ImpactDay

533 storie di impatto sociale cioè di guadagno umano

Intesa Sanpaolo presenta il suo "Rapporto sulla rilevazione degli impatti sociali 2023" su 533 iniziative sociali finanziate per complessivi 144 milioni. Secondo l'analisi del ritorno sociale sull'investimento, Sroi, per ogni euro ne sono stati generati 3,1. La case history della Cooperativa sociale Giotto di Padova che dà lavoro ai detenuti e a soggetti svantaggiati, il cui presidente dice: «L'impatto si vede nella fioritura dell'umano». Ascolta Andrea Lecce, responsabile della Direzione Impact

di Giampaolo Cerri

Si schermiscono quelli della Direzione Impact se gli ricordi che l’anno scorso, il Social return on investiment, il “ritorno sociale sull’investimento” era di due euro ogni euro finanziato – Il 2×1 del Terzo settore italiano, titolammo – e, ora il loro Rapporto sulla rilevazione degli impatti sociali generati dalle iniziative supportate nel 2023 dice che siamo a 3,1. Dati presentati nell’ImpactDay di ieri a Milano, trasmesso in streaming sul canale YouTube di VITA, dove l’incontro può essere rivisto.

Qualcun altro avrebbe gonfiato il petto e “portato a casa” quel miglioramento del 50% e passa. Loro, invece, con la sobrietà di cui fanno una sorta di marchio di fabbrica, che è un po’ il tratto di Andrea Lecce, il loro responsabile, un sardo pacato e sensibile alla clientela che tratta, dicono subito che l’universo di iniziative analizzate, 533 da Nord a Sud in diversi settori sociali, non è esattamente lo stesso, anche se «certamente il dato è importante, perché si tratta di 144 milioni di finanziamenti a breve e medio lungo termine, che corrispondono a una gran fetta delle erogazioni annue complessive della Direzione impact», erogazioni che, preciserà poi proprio Lecce, già nei primi nove mesi del 2024 hanno già raggiunto quota 210 milioni.

Una ritrosia a sbandierare il risultato che esclude il cherry picking da iniziativa a iniziativa: se avessero scelto cioè fior da fiore, ciliegia da ciliegia per stare all’inglese, al fine di individuare i casi migliori, avrebbero suonato la grancassa.

Eppure resta che il risultato sia davvero rilevante: quei 305 milioni di investimento, per la cui quasi metà concorre la banca col suo finanziamento, ne generano 945 di impatto sociale. Se poi si aggiunge anche quello economico, come ha spiegato bene Alessandra Lanza, senior partner di Prometeia che ha lavorato con Intesa Sanpaolo alla ricerca, si arriva a quota 1.379.

Danari con cui si sostiene occupazione – vale a dire la si mantiene o la si crea – per 7.102 addetti. Anzi, correzione importante visto di cosa si parla e in quale contesto lo si fa, per 7.102 persone. Fra loro, 3.256 sono il frutto, anzi l’impatto, del finanziamento.

Dove si inserisce l’impatto: il quadro delle povertà italiane

L’ImpactDay non è stata l’autocelebrazione di buoni risultati ma l’indicazione di un metodo di lavoro: accompagnare il Terzo settore dentro la cultura della valutazione, come convenienza – la capacità di dare valore, la possibilità di comunicarlo, l’opportunità di documentarlo – ma anche come efficienza. Non una solfa efficientista, intendiamoci: chi opera “non per profitto”, vuol dire aumentare i servizi, far crescere la platea dei beneficiari, allargare le risposte ai bisogni, che sempre in endemica e drammatica espansione.

Nella giornata, Intesa Sanpaolo aveva significativamente scelto di anteporre alla presentazione del Rapporto e delle sua metodologia, un intervento di contestualizzazione, affidato al capo dei suoi economisti: Gregorio De Felice, il quale, con precisione, ha composto il mosaico in cui la tessera del finanziamento a impatto oggi si incastra: lo ha fatto prendendo in esame l’arco temporale 2014-2023, quello delle curva di crescita del Pil (salvo l’anno del Covid), ma anche quello dell’aumento della povertà assoluta: oggi arrivata a 2,2 milioni di famiglie con 5 milioni e 700mila persone. De Felice ha ricordato la distribuzione di quei poveri – sempre maggioritaria a Sud – ma con una crescita, 2014-23, più importante nel Nord, pari 3,7%, contro il dato medio italiano del 2,2%.

