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4/il rebus onlus: quando la legge dice poco o troppo
Tra i principali punti di non chiarezza dellordinamento legislativo fiscale, limponibilità del reddito e dellIva (di Salvo Pettinato e Laura Bellicini).
Continuiamo la nostra rassegna di tematiche influenti sulle varie conseguenze fiscali che incombono sul regime corrente del comparto non profit.
1. Contributi pubblici e non imponibilità
Il tema riguarda un?area di portata cruciale: i contributi corrisposti da amministrazioni pubbliche agli enti non commerciali ai sensi dell?art. 108, comma 2-bis del Tuir. Si parla evidentemente di un contesto che può concernere tutto il Terzo settore, quello di rilevante dimensione economica e quello di portata minore, dove il flusso di contribuzione pubblica viene spesso a costituire il ?fulcro? del sostentamento dell?ente, secondo moduli che in passato hanno spesso determinato la ragione per cui l?ente beneficiario assumesse la qualifica soggettiva di ente ?fiscalmente? commerciale.
La norma rilevantissima in oggetto, però, qualche perplessità operativa l?ha suscitata. La semplice menzione delle ?finalità sociali?, a proposito delle attività convenzionate le cui contribuzioni di enti pubblici agli enti non commerciali che le prestano non concorrono alla formazione del reddito, si è rivelata troppo ampia nella pratica e suscettibile di forti dubbi interpretativi. La norma, delineata pensando alle attività di tipo assistenziale che, per il loro carattere ?collettivo?, dovrebbero essere svolte dall?ente pubblico, si presta alla flessibilità estrema del concetto di ?attività aventi finalità sociali?, e andrebbe quindi meglio circoscritta per non rischiare sia facili contestabilità del fisco sia facili abusi da parte dei ?meno onesti?. L?amministrazione finanziaria, nella circolare 124/E/1998, si è limitata a precisare che “le finalità sociali devono ricomprendersi tra le finalità tipiche dell?ente”. Tale affermazione, però, se da una parte aiuta l?interprete a circoscrivere la ricerca delle ?finalità sociali? all?ambito delle attività ?principali?, dall?altra, nulla dice su quelle che dovrebbero essere le caratteristiche di tali finalità. Sarebbe auspicabile il ripiego del legislatore sul concetto di finalità socio-assistenziali per sottolineare l?applicabilità solo nei casi di stati di bisogno allargato e di entità significativa, e per ovviare alla tendenziale estensività che oggi è inopportunamente già in atto.
2. Detrazione Iva per beni ad utilità promiscua
Andrebbero esplicitati i criteri per selezionare, tra gli acquisti di beni che si riferiscono al versante sia delle attività commerciali che delle attività istituzionali, la parte di Iva detraibile in quanto relativa al primo dei suddetti versanti. Il c. 2 dell?art. 19-ter del dpr 633 è quasi tautologico visto che identifica la predetta quota detraibile “per la parte imputabile all?esercizio dell?attività commerciale o agricola”. La norma con la sua carenza di disposizione concreta, impone una verifica circostanziata, di volta in volta, sulle parti di imposta, addebitata congiuntamente nelle fatture, che si possono considerare imputabili all?esercizio dell?attività commerciale.
La prassi ha individuato la validità equitativa della coesistenza di un criterio primario basato su riparti oggettivamente suffragati (es. illuminazione per aree ?commerciali? e ?non?, frazionabile in base all?esternazione delle aree) con un criterio suppletivo proporzionale ancorato a dati finanziari (es. percentuali di entrate). In particolare si è fatto ricorso all?applicazione del criterio c.d. del pro rata di detraibilità previsto dall?articolo 19, c. 5, del dpr 633/1972 riguardo ai contribuenti che esercitano, in contesti esclusivamente commerciali, attività che generano operazioni sia imponibili che esenti.
