Non profit

5 per mille, ancora tutto come prima

Niente legge. Si spera nel 2010...

di Ettore Colombo

Giuliano Barbolini, relatore del testo: «Mancano ancora
i pareri della Ragioneria e del Tesoro». E così in commissione non si può attivare la sede deliberante. I tempi? «Da settembre saremo impegnati a discutere la Finanziaria. Se ne parlerà l’anno prossimo»
Sedetevi sulle poltroncine del Transatlantico, mettetevi comodi, armatevi di santa pazienza. E aspettate. Ecco il modesto consiglio che ci permettiamo di dare alle associazioni non profit, del volontariato e del terzo settore in genere. Il disegno di legge n. 1366, che doveva istituire in modo definitivo, normandolo con apposita legge di iniziativa parlamentare, il meccanismo del 5 per mille, s’è arenato. Tecnicamente, al Senato della Repubblica, politicamente alla Camera dei Deputati. Per colpa in (buona parte) degli organismi tecnico-burocratici preposti a verificarne la necessaria copertura (Tesoreria dello Stato, ministero dell’Economia, commissioni parlamentari competenti). In discreta parte del Berlusconi quater e del suo ministro (definito “il sub-premier” dal Riformista) Giulio Tremonti. In piccola, ma non influente parte, dei parlamentari della Repubblica. Alcuni armati di buona e concreta volontà, altri che navigano nell’indifferenza. Morale, se volete il 5 per mille, care associazioni, vi tocca aspettare. Quanto? Un anno, sicuramente. Forse due. Dipende. E da mille, e diversi, fattori. Non è una novità, sia chiaro. Durante l’ultima legislatura, quella short – tecnicamente “non vinta” dall’Unione ma che vide nascere e morire (presto) il governo Prodi ter – successe di tutto e di più. E cioè anche di molto peggio, al 5 per mille.

Parole al vento
Non si tratta di una valutazione di merito. Ma tant’è. Succede anche in questa legislatura. Tanto per cambiare e come al solito. E, soprattutto, nonostante i molti impegni presi da molti: Intergruppo per la Sussidiarietà in testa, promotori del disegno di legge n. 1366 (da Maurizio Gasparri, capogruppo Pdl alla Camera, al Pd Vannino Chiti, vicepresidente del Senato) a ruota, ministri (Tremonti) e sottosegretari (il leghista Daniele Molgora) che avevano promesso. Giurato e stragiurato. «Il 5 per mille diventerà legge», era stato il comune e solenne impegno preso. Giuliano Barbolini, senatore del Pd, già assessore alla Sanità della Regione Emilia Romagna nonché ex sindaco di Modena (tendenza Bersani, ci mancherebbe), allarga le braccia: «Con voi di Vita ci eravamo lasciati pieni di speranza, ad aprile. Ho creduto a lungo che avremmo potuto farcela presto, addirittura entro l’estate. Oggi penso che sarebbe un mezzo miracolo chiudere l’iter per fine anno. Più realisticamente temo che se ne parlerà nel 2010, perché da settembre in poi saremo impegnati a discutere la sessione di bilancio, quella della Finanziaria». Amen. Motivazioni? «Per assegnare al ddl la sede deliberante (cioè evitare le secche dell’aula, facendo votare direttamente le commissioni, ndr) serve che alla VI commissione Finanze e Tesoro del Senato, dove sono relatore del testo, arrivi il parere favorevole della Ragioneria di Stato prima e degli uffici del ministero del Tesoro poi. Ma questo parere, a tutt’oggi, manca». Eppure – assicura Barbolini – l’atteggiamento del leghista Molgora, il sottosegretario al Tesoro che segue la partita del 5 per mille su delega proprio di Tremonti, «è sempre stato fattivo e collaborativo». E allora, cosa manca? La copertura finanziaria, al solito, o meglio i “dubbi” che i tecnici dell’Agenzia delle Entrate, della Ragioneria dello Stato e del Tesoro hanno sulla possibilità di trovare i soldi necessari per “coprire”, appunto, un gettito quantificabile, secondo Barbolini, «in 400/500 milioni di euro l’anno».

Tanti pareri, nessuna polemica
Il circolo vizioso, a questo punto, è palese: la commissione, presieduta dall’aennino Mario Baldassarri, chiede un parere al governo, Molgora chiede un parere agli uffici tecnici del ministero che lo chiedono alla Ragioneria, la quale attende il parere dell’Agenzia delle Entrate. Di parere in parere, dalla primavera si fa estate ed, entro breve, si passerà all’autunno. «Il governo e gli uffici tecnici la stanno tirando per le lunghe», sospira Barbolini, che pure assicura, essendo chiara a tutti la natura bipartisan del provvedimento, «di non voler fare polemica politica».

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