Non solo, il chief economist ha analizzato le facce stesse della povertà: i nuclei stranieri, le famiglie con figli, le famiglie con un disoccupato e poi, ancora, le correlazioni col basso dato di istruzione e la disoccupazione, la rinuncia alle cure, la salute.

Il quadro che da alcuni anni spinge il ceo Carlo Messina a rivendicare una missione sociale alla prima banca italiana. Per via del Dna di alcuni suoi azionisti, certo – Compagnia di Sanpaolo, Fondazione Cariplo, Fondazione Cariparo e giù giù, per quote inferiori – ma anche per una scelta di fondo, che ha portato a incorporare Banca Prossima, l’attuale Direzione impact collocata dentro la Banca dei Territori, divisione guidata da Stefano Barrese, ma anche a creare, lo scorso anno, “Per il Sociale”, altra direzione focalizzata all’analisi e alla progettazione e all’intervento su determinate aree sociali.

Vocazione sociale, che sta iscritta in un’affermazione programmatica dello stesso Messina nel 2018: «Diventeremo la prima impact bank al mondo».

Alla prova dello Sroi

Il 3×1 che è uscito dalle slide mostrate dalla responsabile Design & evaluation Susanna Tancredi, con l’approfondimento metodologico successivo di Lanza, documentano aree diverse di intervento sociale. Ci sono l’istruzione e la formazione, la sanità e la salute, lo sviluppo economico e la coesione sociale, l’assistenza sociale e la protezione civile, c’è la cultura e ci sono lo sport con le attività ricreative.

Come hanno spiegato quelli di Prometeia, per ogni realtà analizzata si sono individuati gli stakeholder, andando poi a indicare con puntualità i cambiamenti e i benefici generati. Usando appunto lo Sroi, che mette in rapporto il “valore atteso dei benefici” rispetto alle “risorse utilizzate. «Abbiamo provato a farlo con il più grande senso di responsabilità possibile», ha assicurato Lanza, «ma monetizzare la cura ci aiuta a dare valore».

Che cosa significa per esempio, sostenere una delle tante realtà sociali che si occupano di istruzione e formazione, magari anche di giovani drop-out da riaccompagnare allo studio? Vuol dire generare un “aumento di stipendio futuro”, una “maggiore proattività dello studente”, ottenere la “certificazione di competenze”, alimentare lo “sviluppo di pensiero critico”, la “capacità di relazionarsi con gli altri” e, last but not least, “crescita dell’autostima”.

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Sroi alla mano, questi risultati per 13mila e passa persone da qualificare professionalmente, per oltre 8mila bambini e ragazzi, per 5.500 persone fragili inserite nel mondo del lavoro e per 3.600 studenti sostenuti, valgono 109 milioni. Per i loro familiari, oltre 31mila persone, significano “benessere psicologico”, “minori spese di istruzione per migliore rendimento scolastico degli studenti”, che valgono 26 milioni di euro.  

Ci guadagna anche la collettività, ovviamente: “Welfare e sistema sanitario”, non è difficile immaginarlo, si ritrovano meno disoccupati e depressi da prendere in carico, pari a 22 milioni.

Non manca l’impatto anche per chi, in questi progetti, è impegnato: come i 206 che ci lavorano o i 168 che ci fanno volontariato. Si tratta di “soddisfazione nel proprio lavoro, di “acquisizione conoscenze trasversali, di “acquisizione conoscenze specifiche”. Il conto qui è di 2 milioni.

