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2010, non ce n’è più per i ciarlatani

I giovani, la vita, le speranze nelle aprole di uno degli scrittori più amati

di Maurizio Regosa

La parola pubblica è svuotata di valore.
Per questo tutti cercano
la parola “altra”. Quella della filosofia, della religione, della letteratura. Una parola che susciti
una responsabilità privata
Si arrampica su per la montagna, in un inverno gelido, l’ultima storia di Erri De Luca, Il peso della farfalla (edito da Feltrinelli). E da lassù racconta di un camoscio e di un cacciatore. Settanta pagine dense nelle quali capita di inciampare. Su parole che suggeriscono orizzonti, su intuizioni spiazzanti, su frasi che non ti aspetti, ma della cui fondatezza non dubiti: «Il presente è la sola conoscenza che serve», trovi a pagina 57. Ma che significa? «Per l’animale è evidente. Non ha nessuna prospettiva, nessuna immaginazione di futuro. È tutto il passato da cui proviene e l’esperienza d’istinto che la specie gli ha trasmesso. Per forza è concentrato nel presente: è un acrobata, un atleta del presente».

Vita: E per la specie umana?
Erri De Luca: L’uomo ha un lunghissimo cammino di apprendimento, un lungo strascico di passato, prima di diventare adulto. Ha moltissima immaginazione del futuro e nel presente non si sa comportare. Arriva sempre trafelato, si fa sempre sfuggire l’occasione.
Vita: Una vicenda simbolica?
De Luca: Io non ci ragiono coi simboli. Ho a che fare con le storie, con il loro significato letterale. Anche come traduttore di Scrittura Sacra: non frugo oltre la nuda lettera. Quando leggo che c’è il vento di Elohìm che soffia sulla superficie delle acque, quello è vento. Non è spirito o anima.
Vita: Si dice che gli italiani non hanno memoria. Che ne pensa?
De Luca: Questa è una giaculatoria, che non spiega niente e non è uno specifico nostro. Quelli che conoscevano benissimo la storia non si sono risparmiati nessuna guerra, nessuna strage, nessuna stupidaggine politica. La historia non è magistra. È un bel repertorio di narrativa.
Vita: Un fatto letterario?
De Luca: Che serva a qualche buon fine e che conosciuta la storia uno poi si comporti bene o scansando gli errori precedenti, è impossibile. D’altra parte è bene dimenticarsi del passato. Dopo una guerra le persone vogliono dimenticare. E fanno bene. È una reazione per ripartire.
Vita: Lo specifico della nostra società?
De Luca: L’idolatria dell’economia.
Vita: E ne siamo consapevoli?
De Luca: Abbiamo eletto a capo del governo uno dei più ricchi d’Italia. Abbiamo avuto come oppositore ed ex capo del governo un professore di economia. Abbiamo avuto come presidente della Repubblica uno che veniva dalla Banca d’Italia.
Vita: Come vede il rapporto tra gli italiani e la religione?
De Luca: Il popolo italiano è attaccato ai simboli. Ma non alla sostanza che quei simboli dimostrano e raccontano. Teniamo moltissimo al crocifisso nelle aule. Una cosa legittima. Se non ci fosse, io non ce lo metterei, ma già che c’è non mi viene di toglierlo. Quanto a praticare quel simbolo? siamo sempre stati renitenti. Dipende dal fatto che la Scrittura Sacra da noi è stata poco importante. Mentre in altri Paesi come Francia o Spagna, la traduzione della Bibbia ha formato le lingue nazionali, da noi l’aver conservato gelosamente il latino ha tenuto lontana la Scrittura Sacra dalla lingua nazionale.
Vita:Oggi si rilanciano i dialetti. Le piace l’idea?
De Luca: Chi li propone reagisce alla creazione dell’Europa che ha innescato un mucchio di turbamenti regionali e provinciali. E non solo da noi. Sono sacche di resistenza alla trasformazione. Ma hanno anche argomenti validi.
Vita: Per esempio?
De Luca: La conservazione dei prodotti locali. Il non omologarli allo standard che annulla le differenze. La conservazione delle parlate locali, importanti per il legame con il proprio passato. Ma al di là di questi punti, si tratta di fenomeni che vogliono frenare il superamento inevitabile degli Stati nazionali. Producono attrito per trascinamento. Sono un freno a mano che logora se stesso.
Vita: E rende più difficile la vita dei migranti.
