Legge di bilancio 2025

5 per mille e art. 112, cara Meloni è l’ora di mantenere le promesse

In queste concitate ore in cui si stanno limando gli ultimi interventi sulla legge di bilancio 2025, si moltiplicano i rumors sul fatto che non si è trovata la quadra per l'atteso aumento del tetto del 5 per mille. Preoccupazione anche sull'articolo 112 e sul rappresentante del ministero dell'economia che il governo vorrebbe inserire negli organi di controllo delle organizzazioni

di Sara De Carli

Giorgia Meloni

In queste ore concitate in cui si stanno facendo le ultime limature alla Legge di Bilancio 2025, si rincorrono rumors preoccupati e preoccupanti su due grandi temi che riguardano l’intero Terzo settore. Di aumento del tetto del 5 per mille e di abrogazione dell’articolo 112 ancora non si parla, ma a poche ore dal voto in Commissione Bilancio che andrà a chiudere la prima tranche della partita questo silenzio si carica di tensione. Si dibatte molto sull’annuncio di un emendamento che vada a innalzare le indennità dei ministri non parlamentari, ma sull’aumento del tetto del 5 per mille tutto tace. Eppure a luglio la viceministra Mariateresa Bellucci a VITA disse che «è volontà di questo governo valorizzare le scelte dei contribuenti e quindi lavorare su un aumento dell’autorizzazione alla spesa. Stiamo lavorando con il ministero dell’Economia e delle Finanze e con l’Agenzia delle Entrate e per verificare un intervento normativo che possa consentirlo e auspichiamo che sia possibile con la manovra di bilancio». E a novembre, dinanzi all’emendamento presentato dai senatori di Fratelli d’Italia per portare la copertura del 5 per mille da 525 a 575 milioni, aveva ripetuto: «Posso certamente dire che seguiremo tale iniziativa con molto interesse. L’innalzamento del tetto previsto risponde alla necessità di dare maggiormente seguito alle scelte dei contribuenti e sostenere l’azione degli enti del Terzo Settore che partecipano attivamente alla costruzione del bene comune».

Se lo Stato non fa quello che dice

Viene da pensare, a questo punto, che forse al Governo e al Parlamento non sia chiaro il significato autentico della partita: l’aumento del tetto del 5 per mille non è una concessione al Terzo settore, ma un atto necessario a far sì che lo Stato tenga fede al suo patto con i contribuenti. Addirittura? Addirittura. Perché ad oggi – e a dire il vero ormai da qualche tempo – il 5 per mille si chiama così, ma non lo è più. Lo Stato – con la dicitura prestampata che mette sui moduli per la dichiarazione dei redditi – annuncia urbi et orbi che rinuncia al 5 per mille dell’Irpef di chi ci metterà la firma, per destinarlo esattamente alla causa che più “fa battere il cuore” del singolo cittadino: poi però non fa quello che dice.

Non tutti sanno infatti che il 5 per mille destinato dai cittadini non va integralmente là dove i contribuenti hanno indicato: ci vanno solo i 525 milioni attualmente previsti dallo Stato come mancato gettito. Sempre lo Stato, trattiene nella tassazione generale la quota eccendente. L’anno scorso l’extra tetto valeva quasi 28 milioni, ma anche nel 2022 il tetto era stato superato di 4,4 milioni e nel 2020 di 3 milioni: prima del Covid, nel 2019, erano già 23,5 milioni in più. Dal 2017 insomma, poiché sempre più contribuenti scelgono di mettere la loro firma per il 5 per mille, il tetto è sempre stato sfondato, nonostante l’innalzamento progressivo del tetto. Unica eccezione è stato l’anno 2021, come ovvia conseguenza del calo dei redditi dovuto alla pandemia.

Il più amato dagli italiani

Nell’ultima edizione del 5 per mille, si diceva, gli italiani hanno dimostrato quanto tengono a questa misura di sussidiarietà fiscale: hanno firmato 17,2 milioni di contribuenti (+730mila firme in più rispetto al 2022). Non solo, per la prima volta il 2 per mille ha sorpassato il più antico e più conosciuto 8 per mille: 17,2 milioni di firme contro 16,9 milioni. Il 2 per mille ai partiti (per il cui aumento invece solo poche settimane fa le risorse in Parlamento erano state trovate) invece raccoglie le adesioni solo di 1,74 milioni di persone. Il 5 per mille senza dubbio gli italiani lo amano: la politica forse un po’ meno.

