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5 per mille, la Corte dei Conti bacchetta ancora (invano)

I magistrati contabili tornano per la terza volta ad analizzare le «criticità» del beneficio fiscale messe in rilievo gli scorsi anni per capire se si sono adottate soluzioni. Ma i risultati dell’analisi non sono confortanti. Ecco le conclusioni, punto per punto

di Gabriella Meroni

È stata pubblicata anche quest’anno la relazione della Corte dei Conti sul 5 per mille, che già si era espressa in merito nel 2014 e per la prima volta nel 2013, individuando «diverse criticità» sulle quali è ora tornata per capire a che punto siamo. Oltre a questi aspetti, la Corte sottolinea le presunte anomalie verificatesi in molti CAF, dove secondo l’Agenzia delle Entrate sarebbero avvenute pratiche poco trasparenti di attribuzione del 5 per mille a enti in qualche modo collegati con le stesse organizzazioni che gestiscono i Centri di assistenza fiscale.

Quanto alle «criticità» messe in rilievo gli scorsi anni, la Corte le rivede una a una, e i risultati dell’analisi non sono confortanti. Ecco le conclusioni, punto per punto. «Benché fosse stata auspicata dalla Corte una diffusione più rapida e trasparente dei dati sulle scelte dei contribuenti e, soprattutto, un’attribuzione più sollecita delle somme spettanti ai beneficiari», nota la Corte, «la pubblicazione dei dati riguardanti l’anno finanziario 2013, da parte dell’Agenzia delle entrate, è stata più lenta per l’anno in corso rispetto a quelli precedenti». Per risolvere questo problema, la Corte aveva suggerito «la concentrazione dei pagamenti in capo ad un’unica struttura» che avrebbe potuto portare «alla contrazione dei tempi di attesa dell’erogazione, evitando inutili passaggi procedurali». Peccato che questa raccomandazione, come le altre, sia rimasta inevasa. Coerentemente a questo invito, la Corte auspica anche « la riunione, in una sola anagrafe, degli albi, degli elenchi e dei registri attualmente presenti ed una più penetrante capacità di controllo delle singole amministrazioni competenti sulle iscrizioni e sulle cancellazioni», e quindi considera utile «la creazione di un database pubblico con dati provenienti dall’Agenzia delle entrate, dalle Camere di commercio, dal Coni e dalle altre amministrazioni coinvolte, che consenta di valutare più compiutamente l’operato degli enti con finalità sociali». Si tratta del famoso albo unico del 5 per mille, di cui si parla da tempo ma che ancora non ha visto la luce.

Altro punto dolente è quello delle procedure, che si ripetono ogni anno uguali richiedendo «i medesimi adempimenti per gli enti aspiranti al contributo, con l’eccezione del Ministero della salute, che ha adottato la buona pratica della non necessità della reiscrizione». Perché questa bella idea non è stata imitata anche dagli altri ministeri? In un altro passaggio, la Corte passa alla questione della trasparenza e della rendicontazione, chiedendo ancora una volta «l’obbligo di pubblicazione dei bilanci, utilizzando schemi chiari, trasparenti e di facile comprensione», una adeguata «pubblicità dei riscontri amministrativo-contabili effettuati in materia di omessa o non adeguata rendicontazione», per far conoscere al pubblico quali sono gli enti “furbetti”. Per snellire le procedure di controllo e di verifica dei requisiti degli enti potrebbe essere utile il trasferimento di questi compiti dall’Agenzia delle Entrate al Ministero del lavoro, definito dalla Corte «l’amministrazione che più conosce le problematiche del settore». In mancanza di questi provvedimenti, il lavoro di verifica della rendicontazione «continua a procedere a fatica ed in maniera assai laboriosa, anche a causa dello scarso coordinamento e dell’assenza di flussi informativi essenziali per lo svolgimento di tale attività tra i ministeri e l’Agenzia delle entrate».

Infine il pronunciamento affronta il tema del numero degli enti destinatari del beneficio («in costante aumento anche quest’anno, per l’assenza di un serio vaglio sulla loro selezione, dovuta a carenze legislative») e della partecipazione dei cittadini, milioni dei quali sono esclusi dal 5 per mille in quanto non soggetti passivi di Irpef. Insomma, un vero e proprio cahier de doléances che si ripete anno dopo anno, e a cui sembra non arrivino risposte convincenti. Tocca ora al legislatore prendere il mano la situazione e cercare di risolverla, sempre che la cosa interessi davvero.

In allegato: la relazione 2015 della Corte dei Conti sul 5 per mille

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