Cultura

450 i giornalisti sotto minaccia in Italia

Il caso di Sandro Ruotolo, costretto alla scorta dopo le intimidazioni del boss Zagaria, non è certo isolato. E il fenomeno non riguarda soltanto il sud. Intervista a Giuseppe Manzo, giornalista, autore di numerosi libri inchiesta su Napoli

di Anna Spena

Il giornalista di Servizio Pubblico Sandro Ruotolo è stato messo sotto scorta dopo l’intercettazione del boss dei Casalesi Michele Zagaria (in foto). Il boss ha detto ad un altro detenuto: “o voglio squarta’ vivo”. La minaccia nasce da un reportage di Servizio pubblico sulla Terra dei Fuochi, da poco trasmesso su La7, che conteneva un'intervista di Ruotolo a Carmine Schiavone.

La minaccia è lo strumento principale di tutte le organizzazioni criminali; camorra, mafia, ndrangheta. Prima di arrivare ad un fatto concreto, disseminano la vita di chi “li ha disturbati” di piccoli avvertimenti. Casi come quello di Sandro Ruotolo però non sono rari. Sono tantissimi i giornalisti che ogni anno vengono minacciati ma la cosa passa quasi del tutto inosservata, soprattutto nelle piccole testate locali che si occupano di cronaca giudiziaria. La minaccia sembra essere diventata una cosa normale, quasi ovvia. Ormai non si denuncia più. E il fenomeno non riguarda solo il sud, ma l’Italia intera» spiega a Vita.it, Giuseppe Manzo, giornalista, direttore del quotidiano online nelpaese.it e autore di numerosi libri inchiesta su Napoli.

Quali sono le forme di intimidazione più diffuse?
Sono tantissime e varie, la più diffusa però è la querela bianca: ti chiedono soldi che non puoi dare. È un modo per chiedere di stare zitti.

A volte si ha la percezione che il problema rimanga circoscritto al sud Italia, è veramente cosi?
Il problema è molto diffuso al sud, è vero. Ma il resto dell’Italia non è immune alla cosa. Probabilmente nei contesti campani o calabresi, ad esempio, si ha una consapevolezza maggiore perché c’è una presenza territoriale, anche fisica, più radicata delle organizzazioni criminali.

Quanti sono i giornalisti minacciati in Italia oggi?
In base all’ultimo rapporto di “Ossigeno” circa 450 all’anno.

Perché molte volte non denunciano?
Tanti colleghi mi dicono: “sto seguendo quel caso e ho trovato i fili dei freni della moto spezzati”. Non denunciano perché la minaccia sembra essere diventata una cosa normale, quasi ovvia. Poi la tutela per questa categoria è assolutamente assente. Non esiste un sindacato decente: gli avvocati si fanno pagare mentre la retribuzione media della maggior parte dei giornalisti che si occupano di cronaca locale è di 10 euro a pezzo. Concretamente questo è un paese che vive una difficoltà drammatica per quanto riguarda l’informazione.

Come spieghi che in tanti, nonostante tutto, vanno avanti lo stesso?
Se vuoi fare il giornalista, lo fai anche se ti cade una montagna addosso. Mica ti fermi, lo fai lo stesso. È una missione. Sandro Ruotolo ha detto che se non lo fa lui ci saranno altri 100 a farlo al suo posto perciò è tranquillo. È questo che fa la forza. Esiste un unico grande problema a monte: l’informazione in Italia, devastante e devastata. Sul locale ci sono persone che sanno fare bene il loro mestiere; ma ci sono tutele? No.

E sono molti, invece, i giornali locali che si vendono alle organizzazioni criminali?
Ci vorrebbero delle prove concrete per affermare certe cose… Però posso dire che alcuni giornali fanno veramente troppo poco, anche dal punto di vista della tutela…mettiamola cosi. Credo che tutti dovrebbero fare meglio e di più rispetto a certe dinamiche. Invece si crea sempre una bolla mediatica, nasce il momento topico e tutti ne parlano, poi dopo un po’ tutto cade nel dimenticatoio. Manca un’ordinarietà. Se di certe questioni si occupano solo i giornalisti di testate locali, diventano subito individuabili. Il problema è la mancanza di un’ordinarietà e continuità nel denunciare certi fatti.

Esiste una strada percorribile, una soluzione?
L’unica soluzione è un rinnovo completo dell’ordine, ci vuole un autoriforma. La figura del giornalista deve essere più dignitosa e meno deprezzata. Credo sia questo il primo passo da fare.

 

Roberto Salomone/Getty Images

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