Mondo

842 milioni di persone patiscono la fame

Come uscire dal dramma della denutrizione globale? Per il Cesvi la soluzione si chiama resilienza: «Prevedere i rischi, migliorare le capacità di risposta agli shock e di adattamento nel medio-lungo periodo adottando nuove strategie agricole e valorizzando le risorse locali»

di Francesco Mattana

Il dato è sempre allarmante: 842 milioni di persone al mondo soffrono la fame. Tuttavia, si registrano miglioramenti in tutti i Paesi dal 1990 a oggi: 23% in meno nell’Africa Subsahariana, 34% in Asia Meridionale, 28% nel Vicino Oriente e Nord Africa. Dei 120 Paesi analizzati, 3 sono in condizioni estremamente allarmanti (Burundi, Eritrea e Comore), 16 hanno un livello di fame allarmante (tra cui Haiti, India, Mozambico) e 37 sono gravi (tra cui Zimbabwe, Uganda e Kenya).  
 
Questo emerge dall'Indice Globale della Fame (Global Hunger Index – GHI) presentato oggi a Milano da Cesvi in collaborazione con ISPI e Link2007, col patrocinio di Expo2015.
Ogni anno il GHI propone un approfondimento tematico per analizzare la fame come fenomeno multidimensionale. Il tema del 2013 è la Resilienza Comunitaria alla denutrizione (intendendo il termine resilienza nelle sue varie accezioni, prese dal linguaggio della biologia, dell’ingegneria, della psicologia etc.).
 
L’Indice è uno strumento che combina tre indicatori: la percentuale di popolazione denutrita, il tasso di mortalità infantile sotto i 5 anni e la percentuale di bambini sottopeso sotto i 5 anni, attribuendo un punteggio a livello mondiale, regionale e nazionale. L’Indice della fame a livello mondiale è sceso dai 19,8 punti del 1990 ai 13,8 del 2013, ma l’Africa Sub Sahariana e l’Asia Meridionale mantengono valori ancora molto elevati con 19,2 e 20,7 punti.L’Africa Subsahariana presenta un grave livello di fame, ma nel frattempo si sono affacciati una serie di elementi favorevoli: la stabilità politica, la crescita economica, i successi della lotta all’HIV, la minore incidenza della malaria, il miglioramento dell’assistenza prenatale, il più ampio accesso all’acqua potabile e alle strutture igienico-sanitarie.
 
Il Presidente Cesvi Giangi Milesi ha elencato le situazioni in cui una comunità si mostra resiliente: «Quando è capace di prevedere i rischi, migliorare le sua capacità di risposta agli shock e di adattamento nel medio-lungo periodo adottando nuove strategie agricole e valorizzando le risorse locali. La povertà in cui vivono le popolazioni vulnerabili è dovuta all’incapacità di far fronte a fattori di stress come alluvioni, terremoti o aumento dei prezzi». 
 
I partecipanti alla tavola rotonda –oltre a Milesi Stefano Gatti, Direttore Generale Divisione Partecipanti Expo2015; Maurizio Martina, Sottosegretario del Ministero delle Politiche Agricole con delega per Expo2015; Daniele Panzeri, Rappresentante Cesvi in Myanmar– hanno lanciato un appello ai donatori internazionali, affinché supportino programmi di aiuto umanitario e di sviluppo, mentre i governi locali dovrebbero integrare le attività di tutti i ministeri. Le Ong, infine, sono chiamate a realizzare progetti per il raggiungimento di una risposta integrata, multidimensionale e partecipativa.
 
Panzeri ha sottolineato il ruolo di Cesvi in Myanmar: «Lavoriamo nella Dry Zone, una delle aree più povere del Paese dove il 41% della popolazione non raggiunge un’adeguata sicurezza alimentare. Realizziamo programmi volti al coinvolgimento e alla co-partecipazione delle comunità locali a tutte le fasi progettuali».   
 
Il Rapporto è stato presentato in contemporanea mondiale in Italia, Francia, Germania, USA, Inghilterra, Irlanda e Belgio, grazie alla collaborazione di Alliance2015, un network europeo di 7 ONG di cui Cesvi fa parte dal 2002. 
 

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