Formazione

5 mln di persone a rischio alluvioni

L'indagine di Legambiente e Protezione civile

di Redazione

Sono oltre 5 milioni le persone esposte al pericolo di frane e alluvioni, l’85% dei Comuni ha abitazioni esposte a rischio idrogeologico e nel 56% fabbricati industriali. Sono questi i principali dati emersi dall’indagine ‘”Ecosistema Rischio 2011” di Legambiente in collaborazione con la Protezione Civile, una ricerca che ha monitorato le attività di prevenzione realizzate da oltre 1.500 fra le 6.633 amministrazioni comunali classificate a rischio idrogeologico potenziale più elevato.
I risultati dell’indagine sono stati presentati oggi a Roma, nella sede romana di Legambiente dal capo del Dipartimento della Protezione Civile, Franco Gabrielli, dalla direttrice nazionale di Legambiente, Rossella Muroni, e dal responsabile nazionale Protezione Civile di Legambiente, Simone Andreotti.

Secondo l’indagine realizzata da Legambiente, sono rilevanti le percentuali dei Comuni che dicono di avere in zone a rischio interi quartieri (31%), strutture pubbliche sensibili come scuole e ospedali (20%) e strutture turistiche o commerciali (26%).

Inoltre, a fronte di una situazione di forte pericolo, che si stima riguardi oltre 5 milioni di persone, sono ancora poche le amministrazioni, pari al 29% di quelle interpellate, che affermano di essere intervenute in maniera positiva nella mitigazione del rischio idrogeologico. Migliore, invece, appare la situazione nell’organizzazione del sistema locale di protezione civile: l’82% dei comuni intervistati ha dichiarato di avere un piano di emergenza da mettere in atto in caso di frana o alluvione, anche se soltanto la metà lo ha aggiornato negli ultimi due anni.

«I drammatici eventi che hanno colpito di recente Liguria, Toscana, Sicilia, Calabria – ha spiegato la direttrice generale di Legambiente, Rossella Muronisono solo le ultime tragiche testimonianze di quanto il territorio italiano abbia bisogno non solo di un grande intervento di prevenzione su scala nazionale ma anche di come la popolazione debba essere informata e formata ad affrontare gli eventi calamitosi». Per Muroni, dunque, «dobbiamo lavorare, insomma, anche per affermare una nuova cultura del rischio che renda le persone capaci di evitare comportamenti pericolosi di fronte a fenomeni naturali purtroppo non più eccezionali ma intensificati, ormai con evidenza, dagli effetti dei cambiamenti del clima».

«Sul fronte del territorio poi – ha aggiunto la Dg di Legambiente – è assolutamente prioritario e fondamentale dare maggiore efficacia ai vincoli che vietano di costruire nelle aree esposte al pericolo, programmare e realizzare gli abbattimenti dei fabbricati abusivi, delocalizzare dove possibile le strutture a rischio e investire in interventi di qualità per la sicurezza».

A fronte di ingenti risorse stanziate per il funzionamento della macchina dei soccorsi, per l’alloggiamento e l’assistenza agli sfollati, per supportare e risarcire le attività produttive e i cittadini colpiti e per i primi interventi di urgenza, è evidente, avverte Legambiente, «l’urgenza di maggiori investimenti in termini di prevenzione e manutenzione dei corsi d’acqua, di cui avrebbe sempre più bisogno l’Italia».

«Poter contare su un ottimo sistema di protezione civile ci permette di affrontare in modo efficace le emergenze – ha commentato Simone Andreotti, responsabile nazionale Protezione Civile di Legambiente – ma è evidente come ormai certi fenomeni naturali non siano più eventi eccezionali. è quindi ormai indispensabile far crescere anche nei cittadini una nuova mentalità legata ai temi della sicurezza e della protezione civile. Su questo gli amministratori devono assolutamente cambiare passo e preoccuparsi anche di fornire un’informazione puntuale alla popolazione che dia la consapevolezza necessaria per affrontare il momento critico, quando un evento calamitoso si manifesta».

Dall’indagine emerge ancora che il 69% dei comuni interpellati ha dichiarato di aver svolto regolarmente un’attività di manutenzione ordinaria delle sponde dei corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulica, e il 70% di aver realizzato opere per la messa in sicurezza dei corsi d’acqua o di consolidamento dei versanti franosi.
Tuttavia, questi interventi, spiega il dossier, se non eseguiti adeguatamente e sulla base di attenti studi per valutarne l’impatto su scala di bacino, rischiano in molti casi di accrescere la fragilità del territorio piuttosto che migliorarne la condizione, e di trasformarsi in alibi per continuare a edificare lungo i fiumi e in zone a rischio frana. Intanto, le delocalizzazioni procedono a rilento: soltanto 56 comuni intervistati (il 4%) hanno affermato di aver intrapreso azioni di delocalizzazione di abitazioni dalle aree esposte a maggiore pericolo e appena nel 2% dei casi si è provveduto con interventi analoghi su insediamenti o fabbricati industriali. Le delocalizzazioni delle strutture presenti nelle aree esposte a maggiore pericolo e gli abbattimenti dei fabbricati abusivi rappresentano una delle principali azioni per rendere sicuro il territorio.

Altro punto dolente riguarda l’informazione alla popolazione sui rischi idrogeologici, sui comportamenti da adottare in caso di pericolo, sui contenuti del piano d’emergenza e sulla formazione del personale. Purtroppo, solo il 33% dei municipi che hanno risposto al questionario di Ecosistema rischio ha organizzato iniziative rivolte ai cittadini e il 29% ha predisposto esercitazioni per testare l’efficienza del sistema locale di protezione civile.

Quest’anno nessun comune raggiunge la classe di merito “ottimo” nella classifica predisposta da Legambiente sulla mitigazione del rischio idrogeologico. I più virtuosi sono Peveragno (Cn), Endine Gaiano (Bg), e Senigallia (An) con il punteggio di 8,5: questi comuni hanno dichiarato di aver realizzato interventi di delocalizzazione, di aver svolto un’ordinaria attività di manutenzione delle sponde e delle opere di difesa idraulica, di aver effettuato interventi di messa in sicurezza, di avere piani d’emergenza dedicati al rischio idrogeologico aggiornati, di averli fatti conoscere ai cittadini e verificati attraverso esercitazioni.

Le “maglie nere” invece, vanno a Bagnoli Irpino, Moschiano e Quindici (Av), Castelmassa (Ro), Biccari (Fg), Garessio (Cn), Sannicandro di Bari (Ba), Monterosso Calabro (Vv) che ottengono un pesante 0,5 in pagella, e al fanalino di coda, Lagnasco (Cn), con un punteggio pari a zero. In questi comuni è presente una pesante urbanizzazione delle zone esposte a pericolo di frane e alluvioni e non sono state avviate sufficienti attività mirate alla mitigazione del rischio, né dal punto di vista della manutenzione del territorio, né nell’organizzazione di un efficiente sistema comunale di protezione civile.

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