Non profit

5 per mille, Guerra aperta. Le onp: questo vi pare «spreco collettivo»?

di Gabriella Meroni

«Io non sono razzista» è di solito la premessa di chi, magari in un salotto televisivo, ha già in gola una bella sparata contro neri o zingari. «Io non sono contro il 5 per mille», ha dichiarato in un convegno a Genova il sottosegretario al Welfare, Cecilia Guerra, salvo subito dopo aggiungere però che «è uno strumento instabile, frammentario e neanche tanto democratico», che occorre «ripensarlo» perché privilegia le organizzazioni con più visibilità e strutture in grado di fare fundraising, mentre i soldi spesi per farsi pubblicità presso i contribuenti sono «uno spreco collettivo». Tira una brutta aria per questo strumento di sussidiarietà fiscale, che da sei anni a questa parte ha attraversato crisi e tagli, ma ha anche riversato nelle casse di decine di migliaia di enti non profit ? grazie alla generosità dei cittadini ? denaro utilizzato per migliorare servizi essenziali di solidarietà, ricerca scientifica, protezione civile.

Funziona, anche senza spot
Per ora all’uscita dell’onorevole Guerra non è stato dato seguito pratico, ma è innegabile che come lei la pensano in tanti, soprattutto per quello che riguarda il presunto strapotere delle associazioni grandi e famose. Ma è proprio vero che solo chi ha i soldi per farsi pubblicità, magari in tv, è premiato dal 5 per mille? E cosa succederebbe se, da domani, i rubinetti si chiudessero per tutti?
All’associazione Fabio Sassi di Merate (Lecco), che senza un euro di investimento pubblicitario nel 2009 ha raccolto 104mila euro, non hanno dubbi: «Sarebbe un disastro, una tragedia», dice il presidente, Domenico Basile. «Noi con i fondi del 5 per mille teniamo aperto il nostro hospice per malati inguaribili di cancro, in cui accogliamo 200 persone l’anno. Una struttura che ogni anno ha un disavanzo strutturale di 500mila euro, quindi chiuderebbe domani senza i fondi del 5 per mille. Abolirlo? Ci provassero. Noi scenderemmo in piazza».
Da Merate a Firenze, anche l’associazione Progetto Agata Smeralda per farsi conoscere conta solo sul passaparola e sull’affetto dei 10mila sostenitori che hanno attivato un’adozione a distanza dei bambini brasiliani che l’ente aiuta da vent’anni. Eppure, anche senza spot è stata destinataria di 195mila euro. «Tutti andati in solidarietà», sottolinea il presidente Mauro Barsi, «per comprare medicine destinate a malati che non potrebbero curarsi altrimenti, ai lebbrosari, ai missionari, alle scuole e alle case famiglia che sosteniamo al di là dell’Oceano. Togliere questi fondi significa levare il pane di bocca ai poveri».

Un aiuto straordinario
Per Oipa Italia, che si occupa di protezione degli animali grazie a una rete di guardie zoofile volontarie, «il 5 per mille rappresenta per noi il 35% di tutte le entrate», racconta il presidente Marco Comparotto, riferendosi ai 194mila euro raccolti nel 2009. «Non è vero che del fondo beneficiano solo le grandi realtà, ma anche le piccole e medie come noi. Anche 10mila euro sono importanti per chi ha un budget annuale di 20 o 30mila. Stiamo parlando di bollette, affitti… il quotidiano insomma». L’ordinario, ma anche lo straordinario: se non ci fosse stato il 5 per mille, per esempio, l’associazione Nuova Solidarietà di Napoli sarebbe andata avanti a gestire un unico sportello di ascolto per anziani nel rione Ferrovia di Napoli. Oggi invece, grazie a contributi annui nell’ordine dei 170mila euro, ha aperto 13 sportelli in città e provincia, distribuisce 5 tonnellate di pacchi alimentari al mese a 2mila famiglie e ha attivato nuovi servizi di prossimità per immigrati e disabili, oltre a progettare un ambulatorio medico per clandestini e un call center in collaborazione con la Curia di Napoli. «Il 5 per mille rappresenta per noi il 70% delle entrate», ammette il presidente Antonio Di Spirito, «non è difficile immaginare cosa succederebbe se non ci fosse più».

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