Welfare
900mila iscritti al collocamenti mirato, 145mila scoperture
Crescono gli iscritti, gli avviamenti e le assunzioni. Si vedono gli effetti positivi del Jobs Act e del passaggio alla chiamata nominativa. Ma le scoperture rispetto alla legge sono ancora troppe. Ecco i dati della IX Relazione sull'attuazione della legge 68 per l'inclusione lavorativa delle persone con disabilità. Falabella: «Prioritario emanare le nuove Linee guida per il collocamento mirato»
A gennaio 2021 è stata trasmessa al Parlamento la Relazione sulla legge 68/99. La IX Relazione è relativa al triennio 2016-2017-2018, pubblicata quindi a distanza di tre anni dai dati cui si riferisce ed è stata realizzata da Ministero del Lavoro e INAPP. È la prima relazione che fotografa gli effetti delle novità introdotte dal Jobs Act del 2015, con il passaggio dal prevalente ingresso nel lavoro tramite gli avviamenti numerici ad avere come regola generale una assunzione tramite avviamenti nominativi, che come dice il nome stesso, presuppongono a monte un incontro “personale” tra il datore di lavoro e il lavoratore.
Gli iscritti all’elenco del collocamento mirato sul territorio nazionale passano dai circa 700mila nel 2006 agli oltre 900mila nel 2018, con un aumento costante nell'ultimo triennio (gli iscritti all’elenco del collocamento mirato nel 2018 per l'esattezza risultano 733.708, con 99 province rispondenti, per cui attraverso l'analisi statistica il report stima gli iscritti reali arrivare a oltre 900mila). Il flusso annuale delle iscrizioni oscilla fra valori annui attorno ai 75.000 e di poco superiori ai 100.000. Il 94% degli iscritti è rappresentato dagli invalidi civili, dato che si conferma costante, e inoltre più del 60% degli iscritti proviene dal Sud e dalle Isole. Gli stranieri iscritti superano in ciascuna delle tre annualità le 150.000 unità e rappresentano circa un quinto del totale degli iscritti dichiarati. Ulteriore dato utile riguarda la concentrazione dei titoli di studio sul livello medio basso: oltre il 50% degli iscritti termina il proprio percorso scolastico con la scuola dell’obbligo e arriva ad avere al massimo la licenza media o la qualifica professionale. La condizione occupazionale prevalente è la disoccupazione, con oltre la metà degli iscritti è in uno stato di immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione a misure di politica attiva del lavoro, concordate con il servizio competente.
Gli avviamenti al lavoro presso datori di lavoro pubblici e privati di persone iscritte al collocamento mirato comunicati nel 2016 sono stati 28.412, divenuti 34.613 nel 2017 e infine 39.229 nel 2018. In tutto il triennio il settore privato assorbe il 96% degli avviamenti complessivi. Sono numeri che con tutta evidenza sono ben lontani dal corrispondere alla richiesta di lavoro espressa dalle persone con disabilità in cerca di occupazione: ci vorrebbero 23 anni a smaltire le liste, al ritmo di 39.229 avviamenti l’anno! Vero è che il trend – come sottolinea la relazione – sembra mostrare un impegno crescente da parte degli attori del sistema.
Le categorie professionali dei prestatori di lavoro maggiormente indicate nella richiesta di avviamento dai datori di lavoro privati sono quelle di Operaio (29% circa) e Impiegato (18%), con le categorie di Quadri e Dirigenti che, insieme, non raggiungono mai l’1%. L’area del Nord Est si contraddistingue per il numero maggiore di avviamenti per ciascuno degli anni osservati, con le quote percentualmente più elevate nel 2018, contribuendo ad una concentrazione degli inserimenti lavorativi nel Nord Italia per oltre il 60%. Le regioni del Centro assicurano la percentuale più alta di donne avviate, ma sempre al di sotto del 50%. La Lombardia da sola occupa tante persone quanto l’intera macro area Sud e Isole. Il D.Lgs. 151/2015 ha reso obbligatoria, per i datori di lavoro privati che occupino da 15 a 35 dipendenti, l’assunzione di un lavoratore con disabilità: un obbligo che è entrato in vigore proprio nel 2018, mentre precedentemente insorgeva solo in caso di nuove assunzioni. Fra le imprese private, il 45,5% denuncia la presenza di posti non coperti per lavoratori con disabilità sulla propria quota di riserva, quota più alta fra le imprese più piccole (tra i 15 e i 35 dipendenti) e anche nei soggetti pubblici la scopertura arriva al 33,1%. Complessivamente nel 2018 avevamo 145.327 scoperture: oltre 145mila posti che dovrebbero per legge vedere al lavoro altrettante persone con disabilità e che invece restano non occupati.
