Mondo

580 tegole per la casa del vecchio Enrique

di Carlo Andrea Clerici, volontario in Perù.

di Sara De Carli

Sei tegole nello zaino, mi inerpico sul sentiero che risale la Cordillera Blanca. Siamo a 3.400 metri, e le sei tegole pesano come macigni. Ho perso il conto dei viaggi che ho fatto, ma so che le tegole da trasportare sono 580. Abbiamo deciso di rifare il tetto della casa di Enrique, a 800 metri dalla strada principale. Don Enrique, come si dice qui, è l?anziano di San Luis. Non è un grande onore. Vuol dire essere isolati e dimenticati, lasciati a se stessi. Enrique avrà sì e no 55 anni, è infermo e vive in una casupola col tetto di paglia marcito dalle piogge. Due locali di due metri per due. Lo troviamo nel secondo: la stanza è buia, senza neanche una finestra per non disperdere il calore del fuoco. Chiaramente così non si disperde neanche il fumo ed Enrique, come tutti, ha il viso annerito dalla fuliggine. Per terra, tra il fogliame e la polvere, due topi morti e tre giare di argilla, che custodiscono tutti i suoi beni. Le ragazze del taller dell?Operazione Mato Grosso gli portano ogni giorno un pasto caldo; l?altro giorno hanno portato anche delle calze, ma gliele hanno già rubate. Tanto a lui non servono, pensano tutti. Inclusa sua figlia, che vive poco lontano da qui, con tre bambini, ma lo ha completamente abbandonato. A Wreconcocha, lontano da tutti e da tutto, quattro ore a piedi dalla strada, sul prato tra le pecore e i maiali, un bambino mi tende una mano nera di terra e di croste. Da buon montanaro ho con me delle zollette di zucchero. Ne depongo una in quella manina nera e mi sorprendo a ripetere lo stesso gesto che, su altre montagne, tante volte ho fatto con un cavallo o una capra. Mi spavento, davanti a questo bambino che dalla vita sembra non aspettarsi altro che una bianca zolletta di zucchero. Non è così per tutti. Di certo non lo è per i ragazzi che al campo base di Chacas hanno fatto il corso per guide alpine, e affrontano la vita con la stessa grinta con cui partono per i 7.000. Alcuni di loro sono arrivati addirittura al brevetto internazionale. Eppure, tra i tanti volti che la povertà può avere, quello che più mi ha commosso è l?abbandono. È la solitudine, la famiglia che non c?è, l?isolamento. È stare a guardare il giorno che passa, la vita che scivola via in silenzio. Con due lacrime che tracciano righe chiare sulle guance nere di don Enrique e con un sorriso che illumina il viso bruciato di un bimbo. Bianco come lo zucchero.


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