Non profit

5 per mille, l’imbroglio non finisca mai

Come il governo ha abbassato il tetto a 100 milioni: preso in contropiede persino il ministro Ferrero. Ma il terzo settore non ci sta e annuncia battaglia

di Gabriella Meroni

Altro che «alziamo il tetto»: qui siamo al tettuccio, e neanche panoramico. Il tanto atteso emendamento del governo che ha introdotto il 5 per mille nella Finanziaria si è rivelato un clamoroso bidone: nel 2008 ha infatti piazzato in capo alla misura fiscale più amata d?Italia (l?unica?) un limite di 100 milioni di euro. Cioè meno della metà del tetto dell?anno scorso (250 milioni), oggetto di una poderosa mobilitazione del terzo settore italiano. Com?è stato possibile? Il bello, cioè il brutto, è che nessuno si spiega come ciò sia potuto accadere: non il ministro Paolo Ferrero, convinto fino all?ultimo che l?emendamento contenesse un tetto di 400 milioni; non la sottosegretaria Cristina De Luca che, interpellata da Vita, si dice «sconcertata e infastidita» dal contenuto del testo governativo; non molti esponenti della maggioranza di governo, con in testa il senatore Luigi Bobba (Margherita), autore di un emendamento pro 5 per mille; non, infine, ma questo è più comprensibile, i tanti esponenti del terzo settore, incluse le due portavoce del Forum, Vilma Mazzocco e Maria Guidotti, che avevano creduto alle rassicurazioni del governo. E invece. «Non so se parlare ancora di superficialità», attacca Vilma Mazzocco, «piuttosto comincio a pensare che manchi completamente la visione. Non può essere: un anno si dimenticano del 5 per mille, poi mettono il tetto, poi sbagliano, lo tolgono, lo rimettono più basso. Siamo al ridicolo. Ma non ci arrendiamo, anzi continueremo a combattere perché venga ripristinato il ?vero? 5 per mille, che è diritto dei cittadini e non interesse delle associazioni». Sulla stessa linea è il senatore Luigi Bobba (Margherita), firmatario con il collega Francesco Ferrante di un emendamento che introduce un 5 per mille permanente e senza tetto: «Ritengo la scelta assolutamente irragionevole dal punto di vista dei numeri, visto che nel 2006 gli italiani hanno destinato quasi 350 milioni», attacca Bobba, «e dal punto di vista politico, perché si chiudono gli occhi davanti ai 16 milioni di contribuenti che hanno scelto questa opzione. Ma non finisce qui». Non è detta l?ultima parola Ora infatti la palla passa alla politica, e il calcio d?inizio è previsto a Palazzo Madama, dove alla Commissione Bilancio è da poco iniziata la discussione degli emendamenti. Il Senato deve licenziare la Finanziaria entro il 13 novembre; solo allora, dopo le votazioni in Commissione e poi in Aula, si capirà quale testo verrà trasmesso alla Camera. Ma anche qui, dovesse andare male, ci sarebbe tempo per correggere il pasticcio. Anzi, fonti assolutamente attendibili parlano proprio di un ?accordo? siglato all?interno della maggioranza per far passare al Senato l?emendamento governativo, magari ricorrendo alla fiducia che ?blinderebbe? l?intero pacchetto di modifiche volute dall?esecutivo bypassando il problema dei soli due seggi di maggioranza, e in seguito modificarlo con calma (ma con meno rischi? boh) a Montecitorio. A che pro, sinceramente sfugge: non sarebbe stato meglio inserire direttamente il tetto dei 400 milioni, se questa era la volontà dell?esecutivo? Il ?tettuccio? non è neppure l?unico punto controverso del 5 per mille in salsa governativa: Vilma Mazzocco, per esempio, sottolinea come la tassazione su cui si calcola il contributo sia diventata «l?imposta netta diminuita del credito per redditi prodotti all?estero e degli altri crediti d?imposta spettanti», e si chiede il motivo di una scelta che «diminuisce di fatto il gettito». Fondazioni fuorigioco Altre patate bollenti sono l?esclusione delle fondazioni non onlus e l?obbligo per le organizzazioni beneficiarie di produrre, entro un anno dal ricevimento dei contributi, un «apposito e separato rendiconto» sulla destinazione delle somme. Una buona idea in teoria, tra l?altro suggerita dall?Agenzia delle onlus, ma in pratica un doppione per gli enti e un enigma per i loro amministratori: a chi presentare il rendiconto? All?amministrazione finanziaria? Alla comunità? E poi: chi lo verifica? Insomma, le incognite non mancano, i malumori montano, le armi (del non profit) si affilano. Ma il governo se ne rende conto? «È un segnale sbagliato, non si doveva fare», aggiunge la De Luca. «Mi dà fastidio che ci si ritrovi a gestire problemi che sembrano essere legati più a questioni tecniche che a scelte politiche, ma che di fatto testimoniano una sottovalutazione del volere degli italiani». Questioni tecniche? Sarà. Anche se molte voci, tanto ben informate quanto anonime, indicano l?indirizzo dei ?colpevoli?: lavorerebbero ai piani nobili di via XX Settembre, negli uffici di un viceministro che di nome fa Vincenzo e di cognome Visco.


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