Non profit

5 per mille: il “peccato originale” di Tremonti

L'ex ministro scrive a Repubblica che l'aveva accusato di non aver previsto una copertura sufficiente per la norma

di Gabriella Meroni

Repubblica aveva fatto un paginone venerdì, sul 5 per mille. Un 5 per mille che ancora non c’è (i pagamenti annunciati del 2006 non sono ancora arrivati) e che dovrebbe portare nelle casse del non profit italiano oltre 700 milioni di euro. Nell’articolo, a firma Luca Iezzi, si ripercorreva anche la storia della misura fiscale, “inventata” nel 2005 dall’allora ministro Giulio Tremonti che però, notava Repubblica, «lo inserì senza definire procedure chiare e la copertura finanziaria. Il risultato: tre anni di regole cambiate. Il decreto del governo atteso per il 31 marzo che dovrebbe sistemare le erogazioni 2007 è rimandato a dopo le elezioni».

Sabato, ecco la risposta di Tremonti che, rivendicando con forza la paternità dell’idea-5-per-mille, ripercorre a sua volta la storia del provvedimento: subito dopo l’inserimento del 5 per mille nella Finanziaria per il 2006, «il 5/6 aprile 2006, si è votato e – come è forse noto ? abbiamo perso le elezioni», nota Tremonti. «Se c?è stato un ?difetto?, ed è giusto riconoscerlo, non è stato tanto nell?avvio delle procedure amministrative (…) quanto nella stima del ?costo? erariale proprio del nuovo strumento. Nella Finanziaria per il 2006, il 5 per mille, una novità assoluta nel sistema istituzionale italiano, era previsto come ?iniziale e sperimentale?. E a quell?altezza di tempo la relativa stima di ?costo?, fatta in assenza di precedenti, era oggettivamente ragionevole. Solo dopo si è rivelata parzialmente insufficiente».

Infatti, come riconosce anche Tremonti, il successo del 5 per mille fu clamoroso, tanto che fu necessario – e lo fece il governo Prodi – integrare la copertura. «In questi termini ha fatto bene», ammette anche Tremonti. «Non altrettanto mi pare si possa dire per quelle che sono state, diciamo così, successive vischiosità amministrative. Vischiosità protratte per i due anni successivi e fino a oggi».

Vischiosità? Uhm… questa parola sarà stata scelta a caso, o per l’evidente assonanza con il cognome di un viceministro del governo ancora in carica? Mistero. Comunque andiamo avanti: «Il 5 per mille è diventato parte e non marginale del patrimonio civile del nostro Paese», conclude Tremonti. «Lasciamolo dunque fuori dalle polemiche e lavoriamoci sopra tutti insieme». «La copertura iniziale», è la replica di Iezzi, «si è rivelata insufficiente e ha bloccato il meccanismo. La lentezza della burocrazia ha fatto il resto». Sì, anche se – ci permettiamo di aggiungere – le colpe della burocrazia e di Tremonti si fermano al primo anno di sperimentazione. Per il secondo anno, non dimentichiamo che il governo Prodi aveva “dimenticato” (per la seconda volta consecutiva) di inserire la norma in Finanziaria. Dopo le mobilitazioni del terzo settore, l’articolo sul 5 per mille è ricomparso. Quindi più che burocrazia in questo caso si è trattato di volontà politica. Va invece riconosciuto a merito del governo Prodi di aver innalzato per ben due volte il tetto incautamente posto alla misura, che oggi può quindi contare su una copertura adeguata.

Ci sembra dunque che in questa vicenda non ci siano né buoni né cattivi, da nessuna delle due parti. I veri “buoni” saranno quelli che decideranno, una volta per tutte, di introdurre il 5 per mille nel nostro corpus giuridico con una legge ordinaria. A loro, a qualunque parte politica apparterranno, andrà l’applauso unanime dei contribuenti e del terzo settore italiano.

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