Ci troviamo un altro anno a celebrare la giornata internazionale contro l’abuso e il traffico illecito di droga. E mi sento oggi di domandare se, in tutta coscienza, possiamo sentire come pericolosi ‘solo’ l’abuso e il traffico illecito e non l’uso, l’esistenza e la ricerca di sostanze stupefacenti.
Celebriamo un evento all’interno di uno stato che, da anni per primo, non mette in agenda il tema. La lotta alla droga non porta voti, non è argomento di discussione, non genera facili consensi…
Unico argomento tematizzato è questa legalizzazione così acclamata dalle piazze, richiesta e citata nei programmi elettorali di chi cerca facili sostegni attaccandosi a frasi populiste che banalizzano pericolose situazioni e di cui saranno i nostri giovani a pagare alto il prezzo.
La cannabis di oggi evidenzia la presenza di un principio attivo sempre più mutato, sempre di più sono i giovani che, a causa dell’uso precoce e massiccio, sono affetti da disturbi di personalità, problemi psichiatrici e compromissioni a livello cognitivo.
La cocaina è oggi la seconda droga più utilizzata in Europa e Stati Uniti, in Italia il consumo riguarda il 6% della popolazione, si parla di 65 arresti ogni 24 ore (uno ogni 20 minuti).
L’eroina sta tornando prepotentemente, grazie ad un prezzo sempre più basso che contribuisce alla fidelizzazione del ‘cliente’ promettendo la panacea di tutte le sofferenza al prezzo di due caffè. I giovani sono così catturati, il boschetto di Rogoredo a pochi passi da Milano diventa il nuovo parco dei divertimenti, un paese dei balocchi in cui trasgredire, diventa la regola e il motore che porta alla distruzione. Affascinati dal rituale e dal proibito sempre più ragazzi popolano quei sentieri, cercando risposte a domande che spesso nemmeno si pongono.
Quali saranno i costi sociali di tutto questo in un mondo in cui disagio sociale e marginalità aumentano esponenzialmente? Sempre più ragazzini si avvicinano al mondo delle sostanze, il momento del primo uso si abbassa vertiginosamente in un passaparola che travolge raggiungendo età impensabili fino a pochi anni fa.
Quando chiedi a loro perché la risposta è nella maggior parte dei casi legata alla necessità di avere sollievo dalle loro sofferenze, un malessere che per primi faticano ad identificare e collegare a cause precise, che però li travolge al punto da richiedere l’aiuto di qualcosa che spenga e anestetizzi il dolore.
Quali fatiche e quali sofferenze possono spingere sempre più adolescenti verso il baratro della dipendenza e dell’abuso di sostanze? Quale malessere così diffuso sta portando i nostri giovani a ricercare di annullarsi invece di attivare preziose risorse personali?
Il 21% dei giovani adolescenti ci dice che volontariamente si sono procurati dolore fisico, privi dei necessari anticorpi che permettono di affrontare le difficoltà e le delusioni che la vita inevitabilmente ci porta. Ai nostri giovani manca oggi l’alfabeto emotivo, la capacità di leggere nelle proprie sofferenze le emozioni sottostanti e attivare di conseguenza i necessari strumenti di reazione. Abituati al mondo del virtuale dove tutto è filtrato e appiattito da uno schermo, dove rabbia e dolore sono comunicati tramite icone, dove l’abbraccio consolatorio è solo una parola scritta in una chat, non sono in grado di affrontare i normali ostacoli evolutivi.
Mancano accanto a loro adulti significativi, figure educative che rappresentino punti di riferimento scomodi ma saldi, sassi d’inciampo che provochino sane crisi e sappiano dare il giusto sostegno nella risoluzione di esse. Rivolgersi ai pari, alternativa sempre più utilizzata dai giovani nella ricerca di risposte, non porta alla risoluzione dei problemi ma spesso solo alla scoperta di pericolose scorciatoie. Prima tra tutte l’alcol, sempre più diffuso e meno problematizzato, capace di anestetizzare ogni pensiero e stordire, legalmente, anche le menti più giovani.
Ci troviamo davanti a generazioni di genitori che, impregnati di teorie permissiviste, relativizzano e concedono tutto, nell’utopico pensiero che fin da piccoli i loro bambini sappiano cosa è meglio per loro, sgravandosi così di un compito educativo che, in quanto tale, prevede necessariamente scontri, prese di posizione e ferme decisioni. I ruoli tra le generazioni si confondono così in un valzer delegante, in cui i giovani si trovano ad avere responsabilità su se stessi senza precise indicazioni su come gestirle e gli adulti perdono troppo velocemente un ruolo che non sono riusciti a conquistarsi quando era necessario farlo.
Tanti genitori oggi ci chiedono aiuto per i loro figli adolescenti presentandosi loro stessi a colloqui a cui non riescono a portarli nonostante abbiano solo 15 anni. Questi sono i segni di una battaglia persa anni prima, che ha defraudato l’adulto del suo ruolo genitoriale e già consegnato nelle mani del giovane la decisionalità intera sulla propria vita.
Ecco perché non ci stancheremo mai di dire che è riduttivo parlare di droga, quella è solo la punta di un iceberg di disagio che cresce sempre di più e si allarga anche ad altre sfere sociali, educative e politiche.
La complessità del disagio e la sua repentinità, mettono in crisi oggi anche i non addetti ai lavori, chiunque ricopra un ruolo educativo, ma non solo, si trova a doverci fare i conti in ogni ambito e contesto di vita: da quello familiare a quello lavorativo, da quello scolastico a quello ricreativo…
Come professionisti dobbiamo sicuramente interrogarci sulle modalità di cura e presa in carico, è necessario plasmarci e adattarci alle esigenze del mondo di oggi che è radicalmente cambiato da quello in cui si iniziava a parlare dell’emergenza droga. I profondi cambiamenti sociali non possono portarci a riproporre offerte terapeutiche uguali a decenni fa, innovare e rispondere alle vere esigenze devono essere le priorità davanti ad una situazione che, nonostante sia calato il clamore dei giornali, urla prepotentemente richieste di aiuto.
Oltre alla revisione del sistema di cura è però fondamentale interrogarsi sulla necessità di aggredire questo disagio, intervenire prima che rompa gli argini e acquisisca una forza distruttrice devastante. Creare un sistema di prevenzione che sappia essere presente nei mondi e nei contesti giovanili, non ultimi anche quelli virtuali, ma anche e altrettanto in quelli di coloro che di essi devono prendersi cura.
Genitori, docenti, educatori non possono essere lasciati soli ad affrontare questo mondo che richiede sempre di più offrendo sempre meno tempo e risorse per fornire risposte adeguate e mirate. Oggi non basta esserci, è necessario esserci con forte senso di responsabilità e coerenza, partendo dalle personalità più in vista fino a chiunque si trova a popolare i contesti di vita dei nostri giovani.
Dobbiamo tutti sentirci addosso la responsabilità di parole non dette, proclami effettuati, risposte non date o interventi mancati, la creazione di un contesto sociale educante è l’unica risposta efficace a questa catena di sofferenza e disagio. Un contesto fatto di presenze solide, chiari messaggi e forti prese di posizione, un contesto che aiuti i giovani a sentirsi protagonisti, ma offra contemporaneamente solidi basi valoriali a cui appoggiarsi, presenza adulte significative e progetti di crescita validi e condivisi.
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