Non profit

6 regole per misurare il lavoro del vostro fundaraiser

Il nostro esperto Valerio Melandri dà i suoi suggerimenti su una delle questioni più dibattute fra i dirigenti delle organizzazioni non profit: in base a quali criteri posso valutare il mio responsabile raccolta fondi?

di Valerio Melandri

Oggi nel fundraising c’è una misura per tutto. Nuovi donatori, fedeltà, upgrade, rinnovi, redemption, ROI, statistiche. Ma quando si parla di “fundraiser”, dei veri e propri “front-line”, ovvero di quelle persone che vanno personalmente a chiedere fondi ai donatori, l’unica misura che si usa è l’ammontare raccolto. Ma ciò è profondamente sbagliato perché incentiva il fundraiser a chiedere poco (subito) piuttosto che molto (domani), perché lo trasforma e lo isola dalla sua organizzazione (che invece deve essere pienamente coinvolta con lui), perché non tiene conto che fundraising significa per il 90% preparazione alla sollecitazione, e solo per il 10% richiesta esplicita. Ma in qualche modo occorre misurare le loro performance.

Nella mia esperienza di consulente (e di fundraiser a capo di altri fundraiser), ho usato alcuni indicatori per determinare il successo di un fundraiser. Ovviamente ogni indicatore va discusso personalmente con il fundraiser e con lui/lei vanno definiti periodi di sperimentazione e di “prova” per verificare quanto si adattino alla realtà della nonprofit in cui si opera. Ad ogni singolo indicatore va quindi dato un peso ponderato e ovviamente vanno valutate situazione per situazione, affinché l’incentivo (o la sanzione) che ne derivano siano produttive. Ecco i sei indicatori che uso:

1 – Numero di visite personali.
Quanti incontri ha fatto il fundraiser in un anno? Il numero delle visite personali sono un elemento chiave per misurare il successo della raccolta fondi. Ovviamente un diverso peso si da se la visita è presso l’organizzazione nonprofit o a casa del donatore potenziale, o se l’incontro è con il marito e in un secondo momento con la moglie (conta come una sola visita), o se si incontra un gruppo con diversi potenziali donatori (sarà calcolata come visita individuale solo se il fundraiser riesce a parlare con ogni membro del gruppo), e così via. Ho catalogato negli anni almeno una ventina di situazioni ambigue che vanno definite e che influiscono sul punteggio. In generale quante visite in un anno sono da prevedere per un fundraiser full time? Direi fra 120 e 150 visite.

2 – Percentuale di visite uniche.
Si tratta della percentuale di visite effettuate allo stesso donatore. Ad esempio, se un fundraiser ha visitato 90 potenziali donatori e ha fatto 140 visite, la sua percentuale è del 70%. In passato pensavo che 75% fosse una buona percentuale. In realtà oggi occorre molte più visite pe runa singola donazione e ritengo che i migliori fundraiser siano coloro che hanno una percentuale fra il 55% e il 65%

3 – Le proposte presentate.
Ovvero quante proposte e di che tipo vengono presentate? È ovvio che questo criterio deriva molto dalla grandezza dell’organizzazione nonprofit e dal livello di responsabilità che ha il fundraiser (è il capo? è una seconda linea, etc). Direi che un fundraiser per definirsi di successo, in una media-grande organizzazione, debba presentare almeno 10-15 richieste da 15.000 a 50.000 euro e almeno 4-7 richieste sopra i 50.000 all’anno. Ovviamente le proposte presentate devono essere ragionevolmente presentate e dunque deve essere dimostrabile un collegamento fra i primi due criteri e quest’ultimo.

4 – Numero di donazioni portate a casa.
Attenzione: sto parlando del numero delle donazioni, non dell’ammontare raccolto. Piccole, grandi non conta. Mi da una misura del lavoro svolto, dei rapporti aperti, delle azioni svolte. Ovvio che questo criterio deriva molto da che tipo di aiuto ha il fundraiser dalla sua organizzazione (governance coinvolta, volontari attivi), ma calcolando questo numero si sottolinea il numero delle donazioni portate, cioè la capacità di diversificare e quindi di rendere stabile il fundraising. A volte avere una sola grande donazione è decisamente peggio dell’ottenere tre medie donazioni che sommate fanno lo stesso importo. Il mono-donatore è l’anticamera del fallimento.  

5 – Entità delle donazioni portate a casa.
Non può mancare ovviamente, l’importo effettivamente raccolto in un anno. Chi parla di fundraising e non parla di soldi raccolti, non fa un buon servizio al fundraising. Ma chi pensa che il fundraising sia solo una questione di soldi, non sa nulla di fundraising. Posizionato all’interno di una serie di criteri, questo criterio, fondamentale per la vita stessa dell’organizzazione, assume un giusto peso.

6 – Assist (ovvero l’ultimo passaggio prima del gol)
Infine il sesto criterio è quello che io definisco “assist”. Termine che prendo in prestito dal calcio. Gianni Rivera, ovvero il più grande giocatore italiano di tutti i tempi, non era uno che segnava tanti goal, ma era straordinario negli “assist”, ovvero nell’ultimo passaggio dato al centravanti che poi andava in goal. È bene sottolineare e incentivare il fundraiser a dare “assist” a tutti coloro che lavorano nell’organizzazione. E viceversa, la donazione portata a casa in forza di un assist preciso, deve per forza valere di meno, nella valutazione finale. Un fundraiser è un motivatore, un allenatore di tanti altri a raccogliere fondi, e se sa che verrà premiato se anche altri, grazie a lui/lei, raccoglieranno, diventerà un moltiplicatore di energie dentro l’organizzazione.

Postilla: non si tratta di usare questi sistemi solo per “controllare” il lavoro, ma anche e soprattutto per fare meglio e di più. Si tratta di 6 criteri di valutazione che mentre misurano il fundraiser, vogliono trasmettere la cultura del fundraising dentro l’organizzazione. Forse mai come in questo caso, l’esperienza di chi ha già impostato in passato sistemi di rendicontazione e valutazione del genere è fondamentale.

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