Tale criterio comporta la determinazione del quantum d?imposta detraibile in misura proporzionale al rapporto esistente, alla fine dell?anno, tra l?ammontare delle operazioni che danno diritto alla detrazione e il totale delle operazioni effettuate, ferma restando la possibilità, in corso d?anno, di utilizzare la percentuale risultante dal periodo precedente e di effettuare, eventualmente, il conguaglio a fine anno.
Da ultimo, l?amministrazione finanziaria nella risoluzione n. 86/E del 13 marzo 2002 ha sostanzialmente riconfermato la liceità dell?utilizzo di tale criterio anche con riferimento all?art. 19-ter del dpr 633/1972, applicando la percentuale determinata nel periodo d?imposta precedente. Si tratta comunque di un intervento interpretativo, privo della portata e dell?efficacia di una legge apposita, di cui invece si avverte chiara la mancanza. Onde evitare contestazioni sarebbe validamente pensabile di istituire almeno il criterio finanziario come base minima rinunciabile in caso di comprovata disponibilità di elementi oggettivi.
3. Associazioni senza scopo di lucro e rettifiche
Appare sempre più urgente un intervento che corregga il grave e disdicevole errore a suo tempo commesso dal legislatore nella legge 66/92. La menzione generalistica senza riserva alcuna delle ?associazioni senza scopo di lucro fatta nel contesto degli enti di cui al dl 417/1991, convertito nella legge 66/1992, con la conseguente ammissione delle stesse al regime forfetario attenuato di quel provvedimento, fu frutto di un clamoroso equivoco dei redattori della legge.
Non vi è ragione plausibile perché, a prescindere da tutti gli altri interventi da svolgersi in tema di regimi semplificati, la citata menzione non sia abrogata senza riserva alcuna, tanto più che il fisco si è sempre rifiutato di considerare ricompresi nel regime della legge 66 gli enti fiscalmente commerciali, ma statutariamente privi di scopo di lucro.
4. Iva, imposte e partecipazioni societarie
Il quinto comma lett. b) dell?art. 4) del dpr 633/1972 esprime ai fini dell?Iva un caso rilevante di presunzione di ?non commercialità?, riferito al “possesso non strumentale né accessorio ad altre attività esercitate, di partecipazioni o quote sociali, di obbligazioni o titoli similari, costituenti immobilizzazioni, al fine di percepire dividendi, interessi o altri frutti, senza strutture dirette a esercitare attività finanziaria, ovvero attività di indirizzo, di coordinamento o altri interventi nella gestione delle società partecipate”. Non sussiste, però, una norma simile nel contesto della disciplina delle imposte sul reddito, nonostante esigenze di chiarezza.
Il fulcro della questione è che la semplice detenzione di una partecipazione societaria non determina a priori lo svolgimento di quel complesso di operazioni, tra loro connesse e organizzate, che possono configurare, anche in sede tributaria, la presenza di un?attività propriamente detta, tanto più che il reddito eventuale costituirebbe per definizione un reddito di capitale.
Sarebbe allora opportuna una sua riproduzione nel contesto delle norme del titolo II, capo III del Tuir, tanto più che la redditività naturale della gestione di partecipazioni societarie è tributaristicamente oggetto della qualifica di reddito di capitale ovvero dell?imposta sostitutiva sui capital gain di cui al dlgs. 21 novembre 1997, n. 461.
5. Fondazioni-onlus. Questioni di tempistica
Nonostante le recenti semplificazioni di procedimento (cfr. dpr 10 febbraio 2000 n. 361) i tempi di ottenimento del riconoscimento giuridico, e della conseguente personalità, per le fondazioni, possono essere procrastinati nel tempo per ragioni amministrative. Succede, però, che in questo periodo le fondazioni in corso di riconoscimento ricevano erogazioni liberali per il finanziamento della registranda onlus. Sarebbe allora opportuno il riconoscimento, con apposita norma di conferma, che la decorrenza temporale della qualifica di onlus non è subordinata ai tempi del riconoscimento giuridico, proprio in quanto la personalità giuridica non è, in via generale, un requisito per l?assunzione della predetta qualifica.
Salvo Pettinato e Laura Bellicini
4-Continua. Le altre puntate:
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