Cultura

280 passeggini per una scultura

Com’è nata l’installazione che colpisce tutti i visitatori alla mostra di Palazzo Reale di Milano? Dall’idea di un artista giamaicano che dalla strade di New York ha raccolto…

di Anna Spena

Si fermano tutti a lungo nella sala numero 12 de “La grande madre", la mostra curata da Massimiliano Gioni a Palazzo Reale di Milano. La numero 12 infatti è una sala diversa dalle altre. Incanta, commuove, quasi ipnotizza.

Le luci soffuse accarezzano 280 passeggini vuoti e in disuso che, però, riempiono ugualmente di una presenza, non solo fisica, tutta la stanza. I passeggini non solo ricordano la vita dei bambini che li hanno occupati, ma anche di tutti i senzatetto che li hanno trovati abbandonati nelle strade, e poi utilizzati per trasportare le loro cose.

A pensare la toccante installazione è stato Nari Ward, artista di origine giamaicane, trasferitosi da bambino a New York con tutta la sua famiglia.

Ward lavora con i materiali di scarto che raccoglie nelle strade. “Amazing Grace” – meravigliosa creatura – è il titolo un po’ imprevisto di quest’opera, realizzata (ma verrebbe da dire, “nata”) nel 1993, e installata per la prima volta in una caserma di pompieri abbandonata ad Harlem.

Disposti a forma di scafo, nella sala rettangolare, i 280 passeggini dismessi sono tutti legati tra di loro: tenuti insieme da maniche antincendio schiacciate. L'opera non è solo da guardare; i visitatori vi si immergono, camminando fisicamente dentro l'installazione che deve essere necessariamente attraversata per raggiungere la sala successiva.

Ad accompagnare l'allestimento l'inno "Amazing Grace", che ha dato il titolo all'opera, cantato dalla voce gospel di Mahalia Jackson, attivista per i diritti civili. Scritto per la prima volta nel 1779 da un mercante di schiavi inglese, poi pentitosi, l'inno è poi diventato popolare in tutti gli Stati Uniti durante la guerra civile (1861-1865) e poi tra gli oppositori della guerra in Vietnam negli anni sessanta.

Come ha scritto suor Francesca Balocco, recensendo la mostra su La lettura del Corriere della Sera, «Non ha la pretesa di dare informazioni ma di raccontare un frammento di storia, di rendere presente un istante percepito come vero per sé e offerto come provocazione per altri. L'immagine non si presenta come propositiva, la sua portata rivelativa è affidata alla capacità dell'osservatore di fidarsi di ciò che guarda e vede, che sente e ascolta».


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