Che differenza fa se il 5 per mille perde il 5 per cento?

Quando i denari destinati dagli italiani con le loro firme superano il tetto dei 525 milioni, che succede? Che “il peso” delle firme viene riparametrato, in modo da stare dentro i 525 milioni. Chiaramente più alto è l’extra-tetto più impattante è il ricalcolo, con organizzazioni che paradossalmente si sono ritrovate ad avere più firme dell’anno precedente ma meno risorse. Parliamo di almeno 80 milioni di euro che gli italiani negli ultimi sette anni hanno destinato a finalità sociali con il loro 5 per mille, ma che lo Stato in realtà ha trattenuto nella fiscalità generale per via del tetto.

L’anno scorso, per esempio, il 5 per mille del singolo cittadino in realtà è stato un 4,95 per mille.

Una differenza da nulla? Insomma. Airc per esempio in questo modo ha ricevuto quasi 3,7 milioni in meno di quelli che gli italiani le hanno in realtà destinato, Emergency 600mila euro in meno, Lega del Filo d’Oro 500mila. Risorse che, in assenza della soglia limite, avrebbero potuto finanziare servizi per le persone più fragili, progetti di ricerca medico-scientifica, iniziative di sostegno ai soggetti e alle famiglie più vulnerabili di tutela ambientale e culturale… Che cosa significa, concretamente, avere o non avere quei soldi VITA lo ha raccontato qui.

Gli emendamenti presentati

Dinanzi a questa situazione, che si protrae nel tempo, le soluzioni possibili sono due: togliere il tetto del 5 per mille, esattamente come avviene per l’8 per mille, destinando tutto ciò che gli italiani destinano. Oppure alzare il tetto in modo che ci sia sì una previsione del valore della misura, ma con una capienza tale da rispettare le scelte di tutti i contribuenti e rispettare il patto con loro.

La Legge di Bilancio è il luogo giusto per percorrere questa seconda strada ed un po’ tutti i partiti in effetti hanno presentato emendamenti per alzare il tetto, qualcuno con più risorse altri con meno, qualcuno con più gradualità altri in modo più risolutivo. L’emendamento 8.078 presentato dai senatori Imma Vietri, Gianluca Vinci e Luciano Ciocchetti di Fratelli d’Italia per esempio – quello di cui la viceministra Mariateresa Bellucci ha detto ogni bene – stanzia già dal 2025 ben 50 milioni di euro in più all’anno: gli va riconosciuto il coraggio di essere una proposta risolutiva, almeno per qualche anno.

Gli emendamenti per alzare il tetto del 5 per mille sono stati tutti inseriti nel fascicolo degli emendamenti segnalati, quelli cioè a cui in teoria la Commissione Bilancio doveva riservare una particolare attenzione: Vietri 8.078, Stumpo 8.0106, gli identici articoli aggiuntivi Gadda 8.0109 e Bonetti 8.0108, gli identici articoli aggiuntivi Bicchielli 8.082, Gebhard 8.079, Barabotti 8.080 e Panizzut 8.081. Ma in Commissione Bilancio il tema non è stato ancora trattato.

La notte della verità

Nei giorni scorsi infatti l’onorevole Silvana Comaroli (Lega), relatrice per la Legge di Bilancio 2025, ha proposto l’accantonamento di tutti gli emendamenti sull’innalzamento del tetto del 5 per mille. L’accantonamento – ci siamo detti – è meglio che l’invito al rinvio o il parere contrario: è un prendere tempo per trovare la quadra sulle coperture della partita complessiva. Ma ora no.

Ora di tempo non ce n’è più e i giochi sembrano ormai aver escluso l’innalzamento del tetto del 5 per mille dalla partita. Gli emendamenti presentati ieri dai relatori alla questione non fanno cenno, né si vede all’orizzonte nemmeno un tentativo di disegnare un percorso graduale di aumento del tetto, spalmando l’aumento su più anni. Le opposizioni, pure, in Commissione non hanno risollevato la questione.

