Famiglia

8 marzo: vogliamo anche gli asili

Quasi 2 milioni di bambini sono tagliati fuori da questo servizio. Così si penalizza il lavoro femminile e non si aiuta la mobilità sociale. Ecco come rileggere i cento anni della festa delle donne

di Redazione

Vogliamo anche gli asili. Sì, vogliamo anche le rose, le mimose, le cene a lume di candela, i cioccolatini, la biancheria sexy, i diritti, leggi che ci tutelino, pari opportunità e pari salari, protezione dalla violenza degli uomini di casa e di strada: vogliamo tutto questo e vogliamo anche gli asili.

Sembra roba vecchia, sempra una rinuncia, un riposizionarsi sulla cincidenza senza residui dell?equivalenza fra donna e mamma, dimentiche di quella bellissima metafora di Rossana Rossanda, della donna come una millefoglie. Sembra. Invece quello è un tassello fondamentale. Perché anche se nei cortei e nei dibattiti, il compito di cura lo snobbiamo, nella realtà siamo ancora noi ad esserne le prime responsabili. Con moltissime differenze e una diversa consapevolezza, certo, e pure con le nuove contraddizioni ? tutte moderne ? del care drain che si verica là dove decine di migliaia di donne lasciano le loro case e le loro famiglie per venire a prendersi cura delle nostre.

Studi europei, presentati di recente in un seminario presso il Dipartimento per le politiche della Famiglia, dimostrano che l?incremento degli asili, congedi parentali e varie forme di part time fanno aumentare i tassi occupazionali femminili e, insieme, i tassi di fertilità. Tre piccioni con una fava. Tra tutti gli strumenti analizzati, gli asili sono l?asso nella manica: «un incremento del numero degli asili nido del 10%, porta la probabilità di lavorare dal 79% al 86% per le donne più istruite, e dal 53% al 67% per le donne meno istruite», ha detto la professoressa Daniela Del Boca. Strumento quindi perfetto per l?Italia, dove le donne ancora non hanno tassi d?istruzione elevatissimi. Peccato che in Italia la disponibilità di asili nido sia bassissima, ferma all?11%. E pure con il tanto sbaniderato piano straordinario del Ministro Bindi arriveremo, quando i 65mila nuovi posti saranno stati realizzati, al 15%. Ben lontano dall?obiettivo di Lisbona, che indica un 33% di copertura. Ecco di seguito un?analisi dettagliata della situazione italiana.

2 milioni di bambini in cerca di nido
di Maurizio Regosa
Gli esclusi sono quasi il 90%. Una situazione che penalizza la stragrande maggioranza dei bimbi italiani e delle loro famiglie, spesso costrette a ricorrere alle cosiddette ?soluzioni alternative?.

I dati parlano fin troppo chiaro: l?offerta del Belpaese, che si aggira attorno all?11,4% (ma in alcune regioni del Sud scende al 5%), è drammaticamente lontana dal 33% fissato dall?Agenda di Lisbona per il 2010 (praticamente dopodomani) e distante anche da Paesi come la Danimarca (il 50% dei bimbi ha il ?suo? asilo nido) e Francia (il 35-40%).

Come se non bastasse, da noi i servizi hanno orari piuttosto rigidi e le famiglie, che ?godono? di laute detrazioni di circa 120 euro l?anno, si fanno carico del 20% della spesa complessiva (contro il 10 per esempio di quelle inglesi).
Il risultato di tale assenza di visione strategica? Meno figli (una media fra le più basse del mondo), minor occupazione femminile (secondo l?Ocse, il 43% delle italiane non ha un?occupazione a causa degli impegni di cura ed assistenza), una sempre più ridotta mobilità sociale e, come dicono le statistiche, la mancata diminuzione dei numeri di aborti da parte di donne con due o tre figli, che fanno questa scelta per motivi economici.

Senza contare la sperequazione fortissima, aggiunge Gianpiero Dalla Zuanna, demografo dell?università di Padova, «tra chi è riuscito a far entrare i figli al nido e chi no. I primi ricevono un aiuto che è di fatto negato ai secondi».
In sintesi, un futuro con il freno a mano. Tutte le ricerche sottolineano il mortificante legame fra numero dei figli e povertà della famiglia. «Persino il titolo di studio», prosegue Dalla Zuanna, «è correlato al numero dei fratelli». Come a dire, diverrò quel che mi sarà, oggi, consentito di diventare. Scusate se è poco.

Per contrastare la povertà dei nuclei con più figli, «la leva fiscale non è sufficiente: serve il doppio stipendio», aggiunge Alessandro Rosina della Cattolica di Milano, «necessario anche in termini di sviluppo complessivo del Paese. L?occupazione femminile, che è sotto al 50%, è essenziale per l?equilibrio fra quanti non sono più attivi e quanti lavorano. E le donne che lavorano fanno anche più figli». Il cerchio, per dir così, si chiude.

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