Welfare
7 anziani su 10 restano in ospedale perché fuori nessuno se ne occupa
Il 75,5% dei pazienti anziani rimane impropriamente in ospedale perché non ha nessun familiare o badante in grado di assisterli in casa, mentre per il 49% non c’è possibilità di entrare in una Rsa. Il 64,3% protrae il ricovero oltre il necessario perché non ci sono strutture sanitarie intermedie nel territorio mentre il 22,4% ha difficoltà ad attivare l’Adi, l’assistenza domiciliare integrata. E il tutto ha un costo per il Ssn di circa un miliardo e mezzo l’anno
I nostri ospedali sono così pieni che nei pronto soccorso si affastellano anche per giorni i pazienti in lettiga che non trovano posto in reparto. Perché letti e personale sono stati via via tagliati negli anni. Ma anche per via del fatto che la metà dei ricoveri riguarda pazienti over 70 e in oltre il 50% dei casi restano in reparto circa una settimana in più del necessario, visto che non hanno un familiare che possa assisterli e che nemmeno possiedono una pensione così ricca da potersi pagare i circa duemila euro di retta mensile per una Rsa. Per non parlare del fatto che nella gran parte dei casi mancano strutture sanitare intermedie nel territorio, e che in un caso su quattro si ha difficoltà ad attivare l’Adi. In altri termini un mix tra deficit di assistenza sociale e di mancata presa in carico da parte di servizi e strutture sanitarie territoriali. A scattare la fotografia è Fadoi, la società scientifica di medicina interna.
«Il 75,5% dei pazienti anziani rimane impropriamente in ospedale perché non ha nessun familiare o badante in grado di assisterli in casa, mentre per il 49% non c’è possibilità di entrare in una Rsa. Il 64,3% protrae il ricovero oltre il necessario perché non ci sono strutture sanitarie intermedie nel territorio mentre il 22,4% ha difficoltà ad attivare l’Adi, l’assistenza domiciliare integrata», si legge in una nota. «È il peso che ricade indebitamente sulla sanità pubblica a causa delle carenze del sistema di assistenza sociale, ma anche dei servizi territoriali sanitari poco attrezzati alla presa in carico di questi pazienti».
2,1 milioni le giornate di degenza in eccesso
La survey condotta in 98 strutture indica che dalla data di dimissioni indicata dal medico a quella effettiva di uscita passa oltre una settimana nel 26,5% dei casi; da 5 a 7 giorni nel 39,8% dei pazienti; mentre un altro 28,6% sosta dai due ai quattro giorni più del dovuto.
Considerando che i ricoveri nei reparti di medicina interna sono circa un milione l’anno e che almeno la metà di questi sono di over 70. E tenendo poi conto che ben più del 50% di questi prolunga mediamente di una settimana il ricovero oltre le necessità sanitarie, in tutto sarebbero 2,1 milioni le giornate di degenza in eccesso. «Un numero che influisce non poco sull’intasamento degli ospedali e che considerando il costo medio di una giornata di degenza, pari a 712 euro secondo i dati Ocse, fanno in totale un miliardo e mezzo l’anno di spesa che si sarebbe potuto investire in vera assistenza sanitaria».
Una volta dimessi il 24,5% dei pazienti ultrasettantenni va direttamente a casa, il 41,8% avendo però almeno attivato l’assistenza domiciliare. Il 15,3% viene accolto in una Rsa, il 18,4% in una struttura intermedia.
«Quello che rileva l’indagine è quanto purtroppo tocchiamo con mano quotidianamente, ossia la necessità di farsi carico di problematiche sociali che finiscono per pesare indebitamente sugli ospedali e sui reparti di medicina interna in particolare», commenta Francesco Dentali, presidente della Fadoi.
«E’ un quadro che dovrebbe far riflettere sul nostro sistema di assistenza sociale, che secondo l’Osservatorio del Cnel per i servizi impiega appena lo 0,42% del Pil, mentre in base ai dati Inps oltre 25 miliardi vengono erogati sotto forma di assegni, come quelli di accompagnamento o di invalidità. Questo senza considerare i 3,4 miliardi erogati direttamente dai Comuni. Un sistema inverso a quello adottato da molti Paesi, soprattutto del Nord Europa, dove l’ottimizzazione delle risorse disponibili passa per un maggiore investimento nei servizi di assistenza alla persona. Fermo restando -conclude Dentali– che c’è anche un evidente carenza di servizi sanitari intermedi territoriali, perché parliamo pur sempre di pazienti che al momento del ricovero nei nostri reparti necessitano di una media o alta intensità di cura».
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