«Possibile che il governo non riesca a trovare in legge di bilancio una soluzione per fare quello che è giusto? Cioè destinare al Terzo settore quanto i contribuenti hanno GIÀ deciso nella loro dichiarazione dei redditi indicando l’ente destinatario del #5permille», si chiede su X Maria Chiara Gadda (IV). «In un momento in cui i bisogni crescono, bisogna dare gli strumenti per operare a chi è sul territorio nella quotidianità delle persone. Per coprire il superamento del tetto servono pochi milioni di euro che, però, avrebbero un importante effetto moltiplicatore. Questo vale più di molti bonus una tantum. Gli emendamenti ci sono, Italia Viva lo ha presentato, ma si faccia squadra perché queste battaglie non hanno colore politico».

Anche Virginio Merola, capogruppo Pd in commissione Finanze di Montecitorio, in una nota ha ricordato che «il governo nel dl fiscale si è impegnato, approvando un mio ordine del giorno, a valutare l’innalzamento del tetto al 5 per mille per il Terzo settore. In queste ore determinanti per l’esame della legge di bilancio alla Camera ci aspettiamo un atto concreto, reperendo le risorse necessarie e auspicando anche il sostegno della maggioranza, perché questa misura va nella direzione di aiutare il Terzo settore in questo particolare momento di crisi sociale che sta attraversando l’intero Paese. La normativa vigente infatti prevede un tetto massimo di risorse che possono essere destinate
al riparto del 5 per mille, a prescindere dalle volontà espresse dai cittadini. Noi chiediamo di incrementare queste risorse a favore delle realtà sociali che fanno volontariato, solidarietà sociale, ricerca scientifica e sanitaria, al fine di garantire il rispetto delle scelte operate dai contribuenti nell’espressione della volontà di devolvere il 5 per mille della propria imposta sul reddito delle persone fisiche. Non possiamo abbandonare il Terzo settore, non lo chiede soltanto il Partito democratico ma lo chiedono gli operatori stessi del Terzo settore che hanno bisogno di essere sostenuti».

Il silenzio di questi giorni ci porta a fare appello non più solo ai relatori, alla viceministra Mariateresa Bellucci che aveva dato rassicuranti messaggi di interesse, al sottosegretario per l’economia e le finanze Federico Freni, ma anche alla Presidenza del Consiglio.

Gli italiani senza dubbio hanno compreso il valore del 5 per mille: e la politica?

L’articolo 112

C’è un altro punto che preoccupa molto il Terzo settore: l’articolo 112, che introduce un rappresentante del Mef negli organi di controllo di qualsiasi ente che percepisce, anche in forma indiretta, contributi pubblici a partire da 100mila euro. Al comma 4 peraltro lo stesso articolo imporrebbe a quegli stessi enti anche un limite di spesa per l’acquisto di beni e servizi, sulla base dei valori medi di spesa degli anni precedenti.

Una forma di controllo inutile, insensata e pure concretamente irrealizzabile. Anche qui ci sono emendamenti che semplicemente cancellano l’articolo 112, altri che aumentano la soglia dei 100mila euro, altri che escludono il Terzo settore. Qui non c’è da trovare alcuna copertura economica: qui è in gioco “solo” la visione del Terzo settore.

Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Terzo settore, ancora ieri in una nota ha ricordato che «verrebbe colpita l’autonomia di soggetti privati che, diversamente dalle aziende, sono votati allo svolgimento di attività di interesse generale e che già sono dotati di controlli spesso pervasivi. Gli effetti sarebbero disastrosi soprattutto sui servizi che il Terzo settore offre ai cittadini in risposta ai loro bisogni e sullo sviluppo dell’economia sociale di questo Paese, imponendo un freno importante agli investimenti, all’innovazione, al lavoro svolto per la tenuta del tessuto socio-economico. La possibilità di evitare questo danno c’è ancora: si ritiri il provvedimento o lo si corregga».

Anche su questo punto, le parole della viceministra Bellucci, a metà novembre erano chiare: «Voglio rassicurare il mondo della solidarietà sociale che seguirò con particolare attenzione l’iter parlamentare della Legge di Bilancio. Sarà l’occasione per perfezionarne alcuni aspetti e, segnatamente, intervenire sull’articolo 112 che rischia di mettere in difficoltà gli enti del Terzo settore che hanno ricevuto un riconoscimento pubblico di 100mila euro. Ci tengo a ribadire che il nostro obiettivo è quello di semplificare la vita degli enti e lo abbiamo già dimostrato con la legge 104 del 2024, contenente il primo significativo pacchetto di semplificazioni che lo stesso mondo del Terzo settore chiedeva da tempo».

Questa notte parleranno i fatti. Presidente Meloni, è l’ora di tener fede alle promesse.

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