Nell?Europa a 27 (che vanta 317 dei 700 siti censiti dall?Unesco), l?industria culturale mostra numeri di tutto rispetto. Nel 2005, Eurostat ha contato 4,9 milioni di lavoratori, che rappresentano il 2,4% dell?impiego totale. Fra i diversi Paesi, però, le oscillazioni sono piuttosto significative. In Romania, ad esempio, i lavoratori della cultura sono l?1,4% del totale, in Svezia il 3,5%, il 3,1 in Gran Bretagna. Spagna, Grecia e Italia – in cui il turismo ha un certo peso sul Pil – si attestano invece al 2,1%. Segue la Francia con il 2%. In compenso la precarietà parla tutte le lingue: se in generale la percentuale europea dei lavoratori a tempo determinato si attesta al 13%, in questo settore raggiunge quota 16% (con un massiccio ricorso al part-time: il 25% rispetto al 17). Una tendenza che in alcune nazioni è ancor più marcata: in Spagna, Francia e Italia, per esempio, la quota dei precari raggiunge rispettivamente il 29,8, il 24,9 e il 20% (da notare che da noi i contratti a tempo determinato sono l?11,5% del totale). Quanto al lavoro autonomo, Eurostat mostra vere e proprie montagne russe: se i 27 Paesi costruiscono una media europea del 29%, in Estonia c?è il picco più basso (solo il 7%). Punta minima che prelude al 20,1% della Francia e prende il volo in Olanda e Grecia, entrambe al 35%. Notevolissima la percentuale di autonomi nel Belpaese: il 53%. Saranno proprio tutti imprenditori? Quanto alle risorse umane del futuro, stanno crescendo. Nell?anno scolastico 2004-2005, infatti, quasi 4 studenti europei su cento studiavano materie legate all?impresa culturale.
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