Volontariato
70mila miliardi alla ricerca di un buono
Pochi giorni per decidere chi e come gestirà un patrimonio a tredici zeri. La legge impone finalità sociali, ma molto dipenderà dalla composizione degli organi centrali.
A ncora poche settimane. Quelle che restano da qui al 6 febbraio, termine ultimo previsto dall’atto di indirizzo governativo del 10 agosto scorso che impone alle fondazioni bancarie di adeguare entro quella data i propri statuti in modo conforme «ai criteri generali ai quali si atterrà il ministero del Tesoro per approvarli». E finalmente, anche l’attesissima riforma di questi 88 “mostri senza padrone”, come ebbe a definirle il loro stesso ideatore Giuliano Amato, sarà conclusa. Trascorsi poi altri eventuali 60 giorni, periodo di tempo massimo consentito ai tecnici di Via XX settembre per dare o meno il via libera agli statuti e, in tal caso, a quelli delle fondazioni più ritardatarie, sapremo con esattezza quale destino ciascuna di esse si è riservato. Come verrà investito il loro patrimonio che, complessivamente, ammonta a circa 60-70 mila miliardi di lire. Quali dei sei scopi di utilità sociale, contemplati dal ddl n. 153/99, attuativo a sua volta della legge n. 461/98, intenderanno perseguire: ricerca scientifica, istruzione, arte, tutela dei beni culturali e ambientali, sanità, assistenza alle categorie sociali deboli.
Solo poche già in regola
Tuttavia, nonostante l’imminente scadenza, sono ancora poche gli enti che hanno concluso l’opera di revisione degli statuti. L’unica, finora, ad aver ottenuto l’assenso del Tesoro è stata la Fondazione Banca del Monte di Lucca. Quella del Monte di Bologna e poche altre dovrebbero averlo a giorni. Ben ventuno, tra cui l’Ente Cassa di Risparmio di Roma e la Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna sono ricorse al Tar per contestare, tra l’altro, «il carattere nettamente prescrittivo» dell’atto di indirizzo. E tra le grandi, solo la Fondazione Cariplo (10.600 miliardi di lire di patrimonio) ha organizzato un vero e proprio road-show , una conferenza pubblica di presentazione dello statuto alla sua comunità di riferimento, spiegando nel dettaglio i criteri di composizione dell’organo di indirizzo, il cuore pulsante dell’ente cui spetta poi il compito di nominare il consiglio di amministrazione. Dei 40 membri previsti, 20 verranno indicati dagli enti locali, 7 saranno assegnati sulla base di un bando tra le organizzazioni non profit lombarde, 7 verranno cooptati dalla Ccb (commissione centrale di beneficienza, futuro organo di indirizzo) e infine 6 (ciascuno per area di intervento), saranno scelti, sempre dalla Ccb, da altrettante terne di candidati segnalati da personalità prestigiose come il Cardinal Martini, il presidente della conferenza dei rettori, quelli di centri di ricerca d’eccellenza e così via. Per quanto riguarda, invece, l’altra “grande” per dimensioni patrimoniali, la Compagnia Sanpaolo di Torino (8.090 miliardi), ha provveduto anch’essa all’invio a Roma dello statuto, approvato il 16 dicembre scorso, arrivando prima tra le grandi. Tra le peculiarità del nuovo statuto: un organo di indirizzo che sarà composto da 20 membri (prima erano 19), che includerà una qualificata rappresentanza della società civile (un rappresentante dell’Accademia delle Scienze di Torino, dell’Accademia dei Lincei, della Presidenza della Commissione europea, della Commissione pari opportunità, dell’Unioncamere Piemonte); il comitato di gestione (così si chiamerà il consiglio di amministrazione) sarà composto da 5-7 membri, con un presidente e due vice che non faranno parte dell’organo di indirizzo.
Quanto non-profit nelle fondazioni
Insomma, sebbene la riforma delle fondazioni bancarie sia a un passo dalla conclusione, rimangono aperte ancora diverse questioni e tra le più importanti spicca proprio quella che concerne il “peso” che spetterà alla società civile nel governo e nella determinazione delle politiche di intervento degli enti. «Quanti esponenti del non profit ci saranno complessivamente negli organi di indirizzo delle fondazioni? E quanti di loro saranno poi presenti nei consigli di amministrazione degli enti?» si chiede non senza preoccupazione Giorgio Fiorentini, docente alle università Bocconi e di Lecce, il quale sin dall’inizio ha seguito passo dopo passo le diverse fasi della riforma. «Sono queste le domande ineludibili alle quali mi attendo che i nuovi statuti sappiano fornire risposte chiare e precise. Solo così sapremo se davvero il Terzo settore avrà presto effettiva voce in capitolo nella configurazione delle scelte strategiche delle fondazioni. Per questo», continua Fiorentini, «confesso che mi sarei aspettato una mobilitazione maggiore da parte dei principali organismi rappresentativi del non profit nell’attuale fase della riforma». A fugare simili perplessità interviene Nuccio Iovene, segretario generale del Forum del Terzo settore che a metà dicembre ha organizzato il convegno intitolato significativamente “Riforma delle fondazioni: opportunità o boomerang?”: «Può anche darsi che in certi frangenti il Terzo settore non sia stato sufficientemente pronto a cogliere tutte le occasioni disponibili per far sentire la sua voce. Mi preme però sottolineare che se non ci fosse stato il Forum a rivendicare la propria titolarità ad essere parte in causa nel processo di riforma, probabilmente questa se la sarebbero fatta le fondazioni da sole, al chiuso delle loro stanze dorate. Certo», aggiunge Iovene, «nella fase di revisione degli statuti abbiamo volutamente mantenuto un profilo basso, ma per una scelta ben precisa».
Interlocutori imprescindibili
«Ad agosto, dopo l’emanazione dell’atto di indirizzo, avevamo subito allertato le sedi regionali del Forum affinché attivassero loro le opportune interlocuzioni con le fondazioni. Ci è parso doveroso perciò rispettarne l’autonomia e non dare l’impressione di far calare dall’alto le nostre decisioni, anche perché ormai il Terzo settore è diventato a tutti gli effetti un interlocutore imprescindibile delle fondazioni». Auguriamoci che anch’esse siano dello stesso avviso.
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