L’imprenditore sociale e il guadagno umano

Dati che, nella tavola rotonda seguita, hanno preso il volto e la voce di un sessantenne padovano: Nicola Boscoletto, uno dei fondatori, nel 1986, della cooperativa sociale Giotto di Padova. Con un gruppo di amici realizzarono un singolare (allora) upgrade dell’antica virtù cristiana del visitare i carcerati: Boscoletto e gli altri, infatti, ai detenuti del carcere patavino dei Due palazzi portarono anche il lavoro. «Oggi siamo una realtà che occupa più di 600 persone», ha raccontato, «un centinaio afferiscono al mondo del carcere, all’interno e all’esterno, un altro centinaio soffrono una disabilità fisica, psichica o psicofisica. Poi ci sono lavoratori che sono espressione di quel disagio sociale, non codificato, non riconosciuto, esploso dopo il Covid: non creato dalla pandemia semmai accelerato. Lo registriamo soprattutto nelle donne, nelle mamme, in maniera particolare».

Da sinistra, Nicola Boscoletto, Alessandra Lanza, Gregorio De Felice, Giampaolo Cerri,
Andrea Lecce e Giuliana Baldassarre

Presentato come generatore di impatto, Boscoletto non si è stupito – d’altronde Giotto è diventata un caso di studio della sociologa Vera Negri Zamagni che ne ha scritto per il Mulino (La cooperativa sociale Giotto. Una normalità eccezionale) – Boscoletto, dicevo, non si è sorpreso ma ci ha tenuto a precisare che «Nicola non ha generato nulla, semmai è stato generato». E ha regalato all’uditorio sette concetti in cui personalmente valuta e traduce l’impatto del suo lavoro e di quello dei suoi soci. Una è la parola “orto”, spiegando che «bisogna passare da una concezione del proprio orto a una concezione di un orto che è di tutti», come il nome di una cooperativa di Codogno (Lo), ha spiegato, con cui Giotto lavora.

L’ultimo concetto è state quello del “guadagno umano”, spiegato così: «L’impatto per quel che ci riguarda non deve essere solo un risparmio per la Pubblica amministrazione o per la collettività, di sicurezza perché si abbatte la recidiva, ma deve essere un “guadagno umano”. L’impatto economico e sociale», ha aggiunto, «si vede nella fioritura umana, nel volto delle persone, guardandole negli occhi».

Parole cui ha fatto eco Giuliana Baldassarre, docente di Management del non profit alla Sda Bocconi, tornata, come aveva fatto anche in un’intervista a VITA, sulla necessità di una cultura della misurazione, innanzitutto per gli enti di Terzo settore: «Se leggiamo la valutazione come “controllo” non funzionerà», ha spiegato, «se invece partiamo da una prima motivazione, come quella di creare una cultura – perché la misurazione bisogna iniziare a farla, per capirla – arriveremo un domani, anche a vedere qual è, appunto, il “guadagno umano” di cui parla Boscoletto».

Valutazione come leva, valutazione che serva

Di valutazione come leva di crescita ha parlato anche De Felice: «Credo che la valutazione sia molto utile e non solo per la banca ma anche per gli enti del Terzo settore che, così, hanno una visione di quanto è importante quello che fanno e di quali sono le priorità», mentre Lecce, tirando le fila (qui l’audio dell’intervento), ha ricordato come «la valutazione debba essere utile, avere cioè uno scopo. Altrimenti è un appesantimento. Molte realtà», ha osservato, «sono proprio concentrate sul fare, sul risolvere un bisogno e abbastanza appesantite dalla rendicontazioni».

Gregorio De Felice e Andrea Lecce

Il responsabile di Direzione Impacto ha poi ricordato che «per Intesa Sanpaolo è fondamentale supportare il Terzo settore, per promuovere assieme uno sviluppo dell’economia reale anche in chiave sostenibile. Nei primi nove mesi di quest’anno abbiamo erogato al mondo non profit 210 milioni di euro e», ha concluso, «vogliamo continuare a crescere per essere punto di riferimento ed elemento di unione tra chi fornisce risorse e chi le utilizza per generare impatto sociale e rappresentare il bene comune quale valore civile per le comunità in cui operiamo».

Nella foto di apertura, della Cooperativa sociale Giotto di Padova, il call center organizzato all’interno della casa di reclusione patavina, per la prenotazione delle visite mediche. Le grafiche sono di Matteo Riva.

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