Non profit

5 per mille: un crescendo impetuoso di firme e di furti

Gli italiani che firmano per il 5 per mille sono sempre di più. Così lo stato decide che sono troppi e corre ai ripari fissando continui limiti e scippando in tre anni 272 milioni. Un'infografica per una visione prospettica

di Gabriella Meroni

Se fosse una sinfonia, sarebbe un crescendo impetuoso: sono le firme degli italiani a favore del 5 per mille, che da 2006 al 2012 (l'ultimo anno di cui sono stati resi noti i dati) sono aumentate al ritmo di mezzo milione l'anno di media, fino a toccare due anni fa l'incredibile quota di 17,8 milioni.

Era il 2006 e questa misura di sussidiarietà fiscale era stata introdotta da pochissimo, quindi in pochi aspettavano un successo clamoroso. Eppure già 13,4 milioni di contribuenti firmarono nell'apposito riquadro, portando con sé al Caf o dal commercialista il codice fiscale di 11 cifre dell'ente prescelto. L'anno dopo le firme salirono di poco (13,5 milioni) per poi balzare a 14,6 milioni nel 2008, sfondare quota 15 milioni  nel 2009, arrivare a 15,8 milioni l'anno dopo e addirittura a 16,7 milioni nel 2011.

Quanto ai fondi raccolti, la storia è un po' diversa. Raccolti e distribuiti 345 milioni il primo anno, e 371 il secondo, nel 2008 si supera quota 400 milioni, e lo Stato decide che gli italiani stanno diventando troppo generosi e occorre correre ai ripari. Si fissa così in Finanziaria un limite di raccolta oltre il quale non è possibile andare, che oscillerà da 380 a 420 milioni per poi attestarsi a 400 negli ultimi anni.

Lo Stato trattiene così, dal 2009, una parte di quanto i contribuenti destinano agli enti del volontariato, della ricerca o dello sport: quasi 25 milioni nel 2009, ben 80 milioni l'anno successivo, quasi 93 nel 2011 e 74 due anni fa, per un totale “scippato” di 272 milioni.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.