De Luca: Quando milioni di esseri umani si spostano, non c’è niente da fare. Non basta nessuna fortezza. Tutta questa ostilità non ha alcun significato pratico ma permette di lucrare vantaggi politici. Questa politica che è inefficiente perché non impedisce l’ingresso di nessun clandestino, può continuare a prosperare aizzando i sentimenti della paura, dell’ostilità, dell’avversione. È colpa anche di quegli altri, della concorrenza. Invece di cambiare articolo, la concorrenza continua a vendere in subordine gli stessi sentimenti. Se si mettesse a sfruttare politicamente i sentimenti opposti -speranza, coraggio, fraternità – sbancherebbe… Ma non c’è intelligenza politica sufficiente.
Vita: Da questo punto di vista l’esperienza di Obama è significativa?
De Luca: Lui ha fatto esattamente questo. Contro lo sfruttamento dei cattivi sentimenti, è arrivato uno che ha detto: «Sai adesso che c’è? Mo’ vi frego io, sfrutto i buoni sentimenti».
Vita: I giovani, secondo molti sociologi, sono oggi la categoria più a rischio. È d’accordo?
De Luca: Non sono una categoria. Sono una fascia d’età biologica. Se usano i giovani come categoria stanno vendendo moneta falsa?
Vita: In ogni caso, oggi i giovani attraversano una fase difficile.
De Luca: Tutta la gioventù affronta un periodo difficile. Rispetto a quello che hanno sostenuto le generazioni precedenti, rispetto al fatto che fino alla mia generazione quelli che avevano vent’anni andavano a morire per qualche guerra, rispetto alle condizioni delle gioventù precedenti? siamo sempre nella pacchia. Dopo di che uno fa i conti con la propria condizione. I giovani di oggi non hanno legami tra di loro. Non si identificano come generazione. Non hanno nessuna solidarietà giovanile. Sono sparpagliati, atomizzati, in combriccole, non si alleano.
Vita: Però ci sono i social network…
De Luca: Queste formule servono per mantenerci a distanza. I giovani hanno il vantaggio di poter comunicare. Ma comunicare in quel modo non è stare dentro una comunità, appartenerci. Sono relazioni astratte.
Vita:Ma i blogger hanno organizzato una manifestazione di piazza…
De Luca: Un’uscita dal circuito per vedere che effetto faceva. L’effetto è stato buono, ma il fatto di incontrarsi per la prima volta non vuol dire che ce ne sarà una seconda.
Vita: Esiste un confronto tra le generazioni?
De Luca: I rapporti tra le generazioni devono essere conflittuali. La generazione nuova deve rompere con quella precedente. Altrimenti non eredita, se non biologicamente, il suo posto. Questa generazione non rompe con i padri. Non è indipendente. È docile.
Vita: «Bamboccioni» come disse Padoa Schioppa?
De Luca: Insulti gratuiti che però non hanno avuto una risposta: sono stati pacificamente incassati da quelli che li hanno subìti.
Vita: Quali scrittori legge?
De Luca: Le novità mi arrivano. Ma non?
Vita: Non ci sono cose interessanti?
De Luca: Non per me.
Vita: Perché non è diffusa la responsabilità dello scrittore?
De Luca: Lo scrittore ha la responsabilità di scrivere belle storie. Nella miglior maniera che sa. Questa è la sua responsabilità. Basta e avanza.
Vita: Assolvendo questa responsabilità ne assolve anche altre?
De Luca: No. Non è un supplente. Nei casi di sospensione del diritto di parola, lo scrittore fa testimonianza. Ma non è il caso nostro. Poi di solito le letterature interessanti sono quelle di popoli che hanno qualche esperienza forte da trasmettere. Noi non ci troviamo in questa condizione.
Vita: Alcuni sostengono che le parole non hanno più peso. E come tali vengono immesse nell’arena pubblica.
De Luca: Questa è una buonissima condizione per lo scrittore. Nel momento in cui la parola pubblica diventa ciarlatana, la sua acquista improvvisamente un valore aggiunto. In un’epoca in cui la parola pubblica è semplicemente pubblicitaria, non deve portare peso né responsabilità, non deve dichiarare, può essere smentita il giorno dopo, uno che scrive delle storie ha un ascolto migliore. Le persone hanno bisogno di parole un po’ più consistenti. E quindi si rivolgono alla parola religiosa, a quella filosofica, alla parola letteraria.
Vita: Questo spiega il successo dei festival?
De Luca: Certo. Sono occasioni in cui si scrolla di dosso quella farina fasulla della parola pubblica, e diventa una parola personale, privata, che porta responsabilità.

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