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650 mila morti in Iraq. Li abbiamo contati cos

Gilnert Burnham spiega perché i suoi dati della ricerca fatta tra maggio e luglio sono inconfutabili

di Carlotta Jesi

«La guerra in Iraq è il conflitto internazionale del XXI secolo che ha fatto più morti». Gilbert M. Burnham, direttore della scuola di Salute pubblica della Johns Hopkins University, non ha dubbi: 650mila vittime, o il 2,5% della popolazione civile, dall?invasione anglo-americana del marzo 2003. Le ha contate personalmente, insieme a una squadra di quattro medici iracheni della al-Mustansiriya University di Bagdad, con uno studio sul campo realizzato da maggio a luglio di quest?anno che la prestigiosa rivista medica The Lancet ha pubblicato online l?11 ottobre e che il presidente americano George Bush ha bocciato come «poco scientifico e credibile».

Le stime cui si rifà la Casa Bianca, infatti, sono altre: i 7.254 morti l?anno certificati dal ministero della Sanità iracheno dal gennaio 2005 al gennaio 2006. Anche moltiplicando questa cifra per tre anni, si ottiene un conteggio delle vittime lontanissimo da quello denunciato dalla prestigiosa università americana.

Vita: A cosa è dovuta questa enorme divergenza di dati?
Gilbert M. Burnham: È una questione di metodo. Il governo iracheno usa quello della conta dei corpi portati negli obitori. Questo tipo di studio va bene per stabilire delle tendenze, ma non per avere dati che riguardano tutto il territorio nazionale. Il nostro team di medici iracheni, due uomini e due donne, invece sono andati tra la gente utilizzando un metodo attivo basato sulla testimonianza di persone vive: hanno intervistato 1.849 famiglie in 47 diverse aree del Paese scelte in maniera arbitraria attraverso un sistema di assegnazione di numeri.

Vita: Che tipo di domande avete posto alle famiglie, esattamente?
Burnham: Com?era composto il vostro nucleo famigliare a gennaio 2005? E a gennaio 2004? E a gennaio 2003? E a gennaio 2002? Quante morti, nascite, matrimoni e altri cambiamenti ci sono stati? Per essere giudicata ?di famiglia?, una persona dichiarata morta doveva aver vissuto con quel nucleo per almeno tre mesi.

Vita: Le famiglie hanno fornito prove delle loro affermazioni?
Burnham: Nel 92% delle morti dichiarate ci è stato mostrato un certificato di decesso. Il tasso di mortalità è più che duplicato: da una base pre conflitto del 5,5 per mille, si è passati al 13,3 per mille l?anno dopo l?inizio della guerra. La differenza ci è servita a calcolare i morti ?in eccesso?, ovvero le vittime che, presumibilmente, non ci sarebbero state senza l?invasione anglo-americana del Paese.

<>>Vita: Come sono morte queste 650mila persone?
Burnham: Un terzo delle morti sono state causate dalle forze della Coalizione. Molti dei decessi – 601mila su 650mila – sono stati violenti e di questi il 56% sono stati causati da ferite di arma da fuoco.

Vita: Nel 2004, lei pubblicò una stima parziale di 100mila morti nei primi 18 mesi seguiti all?invasione anglo-americana. Che accoglienza generarono, allora, le vostre denunce?
Burnham: Suscitarono un forte dibattito. Al tempo, suggerimmo che un ente indipendente verificasse le morti che avevamo contato in Iraq. Ma non è accaduto. Sono convinto che un corpo internazionale, e indipendente, dovrebbe occuparsi di monitorare il rispetto della Convenzione di Ginevra e di altri standard umanitari durante i conflitti. Con dati certi alla mano, chi si occupa di proteggere i civili coinvolti in conflitti potrebbero riuscire a contenere gli alti costi umani di guerre future.

Vita: L?amministrazione americana ha ostacolato lo studio o la pubblicazione dei suoi risultati?
Burnham: No. Tengo a precisare che il nostro studio non aveva alcun obiettivo politico: volevamo, e vogliamo, soltanto proteggere al meglio i civili in guerra. Non solo in Iraq.

Vita: Il presidente Bush mette in dubbio la validità scientifica del vostro metodo. Cosa risponde?
Burnham: Il governo americano l?ha usato, e continua a usarlo, in molte aree del mondo per ottenere dati su nascite, morti e infezioni da Hiv.

Vita: L?accusano di scarsa scientificità anche perché non ha seguito lo studio sul campo…
Burnham: Non in Iraq, è vero. Ho coordinato i nostri colleghi iracheni dalla Giordania su loro esplicita richiesta: la presenza di noi americani avrebbe reso ancora più precarie le condizioni di sicurezza in cui si sono mossi.

Vita: I governi americano e iracheno sapevano che era in atto il vostro studio?
Burnham: Avevamo un permesso della commissione etica sia della nostra università che di quella irachena. Ripeto: non ci siamo fatti pubblicità per non mettere in pericolo la sicurezza dei quattro medici iracheni.

Vita: Cosa intende fare, ora, con i risultati del suo studio?
Burnham: Innanzitutto capire cosa ci hanno insegnato, a livello di metodo oltre che di risultato. La mia speranza è che abbiano risonanza e un impatto in tutto il mondo, perché stime certe sul numero delle vittime di un conflitto sono lo strumento più efficace per capire il grado di protezione che oggi la comunità internazionale è in grado di offrire ai civili di Paesi in guerra.

Chì è

Gilbert M. Burnham non è certo un sovversivo. È un autorevole professore di una grande università americana dove riveste il ruolo di codirettore del Center for Refugee and Disaster Response. Attualmente è impegnato in programmi di ricostruzione delle strutture sanitarie in Afghanistan.

Per leggere il rapporto: www.lancet.com

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