Questa è una sintetica fotografia delle 310 pagine della Relazione. Ovviamente in questo momento fare il punto rispetto all’accesso al lavoro da parte delle persone con disabilità è fondamentale non solo per avere una fotografia del fenomeno e degli esiti delle politiche poste in essere, ma perché – come si legge nella presentazione – questa fotografia «rappresenta anche un punto di partenza, alla luce della crisi in corso, per una nuova fase di rinnovamento delle strategie di inclusione sociale e lavorativa in chiave non discriminatoria».
Vincenzo Falabella, presidente Fish, questi numeri cosa ci dicono?
Sono dati importanti, che vanno contestualizzati con il periodo a cui si riferiscono. La relazione è sugli anni 2016/2018 e abbiamo svito che gli iscritti al 31/12 sono aumentati nel corso del triennio. Naturalmente ci sono valutazioni specifiche da fare per aree geografiche, perché ancora una volta i dati hanno evidenziato che la possibilità di accedere al mondo lavoro si concentra nei territori industrialmente più avanzati. La maggior parte sono in Lombardia, mentre Calabria, Basilicata, Molise e Valle d’Aosta sono agli ultimi posti. È vero che la Valle d’Aosta è piccola, ma il fatto che siano occupate solo 896 persone con disabilità… è significativo. Molte persone con disabilità nelle aree meridionali non solo non lavorano ma non cercano nemmeno più lavoro e neanche si iscrivono più nelle liste del collocamento mirato proprio per la sfiducia nella possibilità di entrare nel mondo lavoro. Perché diciamolo, c’è ancora un pregiudizio: le persone con disabilità sono considerate ancora improduttive dal punto di vista del lavoro e questo porta le aziende a non investire in loro come risorse. Occorre investire e lavorare molto per cambiare questa cultura. Detto questo, è impensabile che una Relazione al Parlamento su tema così importante possa essere ferma al 2018, a tre anni prima rispetto al momento in cui viene presentata. Non dico che dovrebbe essere annuale ma almeno arrivare all’anno precedente.
Il triennio in esame è il primo in cui si vedono gli effetti delle modifiche introdotte dal Jobs Act nel 2015. Che bilancio si può fare?
La Relazione mostra che le assunzioni sono aumentate. L'Executive Summery della Relazione dice che dal 2009 al 2013 c’è una situazione di stallo, poi una leggera impennata, che aumenta dopo il 2015 e porta nel 2018 a circa 45mila avviamenti e 62mila assunzioni annue. Direi che questi numeri sono conseguenza del Jobs Act: la chiamata nominativa ha funzionato e il suo impatto si è visto già nel giro dei primi due anni. La riforma ha favorito il processo inclusivo delle persone con disabilità nel mondo lavoro. Le nostre organizzazioni lo chiedevano da anni, perché è evidente che una cosa è chiamare un numero e una cosa è chiamare la persona. Questa novità ha avvantaggiato sia il lavoratore sia i datori di lavoro, perché oggi si può mettere la persona giusta al posto giusto. Inclusione lavorativa non può più significare solo l’assoluzione di un obbligo ma il fatto che io investo su una persona perché quella persona, in un contesto agevolato, aperto, inclusivo, potrà raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati. Non assumo la persona in quanto disabile, ma perché ha le qualità necessarie per esser inclusa in quel posto di lavoro determinato. Questo è il cambiamento importante. Spesso con chiamata numerica dopo periodo di prova non c’era assunzione, perché la persona non era stata messa nelle condizioni di dare il massimo. Anche da questo punto di vista però è un peccato che manchino alla valutazione gli ultimi due anni. E ovviamente servirà poi un’analisi approfondita su quanto è accaduto nel 2020, con la pandemia. Naturalmente infatti oggi lo scenario è cambiato e tra le moltissime persone che sono precipitate in uno stato di forte preoccupazione anche sotto il profilo lavorativo, ci sono anche migliaia di persone con disabilità del nostro Paese. Fish tra febbraio e aprile 2020 ha svolto un’indagine (progetto JobLab) realizzata via web: gli esiti dell’indagine evidenziano che solo un quarto degli intervistati (25,7%) è occupato nel settore terziario, mentre il 23,7% lavora nella PA (al Sud 48%). Le competenze degli intervistati sono elevate: i laureati ammontano al 42% (50% tra le donne). A fronte di questo dato, un lavoratore su tre afferma di avere credenziali formative superiori a quelle effettivamente necessarie per svolgere il proprio lavoro.
