Cultura

60 anni fa il manifesto dell’obiezione di coscienza

Era l'11 febbraio 1965 quando Don Milani rispose ai cappellani toscani che definirono vili gli obiettori

di Stefano Arduini

L’11 febbraio 1965 i cappellani militari della Toscana approvarono un’ordine del giorno in cui criticarono duramente l’obiezione di coscienza, definendo gli obiettori vili e estranei alla morale cattolica. Don Lorenzo Milani e i ragazzi di Barbiana risposero con una lettera in difesa della pace, dell’obiezione di coscienza e di un’idea nuova della patria: ”Se voi avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri”, scrisse don Milani in quel testo che sarebbe poi diventato ”L’obbedienza non e’ piu’ una virtu”’, manifesto-cult del pacifismo sessantottino. La lettera, inviata a tutti i giornali, fu pubblicata solo da ”Rinascita”, il settimanale del Pci. Ne scaturì un dibattito molto polemico, soprattutto a destra. Don Milani fu denunciato per apologia di reato. Non potendo partecipare direttamente al processo, perché già gravemente malato di tumore (morirà il 26 giugno 1967), il priore di Barbiana scrisse una lettera ai giudici del tribunale di Roma, dove si tenne il processo, il 15 febbraio del 1966. ”La guerra difensiva non esiste più. Allora non esiste più una guerra giusta né per la Chiesa né per la Costituzione”, scrisse don Milani.


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