Dopo Stati Uniti e Gran Bretagna, l?Italia è il terzo produttore di armi leggere, ?ad uso civile? (tale definizione comprende infatti pistole, revolver, fucili, ma anche mine terrestri ed esplosivi). Armi che in gran parte, come sottolinea il recente 20° Rapporto Italia dell?Eurispes, restano (e circolano) nel Belpaese per oltre 10 milioni di pezzi: nel 2007 erano 4,8 milioni le persone che detenevano legalmente un?arma da fuoco (corta o lunga, da caccia, da tiro a segno o da difesa). In pratica, si stima che circa 4 milioni di famiglie abbiano in casa un?arma. Famiglie che evidentemente si sentono insicure e che vivono per lo più in città. Non a caso, Torino, Milano e Roma – le metropoli che si sono aggiudicate i primi tre posti nella classifica stilata per il 2007 dal ministero dell?Interno e relativa ai capoluoghi più armati – ospitano da sole 2 milioni di armi regolarmente detenute.Del resto, quello delle armi è un settore in continua crescita, soprattutto grazie all?export. Gran parte dei 700mila pezzi prodotti annualmente nei circa 200 stabilimenti italiani, finisce infatti all?estero. Il 16% sbarca negli Stati Uniti (per un importo di 349,6 milioni di euro). Il 15,4% finisce invece negli Emirati Arabi (338,2 milioni). La terza maggior acquirente è la Polonia (compera il 10% del fabbricato e spende 227,6 milioni), seguita da Gran Bretagna (7,3%, 159,2 milioni). In totale, l?industria bellica (che dà lavoro a 5mila addetti) ha raggiunto nel 2006 i 2,192 miliardi di euro (lo 0,8 del Pil, il 15% dell?export totale). Fra le aziende leader, Agusta, Alenia Aeronautica e Finmeccanica spa (controllata dal ministero del Tesoro, che la possiede per il 33,8%).
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