Quest’anno o mai più! Per i volontari del Vecchio continente l’Anno europeo del volontariato 2011 è l’occasione di una vita. Quella che potrebbe dare una svolta a un mondo che, secondo uno studio pubblicato da Eurobarometro nel maggio scorso, vede un cittadino europeo su tre impegnato in diversa misura in attività di volontariato nei 27 Stati membri dell’Unione. L’opportunità è tanto più ghiotta dal momento che la decisione presa nel 2009 dai Capi di Stato Ue di dedicare l’Anno europeo 2011 ai volontari coincide con il decimo anniversario dell’Anno del volontariato celebrato dalle Nazioni Unite. Per promuovere un settore che in Europa contribuisce tra lo 0,5 e il 5% del Pil degli Stati membri, l’Unione ha affidato la gestione dell’Anno alla Commissione Ue e ai governi nazionali, entrambi incaricati di coinvolgere il mondo associativo europeo (tra cui le 33 organizzazioni raggruppate nell’Alleanza EYV).
«Non sarà una passeggiata, bisognerà lottare su tutti i fronti per far sentire la nostra voce», confida a Vita l’europarlamentare irlandese Marian Harkin (vedi intervista a pagina 6). In un periodo di vacche magre, dove i tagli budgetari stanno falcidiando migliaia di associazioni sotto lo sguardo disattento di media europei attratti soltanto dalla salvezza dell’euro, il rischio di vedere l’Anno europeo del volontariato scorrere nell’indifferenza più assoluta è reale. La prova più tangibile ci è stata offerta nel 2010 durante l’Anno europeo contro la povertà. Chi segue le questioni sociali a Bruxelles sa quanto le conferenze e i dibattiti organizzati dalle istituzioni europee siano stati letteralmente disertati dai corrispondenti Ue.
Sarà per questo motivo che la Commissione europea ha deciso di sfruttare gran parte degli 8 milioni di euro messi a disposizione dell’Unione per sensibilizzare i cittadini Ue sull’importanza del volontariato. «Il 2011 deve essere un’opportunità per attrarre altri cittadini in questo settore», ha dichiarato Viviane Reding, commissario a Giustizia, diritti fondamentali e cittadinanza. Un approccio condiviso da Mireille Pascot, responsabile di France Bénévolat, una delle più importanti piattaforme di volontariato in Francia. «Una buona communicazione di massa può aiutarci a superare l’immagine un po’ appanata che perseguita il volontario, per questo organizzeremo una grande campagna di sensibilizzazione nei licei francesi. Il nostro timore però è che l’Anno non sbuchi su proposte concrete». Per l’eurodeputato Pdl Marco Scurria, «non ci si potrà accontentare di chiacchiere e convegni. Bisognerà mettere l’accento sulle esperienze delle associazioni e affrontare di petto le questioni più urgenti come l’armonizzazione legislativa del volontariato a livello europeo».
Tra le emergenze individuate dalla Commissione spuntano la mancanza di certezze legislative sul riconoscimento e la tutela del lavoro dei volontari (sul piano assicurativo ad esempio); l’assenza di un quadro giuridico (in 16 Paesi su 27); la necessità di misurare con precisione il peso economico del volontariato; l’impossibilità di mettere a budget il lavoro volontario come cofinanziamento dei progetti europei, oppure il non riconoscimento del volontariato come parte integrante di un percorso formativo da valorizzare in ambito professionale o universitario. Su quest’ultimo fronte Androulla Vassillou, commissaria europea responsabile per Istruzione, cultura e gioventù intende inserire nel curriculum di Europass le esperienze acquisite nel volontariato. «Lo stesso riconoscimento andrebbe fatto in ambito universitario», fa sapere Stefania Macchioni, liaison officer di CSVnet a Bruxelles presso la sede del Cev, il Centro europeo del volontariato, un network che ragguppa 80 organizzazioni nazionali e regionali dello spazio Ue. «Le ore spese da uno studente in attività di volontariato dovrebbero essere equiparate in crediti».
Per raccogliere tutte le sfide messe sul tappeto nel 2011, la Commissione europea si è posta quattro obiettivi piuttosto vaghi, tra cui «rafforzare le organizzazioni di volontariato» attraverso progetti di cofinanziamento che però favoriscono le organizzazioni più solide. «Oggi nessuna struttura di piccola dimensione è in grado di partecipare a un bando europeo che richiede il 40% di cofinanziamento», sottolinea il vicepresidente del Cev, Renzo Razzano. «Su questo terreno l’Europa dovrebbe seguire l’esempio dell’Italia che, con il bando 2010 della 266, ha fissato un tetto del 10%». Spicca poi l’assenza di qualsiasi riferimento a una sfida cruciale come quella sollevata da Stefano Zamagni sulle colonne di questo giornale e che riguarda la necessità, da parte dei rappresentanti del mondo del volontariato, di entrare a far parte del Consiglio dell’Agenzia europea dei diritti fondamentali. Una lacuna che potrebbe essere in parte colmata dalla presentazione di un Libro bianco o di una raccomandazione a favore del volontariato europeo. È il risultato minimo che si attendono i volontari.
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