Non sono drammaticamente preoccupanti queste 145mila scoperture?
Se non costruiamo strumenti di monitoraggio e controllo che siano validi nella realtà, non solo sulla carta, e operativi dal punto di vista del controllo e della possibilità di intervenire là dove le scoperture sono importanti, non riusciremo a risolvere il problema. La logica però non deve essere quella punitiva, ma prevenire che ci siano le scoperture perché crede nell’apertura alle persone con disabilità. Il principio è quello della valorizzazione delle risorse e delle persone.
Le nuove Linee guida per il collocamento mirato, previste entro 18 mesi dall’entrata in vigore del decreto, mancano ancora dopo praticamente sei anni. Avete più volte indicato questa come priorità.
È una priorità che abbiamo evidenziato a tutti i ministri, da Poletti a Catalfo e ora a Orlando attraverso la ministra Stefani. Dobbiamo fare in fretta e recuperare questi sei anni. Onestamente non riusciamo nemmeno a capire il perché di questo ritardo. Mi auguro che questa Relazione al Parlamento possa rilanciare il tema.
Accennavamo prima al fatto che in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo, lo scenario è molto cambiato. Quali altre priorità vedono?
Se consideriamo i decreti emanati per affrontare la pandemia, i lavoratori fragili hanno vissuto molte difficoltà. Per esempio nonostante sia stata prevista una comparazione al ricovero per chi era in condizioni di fragilità, c’è stata da parte di Inps una interpretazione ad excludendum da parte di Inps e siamo dovuti intervenire più volte affinché Inps desse indicazioni chiare e precise. A fine mese termineranno alcuni interventi di copertura, nel prossimo dpcm dovà essere prevista un’attenzione su questo. In tutto questo non dimentichiamo che lo smart working, utile e necessario, potrebbe rischiare di essere utilizzato dalle aziende per evitare che le lavoratrici e i lavoratori con disabilità si rechino sul posto di lavoro. Siamo un Paese in cui gli strumenti di tutela vengono strumentalizzati a loro volta, quindi bene lo smart working ma attenzione che non diventi esclusione dai luoghi di lavoro. Quanto alle priorità, sarebbero molte. A cominciare da queste cinque:
- un programma nazionale di monitoraggio – di breve, medio, lungo periodo – sul livello di attuazione dei diritti nell’emergenza sanitaria e nelle fasi seguenti, per intercettare situazioni di discriminazione e discriminazione multipla;
- un percorso partecipato, con un approccio mainstreaming, per l’elaborazione delle linee di programmazione che ponga specifica attenzione ai bisogni e alle esigenze delle persone con disabilità e con patologie gravi;
- una tutela sostanziale ai lavoratori con disabilità e con gravi patologie e loro familiari rispetto al rischio di licenziamento connesso agli effetti dell’emergenza;
- la valorizzazione del ruolo delle persone con disabilità e con gravi patologie e delle relative associazioni di rappresentanza, del disability manager e del responsabile dei processi di inserimento mirato nella applicazione e verifica dei protocolli per la sicurezza Covid-19, garantendo attenzione alle specifiche esigenze;
- la riprogrammazione dei fondi nazionali, a partire dal fondo per il diritto al lavoro delle persone con disabilità, dei fondi strutturali e delle misure di competenza regionale a sostegno di iniziative e progettualità volte a favorire l’accesso e il mantenimento dell’occupazione per le persone con disabilità.
Photo by Tim Mossholder on Unsplash
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