Welfare

2015: tocca alle periferie

di Flaviano Zandonai

Forse è fin troppo facile pronosticare un 2015 dove saranno le periferie a “dettare l’agenda” delle politiche e degli interventi in campo economico, sociale e culturale. Si possono scomodare importanti archistar come Renzo Piano – che ha dato seguito al suo fortunato articolo di qualche tempo fa dando vita a un progetto dedicato al “rammendo delle periferie” – e come Carlo Ratti che in un recente intervento sul Corriere della Sera preconizza una “primavera urbana” dove i contesti periferici ribolliranno non solo di proteste ma di progettualità crowdsourced. Se poi scomodiamo addirittura Papa Francesco che indica la periferia come metafora esistenziale e come concreto ambito di missione, il gioco è (o sembra) fatto.


Si sta creando un nuovo paradigma per una miriade di progettualità che fanno leva sul lavoro comunitario (sottovalutato) e sulle nuove tecnologie relazionali (sopravvalutate). La disponibilità di una cornice comune è cruciale per alimentare le politiche e per accelerare i processi, come dimostra anche il libro di Giovanni Campagnoli dedicato ai modelli di business per startup sociali e culturali che rigenerano edifici e spazi situati spesso in contesti periferici grazie a iniziative di interesse collettivo. E’ forse questo il più potente antidoto alla rappresentazione della periferia come luogo semplicemente degradato riconoscendolo invece come motore di cambiamento.

Se il processo è chiaro nella sua direzione, sono ben più complesse le implicazioni che derivano da quello che con un ossimoro si potrebbe definire “centralismo periferico”. Non è solo una questione urbanistica e di asset materiali. Il lavoro sulle periferie riguarda anche le organizzazioni e le persone. Per le prime la sfida è sostenere processi di mutamento interno a partire da progettualità marginali (periferiche appunto) in grado di generare cambiamento per infusione di pratiche piuttosto che impegnarsi in “duelli epici” con core business che il cambiamento tendono, nel peggiore dei casi, a rincularlo. Per le persone serve invece una specie di “brain training” per il pensiero laterale, quello che alimenta la creatività e l’innovazione, sia a livello individuale che, soprattutto di gruppo. Sono infatti i gruppi di lavoro che possono riconoscere e alimentare ciò che sta ai margini, tra le “varie ed eventuali”, trasformandoli in innovazioni di sistema.

Tutte cose complicate. Ma almeno per qualche ora possiamo ancora dedicarci ai buoni propositi…

 

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