Lo so, non dovrei scrivere così. E’ politicamente disdicevole se non addirittura scorretto. Ma quest’anno non ce la faccio più. Ho un sobbalzo scoprendo che domani è il 3 dicembre, giornata internazionale delle persone con disabilità. Non me ne vogliano tutti coloro – e sono tanti – che hanno promosso convegni, premiazioni, eventi, magari anche qualche festa, per celebrare come si deve la ricorrenza. Non me ne vogliano le grandi associazioni nazionali che non possono sottrarsi al rito, e magari utilizzeranno al meglio le cerimonie ufficiali per esternare, ribadire, sottolineare, ricordare, ammonire…
Ma io vorrei tanto che domani fosse una giornata dedicata al silenzio. E all’ascolto. Che nessuno parli. Che tutti ascoltino, o guardino, o tocchino con mano. Non c’è quasi niente da celebrare. Stiamo vivendo la più estenuante crisi finanziaria degli ultimi decenni. Sappiamo perfettamente che il mondo occidentale, ma anche quello orientale, non ha nessuna intenzione di cambiare modello di sviluppo, e si spera di salvare il salvabile, per poi ricominciare come prima. La condizione delle persone disabili è a rischio, ovunque. Non c’è traguardo conquistato che non sia esposto al pericolo di un brusco arretramento.
Siamo tutti lì, col fiato sospeso, in attesa di capire che cosa farà il governo Monti. Cerchiamo di leggere fra le righe, frughiamo le dichiarazioni dei ministri tecnici e perfino dei sottosegretari, e giustamente ci soddisfa scoprire che il neo ministro alla Salute, Renato Balduzzi, ripeschi addirittura l’obiettivo dei Lea . Speriamo che la coda avvelenata delle dissennate campagne di Tremonti e Reguzzoni sui falsi invalidi non convinca il nuovo premier a tagliare proprio lì, sulle indennità di accompagnamento, sulle agevolazioni e sui benefici per le persone disabili.
Insomma siamo in trincea, in difesa, facciamo un catenaccio d’altri tempi…. E allora in questi giorni temo i servizi televisivi di maniera, le interviste strappacuore, il caso pietoso, o quello eroico, la famiglia modello, la famiglia in crisi, le belle parole di circostanza. Sono stanco, anche se non dovrei, anche se io stesso, nel contesto di un impegno pubblico, non mi tiro indietro e continuo a battere sui principi della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità.
Ma invece del classico minuto di silenzio, proporrei una giornata di silenzio. Proprio il 3 dicembre. Nessuno parli della disabilità. E poi, magari, 364 giorni di fila nei quali invece se ne parla eccome, e si agisce, con i fatti, con le delibere, con le leggi, con gli stanziamenti, con le buone prassi, con i diritti.
Il 3 dicembre rischia di diventare un’altra Giornata della Memoria. Com’era bello il tempo delle leggi positive e di riforma. Com’era bello il tempo della legge sull’inclusione scolastica, della legge sull’occupazione, della legge sulla non discriminazione. Eppure verrà il giorno, ne sono sicuro, in cui ripartiremo, di slancio, e riempiremo di fatti le parole, e di speranza i nostri cuori.
Ma domani, per favore, silenzio.
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