un circo, uno spettacolo a tutti i costi. E per di più brutto, costruito male, senza quegli accorgimenti tecnologici che avrebbero consentito agli spettatori di seguire con più partecipazione le imprese dei concorrenti».

Qualcosa che non ha nulla a che vedere con l’alpinismo. Lo chiarisce Umberto Martini, presidente generale del Cai – Club Alpino Italiano, « è uno spettacolo televisivo, certamente non vi è rappresentata la visione che della montagna dà il Cai, ovvero la ricerca di libertà e realizzazione personale. La sfida fine a se stessa certamente non è alpinismo».

«A chi piace se lo veda pure. Noi cambieremo canale. Anche per non soffrire ancora», è l’amara conclusione del Touring Club Italiano.

Perché, è bene ricordarlo, usando le parole di Livio Lupi, grande appassionato del Cai di Conegliano, «la Montagna non è una sfilata di moda, o la conoscenza alfabetica di tutte le ferrate esistenti, né tanto meno dei tempi di percorrenza delle stesse; la Montagna non è la pista da sci da 2000 sciatori/ora, la cabinovia, la funivia, lo ski-lift, e neanche il rifugio-albergo 3 stelle con scale anti-incendio e TV a colori».

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